Le fiabe del mare (filastrocca introduzione, 2 pagine) In fondo al mare, nel blu profondo devi sapere che c’è un altro mondo. Un mondo sospeso, leggero, incantato che sotto le onde è sempre animato: delfini, sirene, tesori e balene, stelline incantate e piccole Fate; castelli sommersi, conchiglie e sentieri coralli, meduse e tanti misteri. Ma chi è che racconta le fiabe del mare? Non è un pesce palla, né un pescecane. Non è un pesce luna, né un pesce nasello Non è un calamaro, né un pesce martello. Non è un ippocampo, né un riccio di mare: è solo un Pirata che non sa nuotare. Per questo sta a galla a cavallo di
un’onda con il suo veliero e una voce profonda. Sospinto dal vento, baciato dal sole il vecchio Pirata racconta per ore: racconta le storie e le fiabe del mare per tutti i bambini che sanno sognare… Il pesciolino che non voleva saperne di
andare a scuola C'era una volta un pesciolino che si
chiamava Arturo e che non voleva saperne di andare a scuola. “Uffa!”diceva. “Quella maestra Triglia è
proprio noiosa! E non mi fa mai giocare abbastanza!” Così un giorno, invece di andare a scuola,
se ne andò all’avventura per il mare profondo, dove incontrò un vecchio
granchio che faceva la guardia alla sua tana. “Dove vai, così solo soletto?” gli chiese
il vecchio granchio. “Vado all’avventura!” rispose il
pesciolino Arturo. “Stai attento!” gli disse allora il
granchio. “Andare all’avventura può diventare una faccenda molto pericolosa,
per un pesciolino piccolo come te!” Ma Arturo non gli diede retta e continuò a
nuotare nel mare profondo, sino a quando incontrò una testuggine che
sonnecchiava vicino a una roccia. “Dove vai così solo soletto?” gli chiese
la testuggine aprendo un occhio. “E come mai a quest’ora non sei a scuola come
tutti gli altri pesciolini?” “Uffa, quante domande!” sbuffò Arturo. E
così e cosà spiegò alla testuggine che non c’era maestra più noiosa della sua
maestra Triglia. E che era per quel motivo che aveva deciso di divertirsi un
po’ e di andare all’avventura. “Andare all’avventura può diventare molto
pericoloso, per un pesciolino piccolo come te!” gli disse la testuggine Ma ancora una volta Arturo non volle
saperne di tornare indietro. Esplorò una caverna abitata dai pesci palla e dai
pesci luna e arrivò ai margini di una distesa di bellissime alghe verde
smeraldo, quando sentì alle sue spalle un vocione roco che diceva: “Ehi tu, pesce pescetto… dove vai così
solo soletto?” Ma Arturo questa volta non fece in tempo a
rispondere. Perché appena si girò vide una grande bocca nera che si spalancava.
E dentro la bocca sette file di denti acuminati. E poi… Gnam! Il pesciolino Arturo finì dentro la pancia
del pescecane! “Oh, povero me!” si lamentò. “Quel
pescecane mi ha proprio mangiato!” Il pesciolino Arturo però, anche se era
terribilmente spaventato, non si perse d’animo. E con le sue piccole pinne
cominciò a fare il solletico alla gola del pescecane. Un colpetto qui, un colpetto là… Un
colpetto su e un colpetto giù, sino a quando… “Etciù!!!” Il pescecane starnutì così forte che
Arturo si ritrovò in quattro e quattrotto fuori dalla sua pancia. E nuotò via
così veloce, ma così veloce, che non fece in tempo a salutare né la testuggine
né il vecchio granchio. Da quel giorno Arturo non saltò mai più un
giorno di scuola. Perché per un pesciolino piccolo come lui, era mille volte
meglio una maestra Triglia un po’ noiosa, che un’avventura troppo… pericolosa! ... . . Il Drago e l'Uovo di Pasqua - primavera C'era una volta un Drago che non aveva né
moglie né figli e si sentiva tanto solo e tanto triste. Un giorno passò vicino
a un villaggio dove si festeggiava la Pasqua e si fermò a guardare attraverso i
vetri delle case. - Ma guarda un po'! - si stupì,
accorgendosi che tutti, grandi e piccini, avevano ricevuto in regalo un
bell'Uovo. Qualcuno era colorato d'azzurro e d'argento. E qualcuno d'argento,
d'oro e di tutti colori dell'arcobaleno. Ma la cosa più straordinaria era che
ogni Uovo conteneva una sorpresa! Un giocattolino, un fermaglietto prezioso,
due soldini di caramello o un pupazzetto morbido di pelouche. "Perché nessuno mi ha mai regalato un
Uovo con la Sorpresa?" si domandò il Drago, allontanandosi dal villaggio.
E siccome aveva un cuore molto tenero, si sedette all'ombra di una montagna e
pianse un po'. "Forse" pensò "potrei
trovare anch'io un Uovo tutto per me". E si mise a cercarlo dappertutto.
Ispezionò le rive dei ruscelli e i prati fioriti. Cercò sotto i sassi, tra i
rami degli alberi, in cima alle montagne e in fondo al mare profondo. Ma quando
scese la sera di Uova con la Sorpresa non ne aveva trovato neppure uno, neppure
uno piccino piccino. E cosa avvenne proprio in quel momento? Avvenne che una contadina distratta passò
di lì e senza accorgersene lasciò cadere sull'erba un bell'uovo di gallina. Era
un Uovo molto piccolo, a dire la verità, e non era neppure colorato. "Be', meglio di niente", si
accontentò il Drago. Prese l'Uovo, lo portò a casa e per tutta la notte stette
lì a guardarlo. E così fece nei giorni e nelle notti successive, perché era
così felice di possederlo che non si decideva a guardare cosa ci fosse dentro. "Cosa ci sarà?" si domandava.
