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Il Capitan Nemo
Poco prima del tramonto
la bruma coprì i fianchi delle colline intorno al lago di Loch Ness, nella zona
settentrionale della Scozia conosciuta col nome di Highlands.
Su una stradina secondaria a ovest del lago, un autoarticolato lungo quindici
metri gemette sulle enormi gomme e si arrestò di fronte al Green
Thistle Bed & Breakfast, un cottage dalle pareti dipinte di bianco.
La portiera si aprì di scatto.
– Avete visto? Ce l’ho fatta! – esclamò una giovane donna, così minuta da poter
essere scambiata per una ragazzina. – Uno di questi giorni dovrete offrirmi una
cena!
– Non dirà sul serio, vero? – protestò l’uomo che era sceso dall’abitacolo dopo
di lei.
– Poche storie Mc Millian! – ribatté la donna. – E tu, Arthur, non fare quelle
smorfie! – aggiunse, rivolta a un secondo uomo che aveva seguito il mezzo a
bordo di una grossa jeep. – Avete scommesso che non sarei riuscita a guidare
questo articolato da Inverness fino a qui. nvece ce l’ho fatta!
Senza dire altro la giovane si diresse verso il cottage.
– Io l’avevo detto che non dovevamo scommettere… – brontolò Arthur Peterson.
– Già – annuì Cyrus Mc Millian, che era l’autista dell’articolato. Seguì con
gli occhi il passo agile della donna, che aveva i lunghi capelli rossi raccolti
in una coda di cavallo. – Non c’è che dire: ha un bel caratterino! E nessuno a
vederla così direbbe che è una scienziata.
– Non una scienziata qualunque – precisò Peterson. – La dottoressa Martha
Lafranque è la più giovane e promettente paleontologa canadese. In caso
contrario non sarebbe riuscita a trovare i finanziamenti per questa spedizione.
Anche se a dire il vero…
L’uomo si voltò e fissò le acque piatte del Loch Ness, che a causa della
sottile bruma s’intravedevano appena.
– Non ci credi neanche tu, vero? – gli chiese Mc Millian.
– Non credo cosa?
– Che nel lago viva quel mostrosauro.
– Plesiosauro – lo corresse Peterson. – Cioè un essere la cui specie, simile a
quella dei grandi dinosauri, è scomparsa dalla faccia della terra più di
sessanta milioni di anni fa… –. Ci rifletté un po’ su e aggiunse: – Ma non ha
importanza ciò che io credo o non credo. Io sono solo l’assistente della
dottoressa Lafranque –. L’uomo tornò a voltarsi verso l’autoarticolato. –
Coraggio, accertiamoci che nel viaggio il nostro prezioso carico non abbia subito
danni.
Spalancò il portellone posteriore e salì sul cassone.
Ancorato su un supporto metallico, c’era un mini sommergibile dalla forma
affusolata. Lungo appena sei metri, era sormontato da una calotta di cristallo
temperato. Su un lato della prua spiccava il nome dipinto con vernice
argentata:
“Capitan Nemo”
I due uomini lo esaminarono attentamente.
– Il nostro gioiello è arrivato a destinazione senza un graffio! – esclamò
Peterson.
Mc Millian osservò dubbioso il mini sommergibile. – Gioiello o non gioiello io
non avrei mai il coraggio di infilarmi dentro quel coso e andare sott’acqua –
mormorò. – Neanche per un milione di sterline! Perché se a quel mostrosauro…
– Plesiosauro!
– Perché se a quel bestione, sempre ammesso che esista, viene voglia di fare uno
spuntino… Gnam! Addio Capitan Nemo!
– A Nessie non verrebbe mai la voglia di fare uno spuntino con il mini
sommergibile – risuonò una voce alle loro spalle. – Visto che si nutre solo di
piccole creature e c’è chi sostiene che sia esclusivamente erbivora!
Fuori dal portellone era riapparsa Martha Lafranque.
