1 «Ciao» dice la signora Adele. «Ciao» risponde
Martino. Da quando nonno
Federico si è trasformato in
un albero, è la signora Adele che viene a prendere Martino ogni pomeriggio,
all’uscita di scuola. La signora Adele
ha certe mani grandi e larghe come le pale di legno che i panettieri usano per
mettere il pane nel forno. E profuma anche, di pane, forse perché suo marito fa
proprio il panettiere e sforna il pane ogni mattina, prima che sorga il sole, quando
tutti ancora dormono. «Che ne dici se
prima di tornare a casa facciamo una passeggiata nel parco?» Martino fa sí con
la testa e intanto inspira forte col naso per sentire il profumo di pane della
signora Adele. «Hai fatto dei bei
disegni oggi a scuola?» gli chiede lei, aggiustandogli il berretto di lana
sulla testa. «Sí.» Martino sa fare
bellissimi disegni. E ancora una volta ha disegnato il nonno: un mandorlo dai
rami robusti e fitti, spruzzati del verde scuro delle foglie e da tanti
minuscoli fiori bianchi. Poi sopra il mandorlo ha disegnato un sole tondo come
una ciambella, e sotto ha scritto il nome di nonno Federico. «Andiamo allora!»
dice la signora Adele. Si avviano insieme
verso l’entrata del parco. Percorrono il lungo viale e Martino si domanda
quanti giorni manchino ancora alla primavera, quando potrà finalmente andare a
trovare il nonno nel posto dove vive ora, sulle colline non distanti dalla
città. Quando Martino e
la signora Adele arrivano vicino alla grande fontana circolare, alcuni piccioni
sbattono le ali sopra le loro teste e si posano sullo schienale di una
panchina. «Hai portato il
mangime?» chiede Martino. La signora Adele
lo guarda senza capire. «Il mangime per i
piccioni… Oppure molliche di pane…» La signora Adele
scuote la testa. «Mi dispiace»
dice. «Quando sono uscita di casa non pensavo che avremmo fatto una passeggiata
nel parco. Ma la prossima volta… la prossima volta le porterò di certo.» Martino solleva le
spalle e osserva i piccioni sullo schienale della panchina. Ne sono già
arrivati altri. E anche loro di sicuro sentono molto la mancanza di nonno
Federico. 2 Quando nonno
Federico non si era ancora trasformato in mandorlo e veniva a prendere Martino
all’uscita di scuola, portava sempre con sé una buona scorta di mangime per i
piccioni del parco. Oppure molliche di pane appallottolate in pezzetti piccoli
piccoli. I piccioni
accorrevano a frotte quando vedevano arrivare nonno Federico. «Questi pennuti
non vengono da me perché gli do da mangiare» diceva il nonno. «Vengono perché
adorano i miei baffi!» «Davvero?» faceva
finta di crederci Martino, passandosi la lingua sul labbro superiore. «Certo! Tutti
sanno che i piccioni vanno matti per i baffi a manico d’ombrello! Soprattutto
se sono candidi e folti come i miei. Un bel paio di baffi poderosi! Hai capito
quello che ti ho detto, Capitan Fracassa?» Nonno Federico non
chiamava quasi mai Martino con il suo vero nome. Diceva che essere chiamati
sempre con lo stesso nome, tutti i momenti di tutti i giorni della settimana,
era quanto di piú noioso potesse capitare a un bambino. Pressappoco come
mangiare a colazione per tutta la vita lo stesso tipo di marmellata. Cosí, ogni
giorno, il nonno inventava un nuovo nome che Martino non aveva mai sentito
prima. «Guarda che strana
forma ha quella nuvola, Piccolo Principe delle Maree!» Oppure: «Sai cosa
faremo piú tardi, Piccolo Cavaliere dei Sette Arcobaleni? Compreremo un
cartoccio di caldarroste e le sgranocchieremo a casa, al calduccio, davanti al
camino!» Oppure, ancora:
«Ehi tu, cos’hai da ridere, Piccolo Elfo della Foresta?» Martino non poteva
fare a meno di ridere, quando si trovava in compagnia di nonno Federico.