"Un pallone? Una bicicletta? Un nuovo tavolo per la cucina? Oppure una
casetta con un giardino, un albero di pere gialle, un pozzo e un'altalena? Sino a che, una bella mattina, l'uovo si
schiuse e cosa ne venne fuori? La testolina gialla di un pulcino! "Oh, oh!" disse il Drago.
"Questa sì che è una sorpresa!" "Oh, Oh!" disse il Pulcino.
"Questa sì che è una sorpresa!" Saltò fuori dall'uovo, si guardò intorno
e non vedendo nessun altro chiese al Drago: "Sei tu la mia mamma?" Il Drago arrossì un po' e non seppe cosa
rispondere. "Sì! Sei tu la mamma!" si
convinse il pulcino. E così dicendo gli saltò in braccio. Da quel giorno il
Drago e il pulcino vissero sempre assieme. E quando a Primavera arrivava la
Pasqua, si regalavano l'uno l'altro magnifiche Uova con la Sorpresa colorate
d'azzurro, d'oro, d'argento e di tutti i colori dell'arcobaleno. Pimpo Pantello che voleva dipingere il
cielo - primavera In una casetta vicino al bosco viveva una
volta un pittore un po' matto che si chiamava Pimpo Pantello. In un bel giorno di Primavera uscì di casa
con il suo pennello. "Non mi piace il colore di questi
fiorellini gialli" disse. "Ora li coloro di azzurro". E poi:
"Non mi piace il colore di questi sassolini bianchi. Ora li dipingo di
azzurro". E ancora: "Non mi piace il colore di questi fili d'erba,
ora li dipingo d'azzurro". A Pimpo Pantello piaceva molto, il colore
azzurro. Ma quando finì di colorare i fiori e i sassolini, i fili d'erba, i
tronchi degli alberi, le foglie, i frutti e anche un povero scoiattolo che
passava di lì, alzò lo sguardo verso il cielo e cosa vide? Vide che anche il cielo era colorato di
azzurro. "Oh no!" disse Pimpo Pantello.
"C'è troppo azzurro ora! Credo che dipingerò il cielo di rosso". Be', dipingere il cielo di rosso, non è
così facile. Ma Pimpo Pantello non si perse d'animo.
Prese una scala e ci salì sopra. Però il cielo stava troppo in alto e non ci
arrivò. "Allora" disse Pimpo Pantello
"metterò sopra la scala una sedia". Ma anche con la sedia sopra la
scala il suo pennello non arrivò a toccare il cielo. Così mise sopra la sedia un'altra sedia. E
poi un tavolo, una botte, un armadio, una cassapanca, tre cuscini, un pentolone, un materasso e una
vecchia ruota di carro. E senza accorgersene si avvicinò un po'
troppo al Sole. "Cosa vuoi fare Pimpo Pantello?"
gli chiese il Sole. "Voglio dipingere il cielo di
rosso" spiegò Pimpo Pantello. "Forse poi dipingerò anche te di un bel
colore rosso acceso, come quello delle fragole di bosco." Ora, dovete sapere che se c'è un colore
che al Sole non piace proprio, quello è proprio il rosso. "Tu non dipingerai un bel
niente!" disse così il Sole. E subito chiamò in aiuto il suo amico il
Vento. E il Vento soffiò e soffiò sin quando Pimpo Pantello perse l'equilibrio
e... patapunfete! Ruzzolò per terra seguito dalla ruota di carro, dal
materasso, dal pentolone, dai cuscini, dalla cassapanca, dall'armadio, dalla
botte, dal tavolo, dalle sedie e dalla scala! Proprio un bel ruzzolone, ve lo dico io! Dopo di che il Sole chiamò una Nuvoletta
che con un po' di pioggerellina ripulì tutto ciò che Pimpo Pantello aveva
dipinto d'azzurro. Da quel giorno Pimpo Pantello dipinse solo
bellissimi quadri che appendeva alle pareti della sua casetta. E in tutti i
quadri il cielo era colorato come si deve: con un bel colore azzurro di
Primavera e neanche un po' di rosso. . . . . . . . . . . . Alfredo e il Singhiozzo di Primavera -
primavera “Hip, Hip!” disse il papà, diventando
rosso come un pomodoro e facendo un saltello sulla sedia. “Oh, no!” disse la mamma, portandosi le
mani sul viso. “Oh, no!” disse anche Alfredo. Il papà
aveva di nuovo il singhiozzo! E non un singhiozzo come tutti gli altri. Ma proprio
il peggior singhiozzo che possa venire a un papà, cioè il terribile Singhiozzo
di Primavera! Avete mai sentito parlare del Singhiozzo
di Primavera? E’ un singhiozzo che viene solo a
primavera, e che colpisce solo i papà, che diventano rossi in viso e fanno
“Hip, hip! Hip, hip!”, saltellando sulle sedie come canguri innamorati. “Devo fare qualcosa per far passare il
Singhiozzo di Primavera a papà!” pensò Alfredo. E siccome l’unico modo era
quello di procurargli uno spaventevolissimo spavento, andò subito nel bosco a
cercare qualcosa di spaventosamente spaventoso. “Vediamo un po’” si domandò strada
facendo. “Cosa potrebbe spaventare il mio papà? Ci sono! Un leone! Oppure una
tigre, o un elefante con un diavolo per cappello! Ma cerca e cerca, di leoni, tigri ed
elefanti, Alfredo nel bosco non ne trovò neppure uno. Trovò solo un furetto che
si leccava una zampetta ferita dalla tagliola. “Be’, meglio di niente” si disse Alfredo. Raccolse il furetto, lo portò a casa, gli
curò la zampetta e poi lo nascose sotto il cuscino del papà, per fargli
prendere un po’ di spavento. Ma quando quella sera il papà si accorse
dello strano ospite nel suo letto, non si spaventò affatto e disse: “Hip, hip!
