"E' un'illusione che le foto si facciano con la macchina ... si fanno con gli occhi, con il cuore, con la testa ..."
H. C. B.
Può esistere davvero una Retorica
dello Sterminio? Alcune parole, tra loro slegate, le
prime scritte su fb da un amico e le seconde pronunciate da una ragazzina al
termine del suo percorso al liceo, mi inducono a un ragionamento sulle
manifestazioni della Memoria, mai così numerose e ricche di materiali e
contenuti, mai così invise a una parte della popolazione: che sbuffa, storce il
naso, deforma, relativizza o più semplicemente, ma volutamente, ignora. In un post Luca Bravi, storico e
responsabile di Memors, Museo
Virtuale del Porraimos, scrive che “sta nascendo una strana (per me assurda)
discussione nazionale sul giorno della memoria, i treni ecc. con la strana
teoria del ‘siccome c’è ancora il razzismo allora non serve a niente, anzi il
giorno della memoria sarebbe pericoloso per la retorica che aumenta i razzisti
per saturazione del tema’. Sulla sua bacheca anche Domenico Guarino,
giornalista di Controradio Firenze, si domanda se “Coltivare la Memoria della
Shoa ci serve davvero? O, come qualcuno, anche nel mondo accademico, sostiene, in realtà sarebbe addirittura
pericoloso perché 'saturando' il tema, aumenta il razzismo di ritorno?”. Personalmente,
a prescindere dalle risposte che si danno e ancora si daranno Bravi e Guarino
(Bravi non ha dubbi nel sottolineare di non aver “mai visto chi se ne occupa in
maniera seria, tante e tanti, fare retorica, perché le attività di chi fa
retorica in 20 anni si sono svuotate da sole e se continuano vanno deserte.”), registro,
e non da oggi, che questo genere di accuse viene solitamente mosso da persone
che per grandi tratti possono essere annoverate tra: - gli appartenenti
alle culture di destra, che tentano così di autogiustificare gli incontenibili
pruriti che avvertono ogni qualvolta riemergono le responsabilità storiche dei
fascismi negli stermini; - i credenti cattolici e cristiani che non hanno
ancora interamente metabolizzato gli sforzi della Chiesa, a partire dalla bozza
Decretum de Judaeis di
Papa Roncalli sino alla grande e incessante opera di Papa Wojtyla, nel riconoscere
le responsabilità dell’antigiudaismo religioso nel conformarsi della Shoah; - gli
odiatori professionali di Israele, di varia e contrapposta identità politica,
capaci impudicamente di sostenere che di troppa Shoah si parli, e che troppa
retorica si faccia, e che di troppo pochi altri stermini si accenni, solo per
compiacere le immaginarie lobbies mondiali del potere economico e finanziario
ebraico (allucinazione che ha incredibilmente attraversato intere epoche e che,
vuoi per uno scherzetto di uno Zar agli inizi del secolo scorso, vuoi per un diroccato
antisionismo, vuoi per le ultime tesi sovraniste, indefessamente persiste
ancora). Critiche,
dunque, quelle sulla presunta retorica o sovrabbondanza capaci di generare
reazioni opposte, quali saturazione o addirittura recrudescenze razziste, di
fatto poco oggettive e anzi variamente interessate a mascherare – Cicero pro domo sua – ben altre
oppositive motivazioni. Epperò che
qualcosa non vada, o per meglio dire che la strada da fare per pervenire a una
vera e diffusa coscienza di ciò che è stato sia ancora tanta, e dura, l’ho
potuto personalmente riscontrare nella
reazione infastidita di una ragazza fresca di Liceo, che di cuor suo parlava
ugualmente di retorica, e di uffa e uffa, e persino di noia, e che messa alle
strette mi ha candidamente confessato di aver subito, riporto letteralmente, per
anni e ad opera dei suoi professori, la visione di La vita è bella e del Bambino
dal pigiama a righe, meritevoli quanto si vuole, e beninteso per chi vuole,
dal punto di vista cinematografico, ma inattendibili dal punto di vista
storico, e perciò debolissimi alla bisogna. Ed è allora che mi sono domandato se il ventre
molle di una Memoria ancora così difficile da radicarsi, non sia in realtà e
talvolta l’approssimazione, la faciloneria e l’uso di mezzi inadeguati nel
raccontare ciò che è successo come è realmente successo. Non c’è dubbio infatti
che insieme a tante persone capaci e preparate, altre affrontino nel modo più superficiale
possibile, spesso improvvisando, la storia dei due tentativi di genocidio (la Shoah
e il Porrajmos) e delle sanguinarie persecuzioni/eliminazioni naziste (quali
quella operata contro i disabili). Non solo, peraltro, tra i banchi di scuola: ho potuto