– Piuttosto, sapete che a dare quel nome al famoso “Mostro di Loch Ness”,
tanti anni fa, sono stati proprio gli abitanti di questa contea? Nessie infatti
è solo un vezzeggiativo del nome del lago.
– Ma non mi dica… – borbottò Mc Millian.
– Ho dato un’occhiata al bed & breakfast – cambiò discorso Martha
Lafranque. – Le camere che abbiamo prenotato sono molto accoglienti. –. La
giovane indicò delle scatole di cartone ammassate dietro il sommergibile e il
tono della sua voce cambiò in modo repentino. – Controllate che anche l’altro
materiale sia arrivato in buone condizioni – ordinò seccamente. – Non vorrei
avere qualche brutta sorpresa, quando domani mi immergerò nel lago.
– Umpft! – bofonchiò Mc Millian, mentre Martha Lafranque tornava verso il
cottage. – Non vede l’ora di far conoscenza con un bestiosauro che
probabilmente non esiste…
Si mise al lavoro insieme a Peterson e nessuno dei due si accorse che proprio
in quel momento, a poca distanza dalla riva meridionale del lago, qualcosa di
molto grosso si muoveva velocemente, lasciando dietro di sé una lunga scia
spumeggiante.
2
Jeeves e Lord Clarence,
naturalmente!
Più o meno alla stessa ora a Londra, al secondo
piano di una vecchia casa vittoriana in King Henry’s Road, ribattezzata
Red Castle, cioè Castello Rosso, per via delle pareti in legno e pietra
d’arenaria che alla luce del tramonto s’incendiavano di tinte rossastre, due
ragazze imboccarono un lungo corridoio e si fermarono davanti a una
porta.
– Shhhhh… – sibilò Violet Twist, portandosi un dito sulle labbra.
– Ma sei sicura che sia là dentro? – sussurrò la sua amica Shaila Rao.
Violet aprì la porta.
La luce era spenta. Ma un attimo dopo nel buio si udì uno sciabordio d’acqua.
Violet accese la luce.
Un ragazzo che indossava una muta subacquea ed era immerso nella vasca da bagno
piena fino all’orlo, aveva tirato fuori la testa dall’acqua. Sul viso aveva una
grossa maschera da sub con il vetro azzurrato, che gli copriva sia
gli occhi che il naso e la bocca.
Il ragazzo se la sfilò dal viso.
– Grazie agli speciali filtri di cui è dotata questa maschera, sono rimasto
sott’acqua quasi diciotto minuti e mezzo… – annunciò trionfalmente. Agitò in
aria una figurina plastificata della squadra di calcio dell’Arsenal. – E anche
il suo schermo ai raggi beta funziona alla perfezione, –
aggiunse, indicando il vetro azzurrato – visto che al buio riuscivo a vedere la
mia squadra preferita molto bene!
– Riuscivi a vederla molto bene, eh? –. Violet si rivolse a Shaila:
– Cosa ti avevo detto? Mio fratello, il qui presente Valiant Twist, è svitato
fino alle tonsille! –. La ragazza si avvicinò alla vasca. – Ma cosa ti prende?
– esplose. – Qualcuno sarebbe potuto entrare qui e scoprire cosa stavi facendo!
Solo in quel momento Valiant si accorse che alle spalle di Violet c’era Shaila.
– Oh, ciao… – le disse.
– Ciao ragazzaccio! –. Shaila gli fece l’occhiolino. – Mi fermerò a dormire
qui, stanotte, come abbiamo previsto nel nostro piano. Ma non avevi già
sperimentato abbastanza quella maschera, in piscina, nelle scorse settimane?
– Dai, esci da lì! – concluse Violet. – Ti aspettiamo in cucina.
Quando Valiant si ritrovò solo, uscì dalla vasca e si rifugiò nell’accappatoio.
Cosa sarebbe successo dopotutto, se suo padre, sua madre o Kiki, la loro
governante maori, fossero entrati all’improvviso nel bagno?
