1 Nelle
paludi di Tavialis
Thothis guardò Piai e per
evitare di andare su tutte le furie contò di
nuovo sino a dieci. A dire la verità avrebbe preferito afferrare una delle
robuste canna da pesca appoggiate sul tronco del Vecchio Sicomoro e dargliela forte
sul groppone, sino a quando lui non avesse chiesto mille volte perdono. -
Piai, eravamo rimasti d’accordo che le esche le avresti portate tu! - sbottò
Ashira. - Io e Thothis le canne! Tu le esche! -
Forse potremmo trovare qualche verme nelle terre umide dei canneti - tentò di
placarla Piai, cercando di riprender fiato. Per arrivare puntuale
all’appuntamento sotto il Vecchio Sicomoro aveva dovuto correre a perdifiato
lungo la stradina polverosa che dalla periferia di Tavialis s’inoltrava in
direzione del Grande Fiume. Tutta colpa di sua madre, che quel giorno aveva
cucinato capretto in stufato dolce, con fave, zuppa di farro e cipolle rosse.
Piai aveva mangiato due porzioni doppie di tutto e si era appisolato all’ombra
del pergolato di viti nel cortile, prima di svegliarsi di soprassalto e
ricordarsi dell’appuntamento preso per quel pomeriggio. Quello
che invece non si era ricordato era di portare con sé le esche: le mosche, i
ragnetti verdi e le code di lucertola che aveva conservato al fresco in un vasetto
di terracotta. Ashira
fissò con disgusto il pancione di Piai che strabordava dal leggero perizoma di
lino bianco che gli arrivava alle ginocchia e che a stento gli copriva i
fianchi. -
Secondo me hai di nuovo mangiato troppo e ti sei addormentato, caro
il mio amico ciccione! - gli disse, facendo un cenno a suo fratello Thothis e
avviandosi senza perdere altro tempo verso i canneti. -
Io? Quando mai! - protestò Piai, seguendoli di malavoglia e maledicendo la
linguaccia di Ashira. Ashira non gliene faceva passare una. Soprattutto da
quando era stata ammessa, contro il suo parere, nella Banda del Vecchio
Sicomoro. Ma
quel giorno avrebbe dovuto tenere a bada anche la sua, di lingua. Come
gli era venuto in mente di consigliare a Thothis e ad Ashira di andare a
cercare i vermi da esca nelle terre umide dei canneti? Se c’era un posto che lo
terrorizzava quello era proprio la vasta distesa dove le acque del Nilo, nei
primi mesi della stagione estiva di Shemu, ristagnavano basse e melmose tra
mille isolotti. Non per niente la gente di Tavialis se ne teneva alla larga.
Tra sabbie mobili, scorpioni, zanzare, serpenti, coccodrilli e altre simili
bestiacce, c’era poco da stare allegri. Thothis
però, che qualche giorno prima era stato eletto capo della Banda del Vecchio
Sicomoro, non aveva paura di avventurarsi nelle paludi. E sua sorella Ashira,
di un anno più grande di lui, ancora meno. Procedettero a passo svelto verso i
canneti e abbandonarono con un sospiro il sentiero che portava alla più
tranquilla Ansa di Katopek, una piccola spiaggia che si affacciava sul Nilo a
nord di Tavialis, l’unico punto dove le acque del Grande Fiume scorrevano così
lente da sembrare quasi immobili e dove la pesca era sempre abbondante. S’inoltrarono
nella distesa di canneti, avanzarono lungo una striscia di terra circondata da
alti steli di papiro, proseguirono per qualche decina di metri nell’acqua che
ormai arrivava loro alle ginocchia e poi si issarono su un cordone di sabbia
nera. Quello era il posto ideale per trovare i vermi da esca. Un rumore
improvviso arrestò però i loro passi. Fecero
appena in tempo ad avvertire un rapido movimento tra le folte ombrelle dei
papiri e un attimo dopo una coppia di ibis dai becchi arcuati sfiorò le loro
teste e sbattendo le ali si allontanò in volo. Un’upupa dalla cresta gialla
seguì il loro esempio e una grossa mangusta dal pelo irsuto e fulvo si lanciò
anch’essa fuori dalla vegetazione, sfiorando nella sua fuga le gambe di Piai. -
Ahaaaaa! - disse a mezza voce Piai, facendo un passo indietro - Cos’era quello? -