Che simpatica bestiolina!” E cominciò a saltellare nel letto, facendo venire il
mal di mare alla mamma. “Farò spaventare io il papà” pensò allora
Alfredo. E quella notte prese un lenzuolo e fece finta di essere un fantasma. Ma a spaventarsi fu solo il furetto, che
si nascose sotto le coperte, mentre il papà continuava a saltellare nel letto
dicendo “Hip, hip! Hip, hip!” Povero papà! E povero Alfredo! La mattina dopo però successe una cosa
molto strana. Mentre il papà saltellava in cucina, il furetto scappò in
giardino, si arrampicò su un albero, raggiunse il ramo più alto e non riuscì
più a scendere. “Oh, no! Ora di sicuro cadrà” disse
Alfredo, vedendolo penzolare con le zampette nel vuoto. “Ci penso io!” esclamò il papà. E così
dicendo, il papà si arrampicò coraggiosamente sull’albero, raggiunse il furetto
e lo mise in salvo. E quando tornò giù non saltellava più e non aveva più
nemmeno il singhiozzo. Alfredo capì così che per far passare il
Singhiozzo di Primavera non serviva affatto uno spaventevolissimo spavento. Ma
solo un grande coraggio, come quello del suo papà. Lucilla che asciugò l'acqua del mare -
estate Quando arrivò l'estate Lucilla andò al
mare e decise che il mare era troppo grande e troppo profondo. "C’è troppa acqua in questo mare!”
disse. “Prenderò il mio secchiello e ne porterò via un poco." Scavò una buca nella sabbia, riempì il suo
secchiello con l'acqua del mare e la versò nella buca. E riempi e versa e
riempi e versa, non si fermò sino a quando del mare non rimase che una misera
pozzanghera. Non fu certo una bella idea! "Chi ha rubato l'acqua del
mare?" chiese infuriata, una balena che si era arenata nel basso fondale.
"E come faremo ora a nuotare?" aggiunsero tre pesciolini, un vecchio
gambero e un pescecane. "Se fossi in te" disse un
gabbiano a Lucilla "rimetterei subito l'acqua al suo posto, prima che quel
pescecane si arrabbi davvero." "Va bene" disse Lucilla. Ma quando guardò dentro la buca, Lucilla
si accorse che dell'acqua del mare non ne era rimasta neanche una gocciolina,
neppure una, neppure una piccina piccina. La sabbia l'aveva assorbita tutta! E così, per ritrovare l'acqua del
mare, Lucilla dovette di nuovo scavare. Scava e scava e scava e scava, Lucilla
arrivò sino al centro della Terra, dove viveva una talpa mezzo cieca e senza
occhiali. "Hai per caso visto l'acqua del mare
che ho versato nella mia buca?" le chiese Lucilla. "Be', vista non l'ho vista"
rispose la talpa. "Ma l'ho sentita scorrere in quel buchino che arriva
lontano lontano." "Lontano lontano quanto?" chiese
Lucilla. "Lontano lontano sino all'altra parte
della Terra, dove c'è il mar della Cina" rispose la talpa. Lucilla riprese a scavare e finalmente
arrivò in Cina. Dove trovò un mare cinese così grande e così profondo, ma così
grande e così profondo, che quasi aveva sommerso tutta la spiaggia. "Uffa! Chi ha versato tutta quest'acqua
nel nostro mare?" chiesero una balena, tre pesciolini, un vecchio gambero
e un pescecane, tutti cinesi e tutti con gli occhi a mandorla. "Io se fossi al tuo posto" disse
a Lucilla un gabbiano, anch'esso cinese e anch'esso con gli occhi a mandorla,
"rimetterei subito l'acqua del mare al suo posto, prima che quel pescecane
si arrabbi davvero!" E fu così che Lucilla dovette riempire di
nuovo il suo secchiello e versare l'acqua nella buca, fin quando tutta l'acqua
del mare tornò finalmente al suo posto. Quando Lucilla rientrò a casa, quella
sera, la mamma le chiese se aveva passato una bella giornata e se si era
divertita. "Molto" disse Lucilla. E le
raccontò l'avventura dell’acqua del mare, della balena, dei pesciolini, del
vecchio gambero e del pescecane. Uboldo, Arturo e le Stella cadente -
estate Tanto tempo fa, quanto non so e nessuno lo sa,
c’era una casetta piccolina dove viveva un gigante di nome Uboldo. Lo so, lo so cosa volete dire. Se Uboldo
era un gigante, come faceva a vivere dentro una casetta piccolina? Be’, Uboldo era un gigante un po’
speciale. Tanto per cominciare non era affatto alto cento metri, un palmo e un
tappo di bottiglia, come tutti i giganti. Era anzi molto piccolino. Ma la cosa
straordinaria era che invece di crescere, ogni giorno che passava diventava
sempre più piccino. “Se continuò così” pensava Uboldo “finirà
che diventerò più piccino di un topolino di campagna.” E siccome da quelle parti gironzolava un
gatto molto affamato, prima che fosse troppo tardi andò a trovare lo gnomo
Arturo, che viveva in una gigantesca casa in mezzo al bosco. Lo so, lo so cosa volete dire. Se Arturo
era uno gnomo, cosa se ne faceva di una casa gigantesca in mezzo al bosco? Be’, Arturo era uno gnomo un po’ speciale.
