RICORDOCHENON

Gli occhi del barbagianni




occhibarbagianni


Primo capitolo

  Sì lo so. Io non dovrei essere qui con voi.
    E non dovrei raccontarvi questa storia. Perché?
    Innanzitutto perché il mio nome è Arif, e niente affatto Mario, Carlo, Giovanni,      Antonio, Luciano, Francesco o Luigi. E poi perché il mio cognome è Selimovic, e non Bianchi, Rossi o che so io.
    E ancora, vi dirò la verità, io proprio non dovrei raccontarvi questa storia (anche se sì, ho una gran voglia di farlo), perché io, amici miei, sono solo un Rom, cioè, come dite voi, uno Zingaro.
    Ho dodici anni, quasi tredici, mi chiamo Arif Selimovic - figlio di Zarif, figlio del Vecchio Omo, che ha i capelli di neve e gli occhi neri di pozzo profondo - e sono un Rom, dei Rom Khorakhanè, il Popolo degli Uomini.
    Vivo in un campo di periferia vicino vicino alla vostra città, sapete, dove un barbagianni dai vecchi vecchissimi occhi ha fatto il suo nido, sul ramo più alto di un albero di fico. Ma voi, devo proprio dirlo, voi Mario, Carlo, Giovanni, Antonio, Luciano, Francesco e Luigi - ed anche voi, Maria, Carla, Giovanna, Antonia, Luciana, Francesca e Luisa, o che so io - quando mi incontrate per strada mica vi fermate a parlare con me.
    Anzi, diciamo la verità, spesso girate la testa, guardate da un'altra parte, abbassate gli occhi, indifferenti, e fate finta di non vedermi, o che so io.
    Figuriamoci se avete voglia di starmi a sentire.
    Ma c'è un altro motivo per cui non dovrei raccontarvi questa storia.
    Il fatto è che io non so leggere. E quindi non dovrei neanche saper scrivere.
    Come faccio allora? Lo faccio lo stesso.
    Perché dopotutto se esistono uccelli che nuotano, pesci che volano e persino uomini che ogni tanto cambiano idea, allora vuol dire che io questa storia, senza saper leggere e neppure scrivere, ve la posso proprio raccontare.
    E in fondo si tratta solo di una storia. E questo è solo un libro: mica siete obbligati a credermi.
    Però di storie come questa, di paramica, come noi le chiamiamo in romanès (la nostra antica lingua), ce ne sono proprio poche al mondo.
    Non è mai stata scritta sui libri e non la conosce ancora nessuno.
    Non la raccontano i babbi, non la raccontano i nonni è neppure Mamma Televisione.
    Questa storia la conosciamo davvero in pochi.
    Ed è una magnifica storia. La storia di Bianca, la principessa che fuggì dal passato per farsi Zingara - Zingara tra gli Zingari - del prete Isidoro, del Vecchio Omo (che Del lo benedica), di un Re e di un campo di periferia zeppo zeppo di baracche, di uomini e fuochi, fantasmi e tesori...

                          Secondo Capitolo

    Mio nonno, il Vecchio Omo, ha i capelli di neve e gli occhi neri di pozzo profondo. Ogni mattina, quando il sole si solleva a mezzotondo, accende il primo fuoco nel Campo e poi va via.
    Qualcuno dice che si trasforma in aquila e vola in alto a fare il pelo alle nuvole, insieme al suo amico barbagianni, e qualcun altro dice invece che scomparve là dove il tempo si ferma, e che è per questo che non invecchia più di quanto sia vecchio e che non si decide a morire.
    Ma queste ovviamente sono solo chiacchiere.
    In realtà il Vecchio Omo, tutti lo sanno, ogni mattina attraversa il confine che separa il nostro Campo della città dei gagè, la vostra città, e poi si perde tra i suoi asfalti e cementi. O che so io.
    Cammina un po' di qua e un po' di là e ogni tanto riesce a vendere uno dei suoi piatti battuti nel rame col ferro e col fuoco.
    E poi, quando scende la sera, torna a casa.
    A casa per modo di dire, certo, perché le nostre case, voi direte, sono baracche storte di lamiera e legno pesto. Ma quando torna ci chiama uno per uno, a noi ragazzi, e si siede con noi intorno al fuoco.
    Il vecchio Omo davanti al fuoco ha straordinarie risate, mani che giocano con le fiamme e un sacco e mezzo di storie da raccontare.
    Dovete sapere che lui sa leggere. E sa anche scrivere.
    Ha fatto il partigiano, lui - nella vecchia e terribile guerra contro gli Ustascia cavalocchi e ammazzabambini del terribile Artukovic - e conosce proprio un sacco (e mezzo) di storie.
    E stato per merito suo se ho potuto conoscere Bianca e Isidoro (e anche, purtroppo, il terribile Re e i suoi soldati che ci inseguirono tra le Maschere del Carnevale). Ed è stato ancora per merito suo se ho visto la Porta nel Fumo del Fuoco sotto il Cielo di Stelle al Mattino.
    Tutto questo, amici miei, cominciò qualche tempo fa.
    E proprio intorno al fuoco. (...)



















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