Zitto, stupido! - lo redarguì Thothis, afferrandolo per un braccio e
costringendolo a stendersi a terra. - Non siamo soli… In
lontananza si levarono alcune voci concitate. - Che Seth lo incenerisca, quel traditore! Da che
parte è andato? - Dev’essersi nascosto qui intorno! Fate
attenzione! Non deve sfuggirci! Thothis
strisciò al riparo dei giunchi. Aspettò che Ashira e Piai lo raggiungessero e
indicò con la testa un cordone di sabbia non molto distante, parallelo al loro,
che emergeva in un tratto di palude dove le acque erano più profonde. A pochi
passi dalla riva, in un tratto privo di vegetazione, un uomo scavava
freneticamente nella sabbia con le mani. Levò qualcosa da un sacchetto che
portava appeso al collo, lo infilò nella buca, la ricoprì e vi poggiò sopra un
grosso sasso, in modo da nascondere ogni traccia. Fece
appena in tempo a concludere il lavoro che alle sue spalle comparvero tre
uomini. Indossavano corte tuniche bianche senza maniche, strette ai fianchi da
una cordicella di lino. Erano armati di corte spade brunite. -
Fuggiamo… - sussurrò Piai. -
Chiudi quella boccaccia - fece di rimando Thothis. - La Banda del Vecchio
Sicomoro non fugge davanti a niente e a nessuno. Anche
Ashira lanciò un’occhiata di disapprovazione a Piai. Ma in cuor suo avrebbe
dato non so cosa per trovarsi lontana da lì. Lontana almeno quanto lo era
Pi-Ramesse, la dimora della nuovo faraone Tauosret, da Tavialis. Perché se
quelli erano davvero banditi, così come tutto lasciava sembrare che fossero,
anche loro si trovavano in pericolo. Se avesse avuto il suo arco e le sue frecce,
forse sarebbe stato diverso. Ma cosa potevano fare tre ragazzini disarmati, di
cui uno ciccione come un’oca cicciona messa all’ingrasso per la Festa della
Mietitura, contro tre uomini armati di tutto punto? Eppure
non riusciva a staccare gli occhi da quella scena. - Tu hai qualcosa che non ti appartiene! -
gridò il più alto e grosso dei tre uomini, un gigante dalla testa rasata
attraversata da una profonda cicatrice bluastra, puntando contro il fuggiasco
la sua spada. L’uomo
che aveva nascosto qualcosa nella sabbia gridò: - Se lo volete venite a prenderlo! Si
girò di scatto e si lanciò in acqua. Ma prima che i tre uomini potessero
gettarsi al suo inseguimento l’acqua si increspò di una schiuma gialla che
rapidamente diventò color rosso bruno. Thothis
fece in tempo a vedere una lunga coda munita di grosse scaglie agitarsi per un
attimo nell’aria, poi più nulla. Ma la cosa più strana fu che l’uomo trascinato
via dal coccodrillo sparì sotto l’acqua senza emettere né un lamento né un
grido. -
Che facciamo ora? - chiese uno dei banditi al gigante. L’uomo
restò per un lungo attimo a fissare l’acqua, che lentamente riprendeva il suo
colore grigiastro. -
Maledizione! Non possiamo fare più niente ormai! - rispose aspramente. E detto
questo girò le spalle e si allontanò seguito dai suoi compagni. Prima
di sollevarsi dal loro nascondiglio i tre ragazzi attesero che il sole
percorresse un buon tratto di strada verso occidente. -
Sei sicuro di voler tentare? - chiese Ashira a Thothis, gettando un’occhiata
inquieta alle acque melmose e scure. - Forse potremmo tornare domani, all’alba,
e cercare un sentiero sicuro che ci porti sin lì. -
Secondo me è una pazzia - mormorò Piai. - Faremmo bene a tornare subito a
Tavialis… Thothis
non rispose e recise con il suo coltellino di selce un altro stelo di papiro,
il terzo, poi lo allungò nell’acqua vicino agli altri. -
Non c’è nessun pericolo - disse. Si levò i sandali, tese davanti a sé i lunghi
steli ed entrò in acqua, facendo in modo che le morbide ombrelle dei papiri ne
agitassero la superficie. - In questo modo, se quel coccodrillo dovesse
aggirarsi ancora da queste parti - aggiunse, - verrà attirato dal movimento
delle ombrelle e si lancerà su di esse, mentre io dovrei riuscire a scamparla.