Tanto per cominciare non era affatto piccolo come tutti i gnomi. Era anzi più
alto e grosso di una quercia. Ma la cosa straordinaria era che ogni giorno che
passava, cresceva sempre di più. “Povero me” gli disse Uboldo. “Se qualcuno
non mi aiuta finirà che quel gatto nero mi mangerà in un solo boccone!” “Povero me” gli rispose Arturo. “Se
qualcuno non mi aiuta diventerò così alto e così grosso che nessuna casa potrà
ospitarmi!” Uboldo e Arturo decisero così di andare a
chiedere consiglio a un vecchio e saggio porcospino, il quale gli disse di
salire in cima alla montagna: “La prossima notte sarà la notte delle
Stelle Cadenti” spiegò. “Voi non dovrete far altro che guardare in cielo, e
quando passerà una stella cadente...” “Chiuderemo gli occhi ed esprimeremo un
desiderio!” esclamò Arturo. “Ma niente affatto!” ribatté il
porcospino. “Dovrete invece acchiappare quella stella e farle il solletico sino
a quando non riderà con una risata argentina. Solo la sua magica risata potrà
risolvere i vostri problemi!” Così i due amici salirono in cima alla
montagna, e quando passò la prima stella cadente Arturo allungò una mano e
l’acchiappò. “Be’, cosa volete?” chiese la stella, che
andava di fretta e aveva poco tempo da perdere. “Solo farti un po’ di solletico” rispose
Uboldo. E così dicendo la solleticò sulla pancia con una piuma, sino a quando
la stella non cominciò a ridere e a ridere, con una bella risata argentina. Fu così che Uboldo e Arturo diventarono
finalmente un gigantesco gigante e uno gnomo piccoletto. E in quanto alla
stella, se guardate bene, è ancora lì nel cielo, che ride e ride con la sua
bella risata argentina. Lo zanzarino -estate Sulla riva di un ruscello che correva sino
al mare, viveva uno zanzarino che in un bella mattina d'estate pensò di fare amicizia
con un rospo. Ma il rospo aveva molto appetito e cominciò a inseguire lo
zanzarino per farne in quattro e quattr'otto un solo boccone. "Che rospo ingrato!" disse lo
zanzarino. "Ora gli farò uno scherzetto!" E così dicendo passò vicino alla tana di
un topo, che inseguì il rospo che inseguiva lo zanzarino, perché anche il topo
aveva molto appetito e voleva mangiare. "Oh, oh!" disse il rospo.
"Se non invento qualcosa finirò male!" E
così dicendo passò vicino alla casa di un gatto, che inseguì il topo, che
inseguì il rospo, che inseguiva lo zanzarino, perché anche il gatto aveva molto
appetito e voleva mangiare. "Da dove è saltato fuori, questo
brutto gattaccio?" si lamentò il topo. E correndo e squittendo passò vicino alla
cuccia di un grosso cane, che inseguì il gatto, che inseguì il topo, che
inseguì il rospo, che inseguiva lo zanzarino, perché anche il cane aveva molto
appetito e voleva mangiare. "Miao!" disse il gatto, che era
un gatto di poche parole. E senza aggiungere altro passò vicino alla
tana del lupo, che inseguì il cane, che inseguì il gatto, che inseguì il topo,
che inseguì il rospo, che inseguiva lo zanzarino, perché anche il lupo aveva
molto appetito e voleva mangiare. "Se questo lupo mi raggiunge mi farà
a polpettine!" guaì il grosso cane. E per non correre rischi passò vicino alla
caverna dell'orso, che inseguì il lupo, che inseguì il cane, che inseguì il
gatto, che inseguì il topo, che inseguì il rospo, che inseguiva lo zanzarino,
perché anche l'orso aveva molto appetito e voleva mangiare. "Be', visto che ci sono farò quello
che hanno fatto gli altri" pensò il lupo. E senza farsi pregare passò vicino alla
casa di un cacciatore, che inseguì l'orso, che inseguì il lupo, che inseguì il
cane, che inseguì il gatto, che inseguì il topo, che inseguì il rospo, che
inseguiva lo zanzarino... e cosa fece allora lo zanzarino, che si era stancato
di tutto quel correre di qua e di là e che aveva un cervello davvero fino? Si tuffò nel ruscello e nuotò sino al
mare, dove viveva... il pescecane! Che pancia mia, fatti capanna, affilò i
denti lunghi una spanna! Fu così che il rospo, il topo, il gatto,
il cane, il lupo, l'orso e il cacciatore finirono tutti nella pancia del
pescecane, mentre lo zanzarino canterino tornò sulla riva del ruscello a
fischiettare. Carlotta che voleva imparare a volare C’era una volta una bambina che si
chiamava Carlotta, che voleva imparare a volare. “Che sciocchezza!” la zittiva il suo papà.
“I bambini non possono volare, non hanno le ali!” “Gli uccelli volano, i pesci nuotano e i
bambini camminano” cercava invece di spiegarle la mamma. “E poi perché vuoi
imparare a volare?” “Per vedere com’è fatto il mondo
dall’alto” rispondeva Carlotta. E ogni giorno faceva lunghe passeggiate in riva
al mare, osservando i gabbiani che volavano nel cielo e pensando e ripensando a
come avrebbe potuto imparare a volare. Finché in una bella mattina di sole trovò
sulla spiaggia una piccola conchiglia. La portò all’orecchio e invece di
sentire il rumore del mare sentì una vocina che le diceva: “Sono qui per te, Carlotta. Grazie a me
potrai volare insieme a quei gabbiani nel cielo.” Carlotta osservò meglio la conchiglia. Era
di madre perla rosa ed era bellissima. Ma era pur sempre una conchiglia e non
aveva neppure un minuscolo paio di ali. Pensa che ti ripensa Carlotta decise che
c’era una sola cosa da fare. Si avvicinò a un gruppo di bambini che giocavano
sulla spiaggia e chiese loro: “Cosa mi date, se vi do questa bellissima
conchiglia?” I bambini ci pensarono un po’ e poi le dettero
un sacchetto di biglie di vetro colorate. Con quello Carlotta si avvicinò a un
rivenditore di gelati: “Quanti gelati mi dai, per queste bellissime biglie