recentemente leggere, su un bollettino sindacale, un lungo articolo basato
interamente sull’errata interpretazione del termine ebraico Shoah, declinato,
ancora una volta(!), in sacrale olocausto-sacrificio. Personalmente
sono convinto che molto ancora si possa migliorare, a partire forse da una diversa
impostazione geografica e temporale della narrazione dello sterminio, ovvero accentrando
e portando l’attenzione su ciò che già successe ad Est e nei Paesi Baltici prima
ancora della Conferenza di Wannsee, con l’obbiettivo di meglio rappresentare la
demoniaca sinergia tra l’ideologia nazista e il diffuso odio antigiudaico di
antica matrice religiosa. Ma a prescindere da questo resto anche convinto che
ogni iniziativa debba comunque ricondurre idealmente e molto semplicemente, tutti, all’imperativo
delle parole di Günther
Anders: “Ognuno tenti di ricordarne uno solo, uno che è stato o uno che
sarà. Può darsi che la somma dei nostri pensieri e del nostro lutto si
avvicinerà a quello che noi dovremmo veramente piangere. E forse da questi
pensieri potremmo estrarre la forza per deciderci: ottenere che coloro che oggi
piangiamo in anticipo tuttavia sopravvivano, che il terribile non accada.
In questo pensiero e in questa decisione, nata dal lutto, vi prego di alzarvi
in piedi”.
Io oggi mi
alzo in piedi per la piccola Czesława Kwoka, che aveva 14 anni, e che venne assassinata ad
Auschwitz il 12 marzo 1943 con un'iniezione di fenolo nel cuore. . |
15 ottobre 2019
Manifestazione per il Clima del 27 settembre a Cagliari Fino a quando i ragazzi avranno voglia di marciare insieme e di gridare forte la loro protesta, ci sarà una speranza. |
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7 settembre 2019
“Chi scandalizzerà uno solo di questi piccoli …(…) che gli venga messa al collo una macina da mulino e sia gettato nel profondo del mare” Matteo 18,16. Due giorni fa Rayem, un bambino italiano di tre anni dalla pelle nera, figlio di un immigrato, si è avvicinato alla carrozzina condotta da una coppia ventenne, per quella sorta di ipnotica attrazione che spinge i piccolini a osservare i nuovi venuti, ovvero a rispecchiarsi istintivamente in un'altra vita appena venuta al mondo. Prima ancora, però, che gli occhi di Rayem potessero pascersi di meraviglia, il maschio della coppia ha infierito su di lui con dei calci allo stomaco, perché non si avvicinasse al sangue del suo sangue. Vent'anni l'uomo, tre anni il bambino. Abbastanza il primo per mettere in pratica i dettami appresi alla scuola dell'odio che è diventata l'Italia negli ultimi quindici mesi. Abbastanza il secondo per mantenere memoria a vita dell'esser stato vittima. |
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14 agosto 2019
I Molti
uomini e molte donne, in questa estate torrida e feroce, hanno chiamato
la Capitana Carola Rackete della Sea Watch "ragazza". Con amore, con
odio, con ammirazione, con disprezzo, con tenerezza, con superiorità,
con complicità da pari a pari in uno specchio. Ragazze |
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11 agosto 2019 Esistono tanti modi di pregare quanti probabilmente di bestemmiare. Saperli riconoscere e distinguere gli uni dagli altri, anche laicamente, è ciò che ci impedisce di credere agli idoli, e di prestar fede agli architetti dei moderni sabba, ovvero a chi sventola santini e rosari mentre inchioda sulla Croce, o affoga in mare aperto, gli ultimi della Terra. Non so
quali pensieri stesse rivolgendo a Dio questo rifugiato, sotto un
maestoso ficus in Viale Trieste, a Cagliari, né se le sue fossero
suppliche, rimproveri o ringraziamenti. Però di sicuro erano preghiere, non bestemmie. |
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Non conosco il nome di questo bambino, so solo che un mio amico lo chiama Mamadou Grande. Lo fotografai in Piazza del Carmine durante un torneo di scacchi, dopo aver chiesto con un cenno della testa il permesso a sua madre. Ho ripensato a lui oggi perché oggi il Senato della nostra Repubblica ha definitivamente approvato un decreto costruito appositamente per impedire alle navi delle Ong di soccorrere i naufraghi nel Mediterraneo, lasciando loro quali uniche alternative quella di affogare o di essere riportati coattivamente nei lager libici dove ogni respiro è tortura e morte. Una
trappola ordita contro tutti i Mamadou a cui sono state legate le mani
dietro la schiena, per impedirgli di giocare la partita a scacchi più
importante della loro vita, quella per la sopravvivenza.