Soprattutto quando lui parlava con i piccioni che beccavano il mangime dalle
sue mani. «La lingua dei
piccioni non è affatto difficile da parlare» diceva. «Senti un po’… Brrr… Brrruu… Pttt… Brrr… Brrr…» «Cosa gli hai
detto nonno?» gli domandava allora Martino. «Gli ho detto che
oggi sono molto felice, perché sono in compagnia del mio signor nipote, il
Piccolo Visir delle Lontane Terre di Trebisonda.» Martino allora
cominciava a ridere con una risata che gli nasceva dentro la pancia. Una risata
che gli risaliva su solleticandogli la gola e poi gli tintinnava sui denti e
sulle labbra come tante monetine d’argento. «Brrr… Brrruu… Pttt… Brrr… Brrr…
Ora gli ho detto che farebbero bene a sbrigarsi, a mangiare questo mangime,
perché devo accompagnare mio nipote in un posto che di certo gli piacerà
molto…» «Dove? Dove mi
porterai nonno?» chiedeva allora Martino, senza smettere di ridere. «Lo vedrai! Oh, se
lo vedrai! Ma intanto dai da mangiare anche tu a questi pennuti… Brrr… Pttt…
Non vedi che hanno tanta fame?» Martino allora
prendeva una manciata di mangime e lasciava che i piccioni lo beccassero dal
palmo della sua mano. «Brrr… Pttt… Bruuu…»
diceva. E voleva dire che anche lui era molto felice di trovarsi nel parco con
suo nonno, e che era per questo che rideva con quella risata che gli tintinnava
sulle labbra e sui denti come tante monetine d’argento. 3 È passato qualche
giorno e la signora Adele e
Martino sono alle giostre davanti alla biglietteria delle Montagne Russe, un
via vai di binari che salgono, scendono e a un certo punto si avvitano persino
in un giro della morte. La signora Adele è
preoccupata. Scuote la testa e arriccia il labbro superiore. «No, questo
davvero non si può fare» dice. «Ai bambini della tua età è proibito salire su
queste Montagne Russe.» Martino le indica
il varco aperto nella recinzione, un poco piú in là. Non è che uno strappo
nella rete metallica. Ma lui è molto piccolo di statura e ha già imparato a
sgattaiolarci attraverso senza che nessuno lo veda. «Oh, mio Dio!»
sospira la signora Adele. «Non dirmi che tu e tuo nonno… Non dirmi che lui ti
ha permesso… Davvero non ci posso credere!» Martino osserva la
signora Adele piegando un po’ il viso di lato. Lei è sempre cosí gentile con
lui che non vorrebbe darle un dispiacere. Eppure ora non può fare a meno di
notare il rossore sul suo viso, e il suo sguardo dubbioso che si solleva in
alto in alto, sino alla sommità delle Montagne Russe. «Ho capito,
signora Adele, tu hai paura…» sussurra. E mentre lo dice, quasi si morde la
lingua. Perché avere paura è quanto di peggio possa capitare a una persona,
peggio del mal di pancia e del raffreddore. «Solo i ranocchi che
vivono sotto le pietre dello stagno hanno paura!» gli aveva detto nonno
Federico davanti a quelle Montagne Russe. «Avevano forse paura i Cavalieri
della Tavola Rotonda? E i primi Astronauti che sono sbarcati sulla Luna? E i
Cacciatori di Tesori in fondo al mare? E gli Incantatori di Serpenti? Gli
Acchiappadraghi? Hanno paura loro? Niente affatto, piccolo mio. Ora ti
confiderò un segreto…» Quando nonno
Federico voleva confidare un segreto a Martino – gliene confidava almeno uno
alla settimana – di solito lo invitava a sedersi su una sedia e gli parlava
sottovoce in modo che nessun altro potesse sentire le sue parole. Solo che
quella volta non c’era neppure una sedia nei paraggi. Perciò l’aveva sollevato
di peso e l’aveva fatto sedere sulla sella di una grande bicicletta rossa
addossata alla recinzione, cosí grande che ci si sarebbe stato bene anche un
astronauta particolarmente robusto. «Devi sapere che
prima di affrontare una Grande Impresa, come noi stiamo per fare…» «Secondo me
salgono molto in alto, queste Montagne Russe, nonno…» «Umpft! Non
interrompermi! Dicevo che quando si deve affrontare una Grande Impresa, come
per esempio…» «Però ci saranno
un mucchio di uccelli lassú…» aveva riflettuto Martino, con il naso ancora per
aria. «Esatto! Potremmo
incontrare qualche falco pellegrino, o un grosso sparviero, e se siamo
fortunati anche un’aquila reale… Ma cosa ti stavo dicendo?» «Non fa niente
nonno, non ho piú tanta paura ora…» Martino era
sgattaiolato attraverso lo strappo nella recinzione, si era nascosto in un
vagoncino che aveva la forma di una barchetta e aveva aspettato che il nonno lo
raggiungesse dopo aver pagato il biglietto. «Tieniti forte! Si
parte!» aveva esclamato il nonno poco dopo, prendendolo in braccio. Martino quella
volta si era divertito come mai in vita sua. Perché il vagoncino era salito su
su in alto, sino a sfiorare il cielo. E anche se lui non aveva visto nessun
grosso uccello, salvo un gabbiano solitario dalle grandi ali grigie e bianche,
si era accorto che il cielo era molto piú azzurro, lassú. Azzurro almeno quanto
il mare. «E ora giú sulla
cresta dell’onda, mio fedele Nostromo!» aveva gridato nonno Federico ogni volta
che il vagoncino a forma di barchetta si precipitava a tutta velocità verso il
basso. «Giú! Giú! Sin dentro la bocca della Balena Bianca!» Martino ora
ricorda quella fantastica avventura e fissa la signora Adele negli occhi. «Invece di salire
sulle Montagne Russe, potresti fare un giro sull’autoscontro o sulla giostra
dei cavalli…» gli propone lei. Ma Martino scuote
la testa. Non gli è mai piaciuto l’autoscontro. E gli piacciono ancora meno
quei cavalli di plastica che girano in tondo e non vanno da nessuna parte. «Torniamo a casa?»
le chiede. E intanto pensa a Toby, e si domanda se mamma gli permetterà di
farlo salire ancora in camera sua, per fargli un po’ di compagnia. (continua...) |