colorate?” Il gelataio le diede tre gelati alla panna
e al pistacchio e Carlotta si avvicinò a tre pescatori che pescavano dalla
riva. “Quanti pesciolini azzurri mi date” chiese loro Carlotta, “per questi tre
buonissimi gelati alla panna e al pistacchio?” I pescatori le diedero sette pesciolini
azzurri e Carlotta li scambiò subito con un paio di racchette, una pallina e un
berrettino con la visiera. Poi scambiò le racchette, la pallina e il
berrettino, con una maschera, due pinne e un boccaglio. E poi la maschera, le
pinne e il boccaglio con una piccola bicicletta rossa. E infine la bicicletta
rossa con un grande aquilone giallo come il sole e leggero come una piuma. “Evviva!” disse Carlotta. Si procurò due cordicelle, le legò prima
all’aquilone e poi alla sua vita, prese la rincorsa insieme a un venticello
fresco che passava di lì e…via! Si librò in alto nel cielo come un gabbiano! E finalmente vide come era fatto il mondo
dall’alto: era tondo come una pallina ed era colorato di azzurro, di verde e di
bianco! Ora c'è, ora non c'è!- autunno (questa è di sei pagine, 3600 battute, nel caso
ritenessi valida l'idea di Nonno Re Frugolafrù) C'erano una volta sette fratellini, tutti
poveri e tutti affamati. Il più piccolo si chiamava Cesin Cesello e in un
freddo giorno d'autunno pensò di avventurarsi nel Bosco Nero a cercare qualcosa
da mettere sotto i denti. "Non andare Cesin Cesello" lo
implorarono il babbo e la mamma. "Non sai che nel Bosco Nero vive il
Folletto cattivo?" "Ho troppa fame per aver paura del
Folletto" rispose il bambino, che oltre ad essere molto povero era anche
molto coraggioso. "Troverò qualcosa da mangiare e sfamerò tutta la
famiglia." Uscì di casa e andò nel Bosco Nero, dove
incontrò una vecchina che raccoglieva rametti secchi per il fuoco. "Dove vai tutto soletto?" gli
chiese la vecchina. "Non sai che nel Bosco Nero vive il Folletto
cattivo?" "Ho troppa fame per avere paura del
Folletto" rispose Cesin Cesello. "Allora, se mi aiuti a raccogliere un
po' di rametti" gli propose la vecchina, "ti dirò io dove puoi
trovare qualcosa da mangiare". Cesin Cesello l'aiutò e quando ebbe finito
la vecchina gli disse: "Il Folletto nasconde sotto un
mucchio di foglie secche un grosso pentolone. Dentro il pentolone troverai
pane, fave, formaggio, prosciutto, frutta fresca, noci, mandorle e dolcetti
alla vaniglia." "Ma come farò a prendere tutto quel
ben di Dio?" chiese Cesin Cesello. La vecchina a questa domanda non rispose.
Però mise nelle mani di Cesin Cesello un sassolino bianco e disse. "Quando
verrà il momento stringilo forte e pronuncia queste parole: Ora c'è, ora non
c'è!". Cesin Cesello riprese la sua strada. Quando arrivò vicino alla casa del
Folletto vide il mucchio di foglie secche. Ma provate a indovinare chi c'era
seduto sopra? Proprio il Folletto, che aveva una gran
barba nera e fumava una pipa puzzolente. "Devo riuscire a farlo allontanare da
lì", pensò Cesin Cesello. "Ma cosa posso fare?" In quel momento si ricordò del sassolino
bianco che gli aveva dato la vecchina. Lo strinse forte e disse : "Ora
c'è, ora non c'è!". E meraviglia delle meraviglie, diventò
subito invisibile! Allora si allontanò un po' e imitò il
canto dell'usignolo. Perché dovete sapere che i folletti cattivi, non
sopportano il canto degli usignoli. Adorano l'ululare dei lupi e il miagolio
dei gatti selvatici. Ma il canto degli usignoli proprio no. "Fulmini e lampi, saette e
tuoni!" esclamò infatti il Folletto. "Mi sa che stasera a cena
sgranocchierò un usignolo arrosto!" Così dicendo corse dentro casa, prese il
fucile e si avviò in direzione di Cesin Cesello. Ma il bambino si allontanò un
altro po' e fece di nuovo il verso dell'usignolo. E di nuovo il Folletto lo
seguì, allontanandosi un po' di più dal suo mucchio di foglie secche. Proprio quello che aspettava Cesin
Cesello. Che si avvicinò velocemente al mucchio di foglie, affondò le mani nel
pentolone, si riempì le tasche con tutto quel ben di Dio e fuggì a gambe
levate. Corse e corse, e aveva tanta fretta di
arrivare a casa, che a momenti non si accorse che sul finire del sentiero il
Folletto gli sbarrava la strada. "Chi c'è lì?" gridò il Folletto,
che non poteva vedere Cesin Cesello ma che aveva sentito il rumore dei suoi
passi e il profumo di tutto quel buon cibo che nascondeva nelle tasche. "C'è chi ora c'è, e chi ora non
c'è!" rispose trattenendo un risolino Cesin Cesello. Poi riprese la sua corsa, uscì dal Bosco
Nero, arrivò a casa e mise sul tavolo di cucina il pane, le fave, il formaggio,
il prosciutto, la frutta fresca, le noci, le mandorle e i dolcetti alla
vaniglia. Fu così che la famiglia di Cesin Cesello
mangiò finalmente a sazietà, mentre il cattivo Folletto restò con il pentolone
vuoto e neanche un usignolo da sgranocchiare a cena. Piero che diventò invisibile - autunno C'era una volta un bambino birbantello di
nome Piero che imparò a leggere e per prima cosa lesse una fiaba che parlava di
un bambino invisibile. E gli piacque così tanto, la storia di quel bambino
invisibile, che decise anche lui di diventare trasparente come l'arietta fresca
di primo mattino. Perciò corse in cucina, battè il piede per
terra e disse al babbo e alla mamma: "Mamma, babbo, voglio diventare
invisibile!" "Hai sentito qualcosa, cara?"
chiese allora il babbo alla mamma. "No caro" rispose la mamma.
"Tu non hai parlato, io non ho parlato e qui non c'è nessun altro, oltre a
noi due. Quindi non ho sentito niente". "Bene!" pensò allora Piero.
"Se non riescono a sentirmi vuol dire che non riescono neppure a vedermi.