E’ un trucco che mi ha insegnato Makombo, questo. -
Makombo il Nubiano è matto come una rana - provò ancora a protestare Piai, con
poca convinzione, sapendo che non sarebbe riuscito a far cambiare idea al suo
amico. Thothis
si inoltrò nell’acqua, che presto gli arrivò ai fianchi. Continuò ad agitare le
ombrelle con un movimento ampio e semicircolare, sin quando l’acqua gli arrivò
al petto. A quel punto lanciò gli steli di papiro dinnanzi a sé, si lanciò a
nuoto a superò velocemente l’ultimo tratto che lo separava dal cordone di
sabbia. Piai e Ashira lo videro spostare il grosso sasso e scavare con le mani.
Dopo un po’ Thothis si levò in piedi e alzò il braccio nella loro direzione. -
L’ha trovato, di qualsiasi cosa si tratti! - esclamò Piai, cercando inutilmente
di allontanare con un ramoscello di oleandro un nugolo di zanzare intento a
banchettare sulla sua schiena. - Ma che fa ora? -
Non lo so… - sussurrò Ashira. Sul
cordone di sabbia di fronte a loro Thothis si era rimesso in ginocchio. Ashira
non poteva esserne sicura, perché la distanza gli impediva di scorgerne con
sufficiente nitidezza il viso. Eppure avrebbe giurato che in quel momento suo
fratello stesse muovendo velocemente le labbra. Come se stesse pregando. Oppure
parlando con qualcuno. Ma con chi, se lì non c’era nessuno? -
Guarda! - disse a Piai. - Sembra quasi, sembra quasi… Piai
strabuzzò gli occhi. Sembrava che dalle mani di Thothis, giunte sul petto, si
diffondesse una tenue luce azzurra. Quando
il suo amico poco dopo li raggiunse si rimisero subito in cammino. Thothis
lungo il tragitto si chiuse in un ostinato mutismo, sino a quando raggiunsero
il Vecchio Sicomoro. - Piai…
- disse, di fronte al tronco secolare riarso a metà da un fulmine. Piai
spostò il cespuglio posticcio che nascondeva l’entrata del rifugio, e i tre
amici scesero la decina di scalini che avevano scavato per tutta la passata
stagione di Akhit, dopo aver scoperto che sotto il gigantesco albero si apriva
una caverna di cui mai nessuno a Tavialis aveva sospettato l’esistenza. -
Ashira - disse ancora Thothis - ricordiamoci di aggiungere altro olio alle
lampade. La luce non deve mai mancare, qui dentro -. Si portò davanti alla
piccola nicchia che avevano dedicato alla dea Hator, alla dolce Signora del
Sicomoro, e finalmente estrasse dalla tasca della tunica l’oggetto che aveva
trovato sotto la sabbia. Lo poggiò ai piedi della piccola statua della dea, e
si lasciò andare a un sospiro. -
Thothis - gli disse Ashira, poggiandogli una mano sul braccio. - Non vuoi dirmi
che ti è successo, là, su quel cordone di sabbia? Thothis
indicò con un cenno della testa il piccolo oggetto sull’altare. -
Credo che domani faremo bene a parlare con il vecchio Kenhikhopeshef… - disse. E
nei suoi occhi azzurri e preoccupati Ashira vide passare un’ombra. 2 Parola di scriba - Ecco - disse Ashira - qui ci
sono le tuniche, e qui c’è il mantello. Il mantello aveva un brutto strappo.
