RICORDOCHENON

Ma insieme




mainsieme


Il ragazzo si siede sul cornicione della scuola e fa penzolare le gambe nel vuoto. Il primo ad accorgersi della sua presenza è il bidello che poco prima ha aperto l’edificio.

- Ehi! – gracchia l’uomo, impallidendo.

- Voglio parlare con Mitzi – dice semplicemente il ragazzo.

- Cosa vuoi? -. Il bidello storce gli occhi da lui al marciapiede antistante la scuola, venti metri più in basso.

- Mitzi Paolillo, classe terza effe. Se non viene a parlare con me, mi butto giù e mi sfracello.

- Come ti chiami? – ansima l’uomo.

- Matteo Prandelli.

Quando il bidello scompare, Matteo fissa l’orologio. Sono le sette e quaranta. A quell’ora suo padre e sua madre devono aver trovato il biglietto che ha lasciato sul cuscino.

Matteo immagina lo sgomento sui loro visi.

Perché il loro unico figlio è sgattaiolato di notte fuori di casa? E quel biglietto? “Perdonatemi. Prima dell’alba salirò sul cornicione della scuola: devo parlare con Mitzi”. Cosa vuol dire? E chi è Mitzi?

Matteo non ha mai parlato di Mitzi con i suoi genitori. Anzi, non ha sprecato due parole su di lei con nessuno, in tutti gli anni in cui sono stati compagni di classe.

Intanto la strada si popola di professori e studenti. Qualcuno solleva l’indice teso. Poi le sirene della polizia e dei vigili del fuoco mettono a tacere i brusii.

La finestra si riapre.

- Matteo…

Questa volta è Martorani, il suo professore di matematica.

- Non si avvicini, prof…

- No – lo rassicura l’uomo.

Ora anche il padre e la madre di Matteo sono davanti alla scuola.

- Non fate salire nessuno – dice al prof. – Voglio parlare solo con…

- Con Mitzi… Me l’hanno detto. Solo non riesco a capire perché…

- Non la troverete a casa – gli ruba di nuovo la parola il ragazzo. – E stamattina non verrà a scuola. Ma voi cercatela, se no mi sfracello. Lo giuro…

Prima che il prof sparisca, Matteo gli legge negli occhi la domanda che non gli ha permesso di fare. Perché uno come lui deve fare una simile sciocchezza? Lui che è sempre stato il migliore della classe, con quella sua aria da vecchio, saggio, buon ragazzo…

Perché proprio lui? E perché ha chiesto proprio di Mitzi?

Mitzi che in classe è come se non ci fosse. Mitzi piccola magra con le gambe di stecco. Mizti coi jeans da quattro soldi sempre all’ultimo banco. Mitzi ombrosa scontrosa con un piercing sul labbro. Mitzi mai a una gita, mai insieme, mai un bel voto, mai un sorriso. Mitzi sfigata.

Matteo pensa che se non fosse stato così impegnato a essere il migliore, se solo le avesse rivolto la parola, almeno una volta, forse allora il giorno prima…

Passano i minuti: ne passano trenta, quaranta. Dalla finestra sbucano altri volti conosciuti. Anche quelli di suo padre e sua madre. Ma Matteo non si muove dal cornicione.

Poi all’improvviso…

- Prandelli…

Alla finestra si è affacciata Mitzi.

- Fai allontanare tutti – Matteo cincischia. - Voglio stare da solo con te.

Lei allora si rivolge a qualcuno alle sue spalle. - No, - sputa lì, con la solita voce scontrosa  - non salirò sul cornicione… - . Ma invece, non appena si ritrova libera di farlo, scavalca il davanzale e si avvicina a Matteo. - Uff… – ansima. – Sei scucito Prandelli.

A Matteo, Mitzi, seduta al suo fianco, sembra ancora più piccola. Il petto piatto come quello di un ragazzo, le mani nervose, il viso incavato offeso da un livido blu sullo zigomo destro.

- Andate via! - grida. Dalla finestra è sbucato il volto di una poliziotta. Matteo aspetta che scompaia. - Ci guardano tutti… - sussurra, indicando la gente giù in basso.

- Già… -. Mitzi incolla gli occhi nei suoi. – Non mi aspettavo che facessi questo. Ero alla stazione e stavo per salire sul treno. Poi Michela mi ha chiamato sul cellulare e mi ha detto cosa stava succedendo. Ho capito. E così… sono tornata indietro. Ma ora, cosa pensi che cambierà per me?

- Non lo so… - risponde Matteo, con l’impressione di avere un pezzo di carta vetrata tra la lingua e il palato. - Ho pensato che ieri non sono riuscito a dirti nulla. E se tu fossi fuggita prima che io potessi farlo…

Matteo non riesce ad andare avanti e il suo guardo precipita venti metri più in basso.

Mitzi piange. Anche Matteo ha gli occhi umidi. E dentro una rabbia che se potesse affogherebbe il mondo. Ci ha pensato tutta la notte. Ha pensato a ciò che Mitzi ha detto a Michela, il giorno prima, nel cortile della scuola, senza accorgersi che lui era seduto a pochi metri da loro, dietro l’angolo della palestra.

“Domani me ne vado” aveva detto Mitzi. “Fuggo da casa, prendo il treno e poi via… via!”.

Matteo all’inizio non aveva capito. Aveva sentito Mitzi singhiozzare, forte come se l’aria le mancasse, come se stesse per vomitare. Poi la sua voce si era di nuovo attorcigliata in un lamento da animale ferito.

“Mi picchia, mi violenta ogni notte, mio padre… Lo odio...”.

Matteo era schizzato da dietro l’angolo, davanti a Mitzi. Ma prima che potesse dirle una parola – che parole si dicono alla preda inerme, alla preda che sanguina? - lei era corsa via sulle sue gambe di stecco, verso l’uscita della scuola.

- Non abbiamo mai parlato, noi due, vero? – dice ora Mitzi.

- No – sospira Matteo.

E anche se non sa cosa succederà da quel momento in poi, di lui e di Mitzi sul cornicione, di lui che ancora non trova le parole giuste da dirle e di lei che ha solo tredici anni e una ferita troppo grande, allunga una mano e stringe la sua.

E stanno lì, mano nella mano, sospesi nel vuoto, insieme.

 




















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