Sono diventato invisibile!". E subito cominciò a fare quello che fanno
tutti i bambini birbantelli che riescono a diventare invisibili. Frugò tra i
vestiti della mamma, tirò la coda al gatto, infilò la vaschetta dei pesci rossi
nel frigorifero, affondò le dita nel barattolo della marmellata di ciliegie e
quando venne sera, prima di sedersi a tavola, non si lavò né la mano sinistra,
né quella destra. "Da oggi in poi non mi laverò
più!" disse Piero, che non si era mai divertito tanto in vita sua. Ma
quando si sedette al suo solito posto si accorse che qualcosa non andava. La
mamma si era dimenticata di mettere sulla tavola la sua tazza del caffellatte.
E in quanto al resto niente da fare: niente biscottini e neppure un pezzettino
di pane. "Be', pazienza!" sospirò Piero,
mentre il babbo e la mamma finivano la cena con una bella fetta di torta alla
panna. "Vuol dire che domani mangerò doppia razione di marmellata di
ciliegie." Andò in camera sua, s'infilò sotto le
coperte e provò a prendere sonno. Ma non ci riuscì affatto. Perché quella notte scoppiò un terribile
temporale. Con chicchi di grandine grossi come acini che picchiavano contro il
vetro della finestra, e terribili tuoni che lo fecero correre sino alla camera
dei genitori con addosso una paura matta. "Mamma, babbo!" implorò Piero.
"Posso dormire nel vostro lettone?" "Hai sentito qualcosa, cara?"
chiese il babbo alla mamma. "No caro" rispose la mamma.
"Tu non hai parlato, io non ho parlato e qui non c'è nessun altro, oltre a
noi due. Quindi non ho sentito niente." "Non voglio più essere invisibile, vi
prego!" gridò il povero Piero. La mamma allora lo accompagnò in cucina,
gli fece bere una bella tazza di caffellatte e poi lo portò nel lettone suo e
del babbo. E da quel giorno quel birbantello di Piero
non si sognò mai più di diventare invisibile. . . . . Pinta Patata la fata distratta - autunno Ah! Le fate, le fate! Dovete sapere che
esistono molti tipi di fate. Alcune sono alte come una montagna e hanno grandi
ali color nocciola. Altre sono piccine come chicchi d'uva passa e indossano
vestitini d'oro zecchino. Ma la più pasticciona di tutte, ve lo dico io, è
Pinta Patata la fata distratta. Quando venne l'autunno Pinta Patata passò
vicino a uno stagno è incontrò una formichina e un ranocchietto che si
lamentavano: "Ahi noi! Perché nessuno ci aiuta?" "Cosa mai vi è successo?" chiese
loro Pinta Patata. "E' successo che ci siamo innamorati"
le spiegò il ranocchietto. "Ma lei per me è così piccina, e io per lei
sono così grande!" "Non preoccupatevi, ora ci penso
io" disse Pinta Patata, pensando di trasformare la formichina in una
ranocchietta. Prese la sua bacchetta magica ed esclamò: "Birbo, Bimba,
Birimbambò!" E la formichina subito si trasformò in
una... scoiattolina dalla coda rossa! "Oh, no!" disse il ranocchietto.
"Ora è lei che è troppo grande per me!" “Devo aver sbagliato formula magica"
si scusò Pinta Patata. E pensando di trasformare il ranocchietto in uno
scoiattolino, ci riprovò: "Birba, Bimbo, Birimbambò!" Ma invece di trasformarlo in uno
scoiattolino, trasformò il ranocchietto in un grosso… porcospino! "Oh, no!" disse la scoiattolina.
"Adesso lui è di nuovo più grande di me!" Prima che i due innamorati potessero
darsela a gambe, perché una fata pasticciona come lei non l'avevano mai vista,
Pinta Patata trasformò la scoiattolina in una volpe dai baffi argentati. E poi
il porcospino in un cinghiale dalla schiena setolosa. E dopo la volpe in una
cavallina dalla criniera fulva. E infine il cinghiale in un elefante dalle
orecchie a sventola. "Poveri noi!" dissero i due
innamorati. "Prima eravamo una formichina e un ranocchietto e ora siamo
una cavallina e un elefante. Ma una è sempre troppo piccola e l'altro è sempre
troppo grande!" Per fortuna proprio in quel momento passò
da quelle parti un Vecchio Gnomo. Fece due giravolte, tre capriole, si toccò
il suo berretto magico ed esclamò: "Un, due, tre, ciò che grande piccolo
è!" E fortunatamente quella era proprio la formula magica giusta. Perché
la cerbiatta e l'elefantino si trasformano in una bellissima coppia di
ranocchietti, che da quel giorno vissero insieme felici e contenti. In quanto a Pinta Patata la fata
distratta, il ranocchietto e la ranocchietta invitarono anche lei al loro
matrimonio, a patto che non portasse con sé la sua pericolosissima bacchetta
magica! Il lavoro di nonno Matteo - autunno “Posso venire con te al lavoro?” chiese un
giorno Debora a nonno Matteo. “Va bene” disse il nonno. “Ma ricorda che
il mio è un lavoro molto delicato!” Debora non sapeva che lavoro facesse il
nonno. Il babbo e la mamma dicevano che era un lavoro segreto e misteriosissimo
che solo lui sapeva fare. “Stringiti a me” disse il nonno a Debora,
facendola sedere sulla sua motocicletta. Mise in moto e… via! La
motocicletta partì veloce come un razzo, salì su una stradina di montagna, ridiscese a valle e imboccò un sentiero che
portava sino a un bosco. “E qui che lavori?” chiese stupita Debora. “Sì” disse nonno Matteo. E subito
raggiunse la tana di un lupo che aveva una zampa ferita. “Come stai oggi?”