Neferure ha provveduto a ricucirlo. -
Grazie Ashira - rispose Kenhikhopeshef, mentre la ragazza riponeva i capi di
vestiario lavati e stirati nell’armadio a muro rivestito di sottili pannelli di
acacia. - Neferure è una donna preziosa. Ma dimmi, come sta tuo padre? -
Non è ancora rientrato da Assuan. Ci è arrivata un’altra sua lettera, ieri. Ha
scritto che gli affari procedono bene, e che è riuscito ad acquistare una
partita di avorio e di pelli di leopardo a un prezzo molto conveniente. -
Tuo padre Inhermes ha sempre avuto un buon fiuto, per gli affari. Ma ora vieni,
andiamo sotto il pergolato. Ashira
seguì Kenhikhopeshef lungo i corridoi della Villa delle Palme Dum, dove il
vecchio scriba si era ritirato a vivere da qualche anno. Ancora una volta si
stupì di come lui, che aveva la schiena curva ed era ormai diventato
completamente cieco, riuscisse a muoversi senza l’aiuto di nessuno, neanche
di Makombo, il guerriero nubiano che gli faceva da servo e che in
quel momento stava lavorando nel recinto degli ippopotami. Kenhikhopeshef
si sedette sulla sua seggiola impagliata, sotto il pergolato, di fronte al
basso tavolino di legno duro di Fenicia. Aspettò che Ashira si accomodasse di
fronte a lui e con un rapido movimento delle mani si accertò che le pedine di
quarzite gialla e rossa, le prime a forma di fico allungato e le seconde tonde
e schiacciate, fossero ben disposte sulla dama. - A
te la prima mossa, Ashira - disse, accarezzandosi i lunghi baffi. Ashira
mosse la pedina e si domandò in che modo poteva introdurre l’argomento che le
stava a cuore. Il vecchio Kenhi, così come tutti i ragazzi di Tavialis
chiamavano lo scriba, aveva un carattere imprevedibile. E spesso si rifiutava
di dare ascolto persino agli illustri viaggiatori venuti da lontano per
chiedergli consiglio. Giunto ormai alla veneranda età di novantadue anni, di
cui quasi settanta passati alla corte di Ramses il Grande e poi di suo figlio
Merempaht, poteva permettersi di parlare a chiunque senza peli sulla lingua e
di cacciare da casa sua gli ospiti invadenti e inopportuni. Ashira
decise di imboccare la strada dell’adulazione. Sacrificò volutamente un’altra
pedina, la seconda. -
Certo non posso competere con chi ha giocato a dama con Ramses il Grande e con
il suo figlio reale Merempath… - disse. -
Questo è un gioco che richiede concentrazione e pazienza - rispose il vecchio
Kenhi, mangiando con una sola mossa altre due pedine. -
La pazienza è la miglior virtù degli anziani… - insistette Ashira, mandando
allo sbaraglio un’altra pedina. - E
l’impudenza e la furbizia i peggiori vizi dei giovani! - sbottò ridendo lo
scriba. - Mi spieghi, ragazza mia, perché stai facendo di tutto per farmi
vincere? Ashira
sospirò e si arrese. Non era possibile nascondere niente, al vecchio Kenhi. -
Posso parlare? - chiese. -
Ho l’impressione che le tue parole da sole non basterebbero. Perché non dici a
tuo fratello e al suo amico Piai di raggiungerci? Oltre tutto c’è un sole che
spacca le pietre, oggi, e dietro quella staccionata non c’è un filo d’erba che
regali un po’ d’ombra. Ashira
fissò in silenzio gli occhi cerulei e acquosi del vecchio. Probabilmente era
vero, quello che si diceva in giro. Kenhikhopeshef non aveva svolto solo le
funzioni di scriba, alla corte dei Faraoni, ma anche quelle di veggente e di
mago! Poco
dopo Thothis e Piai si trovavano seduti all’ombra del pergolato. Thothis
raccontò al vecchio tutto quello che era successo la sera prima e poi mise
nelle sue mani l’oggetto che aveva trovato sotto la sabbia. Si trattava di un
amuleto di pietra nera, piatta e dura, di forma ovale. Su un verso era stata
incastonata una sottile piastra d’avorio, sulla quale era stata inciso la
figura di uno scarabeo nero che reggeva sulla testa il dio sole Ra. Sull’altro
verso c’erano alcuni strani geroglifici. Quando
il vecchio l’ebbe tra le mani l’espressione del suo viso mutò. Lo lasciò andare
di colpo sul tavolino, come se scottasse, poi allungò prudentemente le dita e
seguì con i polpastrelli i tratti dei geroglifici. -
Non mi avete detto ancora tutto, vero? -
No… - intervenne Piai, agitandosi sulla sua seggiola. - Thothis… -
Zitto! - lo interruppe il vecchio. - Lascia che sia lui a parlare. -
Quando l’ho preso in mano ho avvertito subito un grande calore - disse Thothis,
con voce incerta. - Poi dall’amuleto è comparsa una luce azzurra, e io ho
visto… - scosse la testa. - …So che è difficile da credere, ma
davanti ai miei occhi è comparsa una giovane donna vestita con una lunga tunica
gialla, retta sulle spalle da due sottili bretelle di pizzo di lino bianco.