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L’istinto degli uccelli per il volo e dei bambini per l’arrampicarsi ha qualcosa di simile: è repentino, inarrestabile, liberatorio.
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Oggi, 2 agosto, anche in Italia si celebra La Giornata Europea e Mondiale del Porrajmos o Samudaripen, lo sterminio di centinaia di migliaia di rom e sinti sotto il regime nazista. In Memoria.
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Vai all'album Il ricordo che non avevo |
Del funerale del giovane William, morto in un incidente stradale nell'ottobre del 2018, si è discusso a lungo sulla stampa locale, per la vastissima partecipazione degli abitanti dei quartieri popolari di Cagliari e per le sue modalità, che hanno sollevato molte polemiche. Personalmente - credo di essere stato l'unico fotografo che ha seguito il corteo e assistito alla tumulazione della salma - ho visto e respirato solo un immenso dolore: di fronte al quale, soprattutto se si ha in mano una macchina fotografica, conta solo il rispetto.
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Vai all'album Il funerale di William |
Vai all'album Da un paese lontano |
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Poi pensi che Gerusalemme, semplicemente, non potrebbe esistere. Non con la sua storia di fede e sangue a ogni muro di ogni crocicchio. Non con la babele sorda di lingue reciprocamente inascoltate. Non con le vie crucis a gomitate nel suq, i venerdì armati contro il nemico eletto, i canti e i balli degli tzaddikim folli di gioia sulla spianata, protetti da soldatesse falascià dalla pelle nera, poco più che bambine. Sui portoni delle più antiche chiese di Gerusalemme troverete spesso un cartello che vi prega di non portare armi oltre il sagrato, sui muri di cinta dei luoghi diversamente sacri e delle mille rappresentanze consolari scorgerete interminabili corone di filo spinato. Eppure la città sui sette colli che non potrebbe esistere, semplicemente esiste e continuerà a esistere. Almeno siano a quando su ogni intrigo di filo spinato continueranno a posarsi i passeri. |
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A
Saintes Maries de La Mer, in Camargue, Francia, ogni anno si svolge la
processione a mare di Santa Sarah Kalì, Sara la Nera, venerata da tutti
i rom, i sinti, i manouches e i kalo europei ed extraeuropei di
religione cattolica. La statua della Santa, che la tradizione vuole
originaria dell'Alto Egitto, serva nera di Maria Salomé, custodita per
tutto l'anno nella cripta della locale cattedrale, il pomeriggio del 24
maggio viene portata sino al mare, accompagnata da una folla immensa.
Il 24 maggio del 2015 a seguire Santa Sara, e i cavalieri che le
aprivano la strada sino al mare, c'ero anch'io. Appesantito dalle
scarpe e dagli abiti inzuppati, ma proprio a un passo dal cavallo che
improvvisamente si è imbizzarrito e poi è precipitato su un fianco. A
processione conclusa, e a scarpe ed abiti cambiati in un carrozzone
manouche, la festa è continuata per le strade di Saintes Maries de La
Mer. |
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Inauguro
queste pagine dedicate alla fotografia col mio amico
Mangiabarche. So di non essere l'unico che definisce così questo
piccolo faro situato su uno scoglio a qualche centinaio di metri dalle
coste di Calasetta, in Sardegna. E' un privilegio che credo di essermi
guadagnato, come altri, stando lì con la mia macchina fotografica, a volte
completamente da solo, mentre mare e vento
lo mettevano a dura prova. Mangiabarche, come tutti i fari, ma in particolare quelli esposti alle grandi onde di burrasca, è
generatore di Meraviglia e di Poesia, ma anche metafora di Resistenza.
Ancor più in questi tempi in cui dalla terraferma si
chiudono impunemente i porti e si nega ogni speranza ai naufraghi. |
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