chiese nonno Matteo al lupo. “Un po’ meglio dottore” rispose il lupo. E
porse al nonno la zampa ferita, che subito venne medicata e fasciata. “Ora ho capito!” esclamò Debora, quando il
nonno ebbe finito. “Tu fai il veterinario!” “Non proprio” disse il nonno. E subito si
avvicinò all’acquetta di un ruscello. “Come stai oggi?” chiese il nonno
all’acquetta. “Un po’ meglio. Ma credo di avere ancora
un po’ di febbre.” Così nonno Matteo tirò fuori il
termometro, misurò la temperatura all’acquetta e poi vi lasciò sciogliere
dentro due aspirine. “Non sapevo che anche l’acquetta di un
ruscello potesse ammalarsi!” disse Debora, che non capiva più che razza di
lavoro fosse quello. “E ora passiamo ai casi più difficili!”
esclamò nonno Matteo. Così dicendo curò a un cinghiale un dente cariato, fasciò
le ali a un’ape che era caduta dall’alveare, consolò un ciclamino che aveva
l’emicrania e si fermò davanti a un albero che non si era accorto che l’autunno
era arrivato da un pezzo. “Come mai non hai ancora lasciato cadere a
terra le tue foglie?” gli domandò nonno Matteo. “Se non le lascerai cadere,
quando arriverà la primavera non ci sarà posto per le nuove.” “Non mi importa!” rispose l’albero. “Senza
le mie foglie ho freddo!” Nonno Matteo allora disse qualcosa
sottovoce a Debora. E lei corse sino alla moto, prese una piccola coperta di
lana, tornò indietro e l’assicurò al tronco dell’albero, che subito smise di
avere freddo e lasciò cadere le foglie secche. “Sei stata bravissima!” disse nonno Matteo
a Debora, mentre tornavano a casa. “Ti nominerò mia aiutante ufficiale.” “Evviva!” esclamò Debora. Poi ci pensò un
po’ su e aggiunse: “Ma che lavoro è il nostro?” Ma a questo nonno Matteo non rispose.
Perché quel bellissimo lavoro era così delicato e segreto che non aveva neppure
un nome! Uno strano supplente Marco, quella mattina,
andò a scuola di malumore. Perché maestra Luciana si era beccata un terribile
broncobruttoraffreddore. E al suo posto di certo sarebbe venuto un maestro
supplente. E infatti eccolo lì, il
nuovo maestro. Era uno spilungone alto
alto e magro magro, con una barba bianca bianca e lunga lunga, che in testa
portava uno strano capello a punta di
colore azzurro come il cielo. “Buongiorno bambini!”
disse il supplente, mentre Marco lo fissava incuriosito. “Oggi non faremo né disegnistica,
né numeristica, e neppure pensieristica!” “E cosa faremo allora?”
chiese Marco. “Faremo scienze naturali!” esclamò il maestro supplente. E così dicendo tirò fuori dalla sua borsa un gufo, una civetta, un porcospino, una marmotta, un cinghialetto paffutello, due allodole, un'intera famiglia di criceti, un topolino grigio e uno bianco, una coppia di castori dentuti, una foca monaca, un cerbiatto, una scimmietta, un pappagallo verde e un elefantino con le orecchie a sventola e la proboscide rosa. “E ora” disse lo strano
supplente “tutti a giocare in giardino!” Marco e i suoi compagni
si precipitarono fuori e fecero proprio un bel pandemonio, ve lo dico io, con
tutti quegli animali e quei bambini che strillavano e correvano in giardino. “Cos’è tutto questo
chiasso?” domandò la direttrice, uscendo di corsa dal suo ufficio. Il nuovo maestro la toccò
con la sua bacchetta su un braccio e le disse: “Venga anche lei a giocare con
noi.” Marco quella mattina si
divertì come non mai. E pensò che anche la direttrice era una gran
giocherellona. Soprattutto quando la
direttrice fece un giro del cortile in groppa all'elefantino dalla proboscide
rosa, quando giocò a mosca cieca con i topolini, quando si arrampicò
sull'albero di mele insieme allo scimpanzé e quando si è tuffò nella fontana
cercando di afferrare per la coda quella povera foca monaca. “Evviva!” gridò Marco,
quando arrivò l’ora della ricreazione. “Evviva! Evviva!” rispose
la direttrice, con gli occhioni che le luccicavano. Marco allora si avvicinò
al nuovo maestro e gli chiese. “Come ti chiami?” “Maestro Mago Merlino”
rispose il supplente, con il sorriso più bello del mondo, mentre Marco lo
fissava con la bocca spalancata, perché un maestro Mago come quello davvero non
l’aveva mai visto! Che bella voce, Carolina! Carolina aveva una bellissima voce. Solo
che era una voce un po’ speciale. Era così acuta, che quando cantava le
lampadine esplodevano, e bicchieri e bottiglie facevano plink, plank,
frantumandosi in mille pezzettini. “Per carità Carolina, non metterti a
cantare!” si raccomandava il suo papà, prima di andare al lavoro, perché si era
stancato di cambiare tutte quelle lampadine. “Ti prego, Carolina!” le diceva invece la
mamma, nascondendo sotto il materasso tutti i bicchieri e tutte le bottiglie.
“Prendi esempio da Fuffi. Fuffi non canta eppure è felice lo stesso!” Fuffi era la cagnetta di Carolina, una
barboncina che le faceva sempre le feste. Ma per quante feste le facesse Fuffi,
Carolina diventava ogni giorno più triste. E quando venne l’inverno Carolina diventò
ancora più triste. Perché era un inverno così freddo, quello, che non si poteva
neppure uscire di casa. Le strade ghiacciarono, i prati ghiacciarono e
ghiacciarono persino gli alberi. “Che tristezza!” si lamentava Carolina,
quando sentì bussare alla porta. “Etciù, etciù!” disse un poliziotto così
ghiacciato da sembrare un pupazzo di neve. “Cosa desidera?” gli chiese Carolina. “Il mare, etciù, si è ghiacciato, etciù!”