Sulla tunica era ricamata l’immagine di un albero… -
Continua - disse il vecchio Kenhi. -
…la ragazza era legata a un palo. Di fronte a lei, chiuso in una
gabbia, c’era un grosso ghepardo, e poco più in là il gigante dalla cicatrice
bluastra che abbiamo visto nella palude. La ragazza si disperava e chiedeva
aiuto - la voce del ragazzo incespicò e divenne roca, - ma per quanto mi
sforzassi di parlarle e di chiederle il suo nome, non poteva sentire la mia
voce… Kenhikhopeshef
annuì in silenzio. -
Era da molti anni che non toccavo con le mie mani un amuleto come questo.
Pensavo fossero andati tutti perduti. Ma ho l’impressione che anche Ashira
debba raccontarmi qualcosa… Ashira
giunse nervosamente le mani sul grembo. -
Prima di rientrare a casa, ieri notte, quando anch’io ho preso l’amuleto in
mano, giù nel rifugio segreto… -
Quale rifugio segreto? - la interruppe il vecchio Kenhi. Ashira,
spiazzata, girò lo sguardo verso Thothis. - A
lui possiamo dirlo… - la invitò a continuare suo fratello. Kenhikhopeshef
venne così a sapere della caverna sotto il Vecchio Sicomoro, della formazione
della banda, a cui appartenevano oltre a loro anche due altri amici, i gemelli
Ani e Kheti, e dell’elezione di Thothis avvenuta per alzata di mano,
all’unanimità. -
Quindi sei tu, Thothis, il capo della Banda del Vecchio Sicomoro… - disse con
un sorrisetto lo scriba, accarezzandosi i baffi. - Ma perché non Ashira? Ashira
tira meglio con l’arco e con la fionda, è veloce come una gazzella ed è
abilissima in tutti i giochi di destrezza e d’intelligenza. Anche a dama,
quando non vuole adulare un vecchio brontolone come me… Ashira
arrossì sino alla radice dei capelli. -
Ma lei… lei è una donna! - provò a protestare Piai. - E
allora? - lo redarguì senza smettere di sorridere Kenhikhopeshef. - Forse che
Tauosret, vedova di Seti II, che oggi siede sul trono del Basso e dell’Alto
Egitto con il titolo di Faraone, non lo è? Avete ancora molto da imparare
ragazzi, e mi sa che il vostro maestro, sebau Kara,
a scuola non vi insegna abbastanza -. Si levò in piedi e indicò
l’amuleto: - Lasciamolo lì per ora, nessuno lo toccherà. Nel mentre andremo a
trovare il buon Makombo al suo recinto degli ippopotami. Dopo di che Ashira
finirà il suo racconto. Il
recinto degli ippopotami di Makombo il Nubiano si trovava sul finire di un
lungo sentiero che s’inoltrava nella piantagione di palme dum ormai abbandonata
che dava il nome alla villa, e consisteva in una vasta pozza d’acqua fangosa
rifornita dal Nilo attraverso un complicato sistema di canali e di chiuse.
Makombo, sulla sponda opposta della pozza, con un lungo bastone in mano e
vestito con un solo perizoma di pelle chiara di antilope che spiccava sul suo
corpo muscoloso e nero, fece loro un segno di saluto. -
Cosa vedi, Piai? - chiese Kenhikhopeshef. -
Una pozza d’acqua con dentro tre grossi ippopotami che sguazzano nel fango -
rispose il ragazzo, sforzandosi inutilmente di trattenere un risolino. - E
cosa dice la gente di Tavialis, di Makombo il Nubiano? -
Che è matto come una rana… -
Perché? Piai
smise di sorridere. La voce del vecchio Kenhi si era fatta cupa e seria e non
riusciva a capire dove volesse arrivare. -
Perché…, perché si è messo in testa di allevare gli ippopotami. Per venderne la
carne, forse, ma nessuno mangia la carne di quelle orribili bestiacce, in
Egitto! -
Esatto - disse il vecchio scriba. Si passò una mano sugli occhi. - Nessuno
mangerà né mai ha mangiato carne di ippopotamo in Egitto, così come in Nubia.