Avrebbero semplicemente pensato che stesse facendo uno strano gioco. Oppure che
quella maschera dallo schermo ai raggi beta che permetteva di
vedere sott’acqua anche al buio, e di respirare come se si avessero le bombole
d’ossigeno, fosse una delle bizzarre invenzioni che ogni tanto portava a casa
dal laboratorio scientifico della scuola.
Solo che a differenza di tutte le altre volte, quel marchingegno funzionava
davvero.
– E in ogni caso, – borbottò – nessuno di loro crederebbe alla verità, neanche
se gli confessassi tutto.
Si rivestì e sollevò la maschera davanti allo specchio.
– Mamma, papà, Kiki, – recitò a voce alta – volete sapere chi mi ha dato questa
strabiliante invenzione? Jeeves e Lord Clarence, naturalmente! –. Immaginò
l’espressione stupita dei suoi interlocutori e continuò: – Come chi sono Jeeves
e Lord Clarence? Sono i due fantasmi che vivono nella stanza segreta che c’è in
soffitta! Per essere più precisi il nome completo di Lord Clarence,
è Clarence Wilberforce Blanding, dodicesimo conte di Windsand. Jeeves è il
suo maggiordomo. Sono due tipi un po’ strani, sapete? Non gli piace affatto essere
chiamati fantasmi. Preferiscono Blue Entity, che significa “entità azzurre”. E
se ora vi state domandando…
Ma giunto a quel punto il ragazzo tacque.
Perché qualcuno aveva bussato alla porta. Poi la porta si spalancò e questa
volta a fare capolino fu il viso di suo padre.
– Stavi parlando da solo, eh ragazzaccio? – disse Billy Twist, con la sua
solita aria scanzonata.
Valiant fece sparire la maschera e storse le labbra in una smorfia. Non gli
andava che tutti lo chiamassero ragazzaccio.
Ma prima che potesse protestare suo padre aggiunse: – La cena è quasi pronta e
più tardi io e tua madre dobbiamo finire di preparare i bagagli. Anche Kiki,
suppongo. Ti sei dimenticato che domattina partirà subito dopo di voi?
– No – mormorò Valiant.
Come avrebbe potuto dimenticarlo?
I suoi genitori l’indomani avrebbero lasciato Red Castle alle cinque e mezza
del mattino. Destinazione deserto del Sahara. Poi alle sei sarebbe venuto il
suo turno con Violet e Shaila. Avrebbero dovuto raggiungere la loro
scuola in Crogsland Road, e qui salire su una corriera li avrebbe trasportati
fino a Woodbridge, per il consueto campeggio invernale.
O almeno così credevano i suoi genitori.
Perché in realtà loro non sarebbero affatto andati a Woodbridge. Avrebbero
aspettato che anche Kiki uscisse di casa con la sua valigia, alle sei e mezzo
in punto, poi sarebbero rientrati di nascosto a Red Castle, sarebbero saliti in
soffitta e…
– Dai andiamo! – lo esortò papà Billy.
Valiant lo seguì fino all’ampia cucina che si affacciava sul giardino di Red
Castle.
– Eccovi finalmente! – esclamò mamma Caroline.
– Su, mettetevi a tavola! – ordinò bruscamente Kiki, un donnone alto e grosso
come un armadio, che mostrava sugli avambracci i tipici tatuaggi dell’antico
popolo maori. Agitò un mestolo in direzione di Valiant e aggiunse: – Spero che
tu ti sia lavato le mani, ragazzaccio!
Ma questa volta Valiant non fece né una smorfia né mezza smorfia. Perché
qualcos’altro aveva attirato la sua attenzione: un sommesso miagolio che
proveniva dal giardino.
– Scusate, questo pomeriggio ho dimenticato qualcosa là fuori… – borbottò.
E lasciando tutti di sasso si precipitò all’aperto.
(...) continua...
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