disse il poliziotto. “E una balena bianca è rimasta incastrata nel ghiaccio,
etciù!” “Etciù!” rispose educatamente Carolina,
che non sapeva bene cosa dire. “Sei tu la bambina che ha una voce
speciale, etciù?” le chiese ancora il poliziotto. “Sì!” esclamò Carolina, che finalmente
capì cosa quell’uomo voleva da lei. S’infilò due cappotti, uno sopra l’altro, e
lo seguì sino alla riva del mare, dove una folla di curiosi osservava la balena
bianca che era rimasta incastrata nel ghiaccio. “Eccola! E’ lei! Etciù! Etciù!” gridò la
folla, vedendola arrivare. “E’ lei la bambina dalla voce speciale!” Così a Carolina non restò che cantare una
delle sue canzoncine, sino a quando il ghiaccio del mare fece plink, plank,
e si frantumò in mille pezzettini. La balena bianca era salva! E quando si
allontanò felice in mare aperto, il poliziotto di avvicinò a Carolina e le
appuntò sul petto una medaglia d’oro. “Brava! Hai la voce più bella del mondo”
le disse, senza starnutire neppure una volta. E sapete perché? Perché la voce di
Carolina non aveva sciolto solo il ghiaccio del mare, ma anche quello che
ricopriva le strade, i prati e persino gli alberi! Fu così che Carolina da quel giorno poté
cantare ogni mattina ed ogni sera, sin quando l’inverno non fuggì via e arrivò…
la primavera! Un regalo per Babbo Natale C'era una volta un bambino di nome Tom Tom
che la mattina di Natale, invece della bicicletta che aveva chiesto in dono,
trovò sotto l'Albero solo una macchinina rossa con le ruote piccole piccole. "Andrò a trovare Babbo Natale"
decise allora Tom Tom. "Gli restituirò la macchinina e mi farò dare una
bicicletta!" Cammin cammina si ricordò che lui non
sapeva affatto, dove viveva Babbo Natale. Perciò chiese informazioni a un
pupazzo di neve che starnutiva e si soffiava il naso a carota. "Etciù, etciù!" gli disse il
pupazzo. "Che freddo che fa! Se vuoi trovare Babbo Natale devi superare il
bosco e attraversare il mare. Sull'altra riva incontrerai Mamma Renna che ti
accompagnerà sino alla sua casetta." Cammin cammina Tom Tom superò il bosco e
chiese a una barchetta di aiutarlo ad attraversare il mare. E naviga naviga la
barchetta lo portò sull'altra riva, dove Tom Tom incontrò Mamma Renna, che
aveva magnifiche corna addobbate con campanellini rossi e blu. "Sali sulla mia groppa" gli
disse Mamma Renna. "Babbo Natale oggi è un po' triste, e forse ricevere la
tua visita lo rallegrerà." Galoppa galoppa Mamma Renna accompagnò Tom
Tom sino alla casetta di tronchi d'abete di Babbo Natale. Tom Tom bussò alla porta. "Avanti" disse una voce. Era una
voce calda come un focherello e dolce come la cioccolata. Però Mamma Renna
aveva ragione. Quella voce era anche un po' triste. E sorpresa delle sorprese! Cosa vide Tom
Tom entrando nella casetta? Vide che Babbo Natale, seduto davanti al
camino acceso, si asciugava una piccola lacrima sul viso. "Perché piangi?" gli chiese
allora Tom Tom. "Perché anche quest'anno, sotto il
mio Albero, non ho trovato neppure un regaluccio da niente", rispose Babbo
Natale soffiandosi il naso. "Io porto i doni a tutti i bambini del mondo,
ma nessuno si ricorda di me! Tu piuttosto, perché sei venuto a trovarmi?" "Perché... perché..." cincischiò
Tom Tom. E invece di dirgli il vero motivo della sua visita tirò fuori la
macchinina dalla tasca e la mise nelle mani di Babbo Natale. "Ecco"
gli disse. "Sono venuto a regalarti questa." Babbo Natale fu così contento che portò
Tom Tom a fare un giro nel cielo, sulla sua slitta trainata da quattordici
renne. Poi lo riaccompagnò a casa e prima di salutarlo tirò fuori dal
portabagagli della sua slitta una magnifica bicicletta. "Grazie!" disse felice Tom Tom. "Grazie a te!" rispose Babbo
Natale, facendogli l'occhiolino e riprendendo il volo sulla sua slitta. Buon anno, Nonno Re Frugolafrù! L’ultimo giorno dell’anno è davvero un
giorno molto speciale, nel paesino di Frugolafrù. Tutti i bambini, quando arriva il
tramonto, corrono in giardino dal vecchio albero dalle foglie colorate di rosa,
di giallo, di verde, di rosso e di blu. Poi, tenendosi per mano, fanno un gran
girotondo giramondo intorno al vecchio albero Nonno Re, e saltellando e
giocherellando gli pongono un indovinello: “Nonno Re
Frugolafrù, Sai dirci tu Chi è quel
vecchierello, Che all’ultimo
dell’anno Si leva il suo
cappello? Nonno Re Frugolafrù allora sorride un po’,
si gratta il naso con uno dei suoi lunghi rami e poi risponde: “Ma è il vecchio
anno, E’ un anno
vecchierello! Con garbo e
simpatia, Saluta e poi va via!” “Bravo, Nonno Re Frugolafrù!” dicono
allora i bambini. E subito gli pongono un altro indovinello. “Nonno Re
Frugolafrù, Sai dirci tu Chi è quel
bambinello Che arriva a
Capodanno, Che arriva sul
più bello? Nonno Re Frugolafrù allora sorride di
nuovo, di nuovo si gratta il naso con uno dei suoi lunghi rami e poi risponde: “Ma è il nuovo anno, È un anno bambinello! Arriva a Mezzanotte Davvero sul più bello!” Così, quando finalmente scocca la
Mezzanotte, i bambini prendono per mano il nuovo amico appena arrivato, e lo
presentano al vecchio albero Nonno Re Frugolafrù. Poi tutti insieme, sotto il
cielo stellato, fanno un altro girotondo giramondo e cantano una canzoncina che
pressappoco dice così: “Buon anno,
Nuovo Anno, Buon anno, Nonno
Re Nonno di fiabe, Nonno di Sogni, Nonno di fate, Auguri a te!” |