Eppure Makombo è stato un valoroso guerriero, principe del suo popolo e fedele
ufficiale nell’esercito egiziano, prima di diventare matto come una rana, come
dici tu. O prima che il suo spirito precipitasse nelle mani del suo dio, come
dicevano gli antichi. Io però al vostro posto non lo sottovaluterei.Quel matto di
un nubiano è stato capace di compiere imprese incredibili. Un giorno o l’altro
vi racconterò la sua storia… -. Cercò con la mano la testa di Ashira e
l’accarezzò: - Ricordate che la Regola di Maat, l’immutabile legge divina che
regge le sorti di ogni esistenza, non fa differenze tra uomini e donne, nella
buona come nella cattiva sorte. Non in Egitto, almeno. E che se che un uomo
valoroso può cadere in disgrazia, una giovane donna che possieda le giuste
capacità e il giusto coraggio può arrivare a qualsiasi traguardo nella vita… Thothis
guardò con orgoglio sua sorella. - E
ora Ashira, prima che vi spieghi che cosa sia e da dove provenga quell’amuleto,
raccontami la visione che ti ha procurato. Ashira
distolse lo sguardo da Makombo il Nubiano, che ora si avvicinava a grandi passi
nella loro direzione, con il solito sorriso appiccicato sulla faccia asciutta e
spigolosa, e raccontò ciò che aveva visto. Quando finì Kenhikhopeshef li
condusse di nuovo a casa, fece servire da Makombo succo di banano e focaccine
di orzo e menta, di cui Piai si abbuffò a man bassa senza alcun ritegno, e
spiegò loro l’origine dell’amuleto. -
Ora avete due possibilità - concluse. - Potete andare al comando di polizia a
Tavialis e raccontare quello che avete raccontato a me, ma dubito che
crederebbero alle vostre parole. Oppure… -
Oppure? - chiesero all’unisono Thothis ed Ashira, con un certo tremore nella
voce. -
Oppure affrontare un’avventura che, parola di vecchio scriba, potrebbe anche
essere molto molto pericolosa…
3 Nel
segno di Amon, di Ra, di Ptah e di Seth - Se ho ben capito quell’amuleto
ha il potere di evocare visioni di qualcosa che è già accaduto - disse Ani,
seduto per terra a gambe incrociate affianco a Piai e a suo fratello Kheti. -
Sì. Oppure di qualcosa che dovrà ancora accadere, come ci ha spiegato il
vecchio Kenhi - intervenne Thothis, accendendo con uno stoppino un’altra delle
candele avute in dono dallo scriba. Erano speciali candele di grasso mescolato
con polvere di natron e non facevano fumo. Ora che la banda era riunita al
completo nella caverna del Vecchio Sicomoro, Thothis voleva vedere bene in viso
ciascuno dei suoi amici. -
Il vecchio Kenhi sostiene che amuleti magici come questo, con l’emblema dello
scarabeo nero, venivano deposti nei sarcofagi degli antichi Faraoni e dei
nobili dell’Alto e del Basso Egitto - continuò. - Sostiene anche che sono molto
rari e preziosi e che questo faceva sicuramente parte del bottino di una tomba
profanata. L’uomo che abbiamo visto fuggire doveva essere un complice dei
banditi. Si è impadronito dell’amuleto e i suoi compagni gli sono andati dietro
per riprenderselo… Thothis
rigirò l’amuleto e mostrò i geroglifici: - Lo scorpione senza pungiglione è un
antico segno bene augurale. E questo che sembra un arco di guerra incrociato
con una testa di ibis - concluse - è in realtà qualcosa di cui neppure
Kenhikhopeshef ha saputo o ha voluto spiegarci il significato. Per
un lungo attimo nella caverna regnò il silenzio. I due gemelli, dalla pelle
olivastra e dagli accentuati occhi a mandorla, ancora non capivano dove Thothis
volesse andare a parare. -
D’accordo - disse Kheti. - Ammettiamo che tutto questo sia vero e che tu non
abbia avuto un’allucinazione. Cosa proponi di fare? Quegli uomini che avete
visto nella palude dovevano essere dei predoni, probabilmente degli assassini,
e anche se volessimo aiutare quella ragazza, come potremmo farlo? -. Si girò
verso suo fratello Ani per cercare conferma alle sue parole: - Non potremmo
certo affrontarli da soli, e non abbiamo idea di dove la tengano segregata… -
Questo non è esatto - intervenne Ashira. - Non completamente. Anch’io ho
stretto in mano l’amuleto. E ho visto qualcosa che ci potrà aiutare. -
Che cosa? - chiese Kheti. -
Una città. Non molto grande. Ai cui margini si erge un piccolo tempio dedicato
al dio Monthu, interamente scavato in una grande roccia di granito nero,
circondata da quattro canali che si intersecano tra loro, sui quali poggiano
altrettanti ponticelli che conducono al tempio… -
Il vecchio Kenhi ci ha detto che le due visioni sono sicuramente collegate. E
che un tempio simile si trova nei pressi di Sedhet, una cittadina a metà strada
tra Nakada e Dendara, sulla riva occidentale del Grande fiume - spiegò Thothis.
- Non dovremmo metterci molto a raggiungerla, se domattina troveremo
un’imbarcazione che ci conduca sino al porto di Nakada. Thothis
si zittì e fissò Piai, l’unico che sino a quel momento non aveva preso la
parola. -
Forse, se andassimo tutti insieme al posto di polizia… - biascicò Piai, sulla
cui fronte erano comparse minuscole stille di sudore. -
Sarebbe inutile - lo bloccò Ashira. - Anche il vecchio Kenhi ha detto che non
ci crederebbero mai. L’unica cosa che possiamo fare è metterci in marcia e
andare sul posto. Lì potremmo trovare indizi più precisi. Poi qualcosa ci
inventeremo -. Volse lo sguardo alla statuetta della dea che reggeva in una
mano lo stelo di papiro e nell’altra il sistro - … La Signora del Sicomoro ci
proteggerà. Thothis
osservò attentamente i suoi amici. Piai non avrebbe creato problemi. Alla fine
si sarebbe adeguato alla decisione comune. Ma Ani e Kheti erano due ossi duri.
Anche se lui forse sapeva come fare a convincerli. -
C’è un’altra cosa che Ashira ha visto stringendo l’amuleto - aggiunse con
noncuranza. - A pochi passi dall’entrata nel tempio c’era un grande orologio
solare, con il pilastro costruito in ardesia e con la base in pietra biat,
in arenaria giallo bruna… Ashira
mantenne un’espressione imperturbabile ma dentro di sé sorrise. Thothis aveva
trovato il punto debole dei due gemelli. Nessuno come loro, a scuola, si era
mostrato interessato alle lezioni di meccanica, di matematica e di misurazione
del tempo. E sapevano tutto degli orologi solari e di quelli ad acqua. I loro
modellini costruiti nel laboratorio annesso alla scuola erano stati persino
esposti alla fiera di Tavialis, l’anno precedente. -
Com’era il sistema di misurazione? - chiese Kheti ad Ashira. -
Inciso in tacche di un’ora e di metà ora… - E
l’asse di rotazione? Aveva un asse di rotazione, in pietra o in legno duro,
ovviamente… - intervenne Ani. -
Questo non saprei dirtelo… I
due gemelli si fissarono negli occhi. -
Cosa diremo a casa? - domandò ancora Kheti. - Vostro padre Inhermes è in
viaggio e dovrete affrontare solo la vostra governante Neferure. Ma i nostri
genitori e quelli di Piai… -
Direte che andremo per una battuta di pesca all’ansa di Katopek e che ci
fermeremo a dormire per qualche giorno nel capanno costruito da Makombo. -
suggerì Thothis. - L’abbiamo fatto anche l’anno scorso, se ricordate… - E
la scuola? - chiese Piai. -
La scuola resterà chiusa sin quando sebau Kara non si
rimetterà dalla sua febbre da gotta - disse Ashira. - E noi ci assenteremo solo
pochi giorni, dopotutto… Thothis
ruppe ogni indugio e sollevò la mano: - Io voto a favore - disse. Ashira seguì
il suo esempio e dopo un attimo di indecisione i gemelli fecero altrettanto.
Poi quattro paia di occhi si volsero verso Piai. Il quale finalmente alzò la
mano. Quella
sera, prima dell’imbrunire, Thothis e Ashira fecero i preparativi per la
partenza. Sistemarono delle provviste di cibo in due ampi sacchi di tela grezza
e riempirono due borracce di pelle di vitello con acqua e menta. Dopo cena si
recarono in giardino, dove al riparo di una folta siepe di oleandri sorgevano
le piccole cappelle dedicate agli iakh iker, agli spiriti degli
antenati. Quella della loro madre Anthira, morta di parto nel dare alla luce
Thothis, era stata edificata vicino a quella del nonno paterno, Paefraui, che
aveva combattuto nell’esercito di Ramses il Grande. I
due ragazzi si raccolsero un attimo in meditazione, poi si sedettero sullo
scalino di pietra della cappella di nonno Paefraui. -
Siamo sicuri di fare la cosa giusta, Thothis? - chiese Ashira dopo un po’,
ravviandosi i lunghi capelli con la mano. - Se nostro padre venisse a sapere
cosa stiamo combinando… Thothis
non rispose subito. Pensieroso tirò qualche sassolino in mezzo all’erba. Una
cicala fece sentire la sua voce e un’altra le fece subito da eco. -
Ti ricordi dei racconti di nonno Paefraui - disse, - qui in giardino, quando
scendeva la sera? -
Sì. I suoi occhi si illuminavano, quando parlava di Ramses il Grande, e di come
anche lui partecipò alla battaglia contro gli Hittiti a Qadesh, sul fiume
Oronte. - A
papà non faceva piacere, che sentissimo quei discorsi… - Papà
ha sempre avuto paura che nelle tue vene scorresse il sangue impetuoso di nonno
Paefraui - sospirò Ashira. -
Ti ricordi il nome delle quattro divisioni comandate da Ramses? Amon, Ra, Ptah… -
…e Seth! Nel nome di Amon, di Ra, di Ptha e di Seth! Così
diceva il nonno. -
Chi avrebbe potuto sconfiggere un esercito chiamato con il nome di dei così
potenti? Non credi che questa potrebbe diventare anche la parola d’ordine della
Banda del Vecchio Sicomoro? -
Sì. Ma ricordo che il nonno diceva anche un’altra cosa… - aggiunse Ashira
sottovoce. -
Che cosa? -
Che il soldato più valoroso è anche quello più prudente. Mi prometti che non
farai pazzie, Thothis? Solo
in quel momento Thothis si rese conto che Ashira era preoccupata per lui. Era
sempre stato così, d’altronde. Sua sorella era capace di affrontare qualsiasi
pericolo e qualsiasi spericolatezza, come nelle corse a pelo sui cavalli
lanciati a briglie sciolte all’ippodromo di Tavialis, nelle feste del
Capodanno. O come nelle gare di tuffi sul Grande Fiume da piattaforme così alte
che sembravano voler bucare il cielo. Ma era sempre stata molto protettiva, nei
suoi confronti. -
Ti prometto che sarò prudente - sussurrò. Chiuse per un attimo gli occhi e
rivide il viso della ragazza legata al palo. Non riusciva a levarselo dalla
mente. -
Vedrai che in un modo o nell’altro qualcosa riusciremo a fare - gli disse
Ashira, intuendo i suoi pensieri. Per un po’ si tennero stretti mano nella
mano, sino a quando la voce tonante di Neferure non li richiamò in casa. -
Così domattina dovreste andare a pescare? - li affrontò la governante, con le
mani sui fianchi. Neferure, un donna alta, robusta e dal viso largo, che era
stata anche la loro balia, si vantava di conoscerli come il fondo delle sue
tasche. -
Sì - disse Thothis, senza abbassare lo sguardo. - E
allora mi spieghi come mai ho trovato la fionda e il pugnale di guerra di tuo
nonno infilati nel fondo della tua sacca? E tu ragazzina - si rivolse ad Ashira
- perché mai hai messo ai piedi del tuo letto il suo arco con la faretra e le
frecce? -
Ho promesso ad Ani e Kheti che gli avrei fatto vedere le armi di nonno Paefraui
- disse senza scomporsi Thothis. - E
l’arco e le frecce potranno tornarci utili per cacciare qualche piccione,
Neferure - aggiunse Ashira. - Hai presente quanto siano buoni i piccioni cotti
alla brace con foglioline fresche di salvia e rosmarino? Girarono
le spalle alla governante, incapace di spiccicare un’altra sola parola, e si
diressero nelle loro camere da letto. Ashira si lavò i denti con la pasta
dentifricia al tamarindo che suo padre aveva acquistato da un grossista alla
fiera di Eliopolis, nel Basso Egitto, si rinfrescò il viso con l’acqua del
catino posto davanti alla specchiera e poi si stese sul suo letto. Allungò
la mano sotto il poggiatesta e si accertò che il sacchettino di pelle rossa che
le aveva dato Kenhikhopeshef fosse ancora al suo posto. |