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Lunario dei Giorni di Memoria


Ventiseiesima settimana

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Io non mi chiamo Miriam

Majgull Axelsson

(...) Ogni sera, quando la squadra degli scavatori rientrava marciando, Didi aspettava al cancello del settore rom. A volte aveva addosso una coperta che teneva sotto il mento con entrambe le mani. Nel giro di poche settimane la sua faccia era cambiata completamente. Gli erano venute delle ombre scure sotto gli occhi e il mento era diventato sottile e appuntito. Il naso sembrava crescere. O forse era il resto del viso a rimpicciolirsi. Seguiva la squadra degli scavatori fino allo spiazzo e poi restava accucciato lì vicino per tutto il tempo dell’appello. Un giorno quando si accovacciò non riuscì a trattenere la diarrea da fame. Un altro bambino gli gridò qualcosa di offensivo e Malika sentì il corpo contrarsi, pronto a precipitarsi per difenderlo, costasse quel che costasse, nella rissa destinata a scoppiare. Invece non successe nulla. Didi rimase semplicemente dov’era, lasciando che l’intestino si svuotasse. Aveva la bocca semiaperta e lo sguardo spento. Quella sera, quando Malika gli diede la zuppa, fece per la prima volta una smorfia. Bruciava, disse. In bocca. Le ginocchia sembravano aumentare di dimensioni, e anche gli occhi. E la pancia, stranamente. Anche se quella era più che altro gonfia. Ogni sera lei lo costringeva a mangiare la zuppa, nonostante il bruciore. E poi intingeva il pane grigio nella propria scodella e glielo dava, un pezzetto alla volta. Mentre masticava lui chiudeva gli occhi e gemeva, ma apriva ancora la bocca. A volte parlava un po’. «Il dottore», disse un giorno appoggiandole la testa alla pancia. «Oggi mi ha guardato.» Malika raddrizzò la schiena. «Mengele? Ti ha guardato? Perché?» Didi rimase un po’ in silenzio. Poi prese fiato e continuò: «Mi ha guardato in bocca…» Malika lo scostò da sé e cercò di scrutarlo negli occhi, senza riuscirci. Li teneva ancora chiusi. «Perché ti ha guardato in bocca?» Didi le si rannicchiò di nuovo addosso. «Non lo so. L’ha fatto e basta.» La voce di Malika ebbe un tremito: «Ti ha dato una caramella?» «No», rispose Didi. «Oggi niente caramella…» Un giorno, quando la squadra degli scavatori sfilò attraverso il cancello, Didi non era lì ad aspettare e non lo si vide in giro nemmeno durante l’appello. Per due ore Malika rimase dritta e immobile nel gelo di febbraio guardandosi intorno in cerca del fratellino, mentre un ufficiale delle SS sceglieva con estrema lentezza gli uomini da impiccare più tardi quella stessa sera. Perché dovevano essere impiccati? Domanda stupida. Una domanda con cui non voleva avere niente a che fare. I tedeschi impiccavano la gente. Punto. A preoccuparla era tutt’altro. Didi. Dov’era finito? Non lo trovò nella solita baracca dei bambini e nemmeno nello strano campo giochi in costruzione. La giostra era deserta e immobile nel buio, coperta solo da un sottile strato di neve punteggiata di nero. Malika non fu fatta entrare in una delle baracche abitate dagli adulti lì accanto ma riuscì a intrufolarsi in alcune delle altre, dove percorse i corridoi tra le cuccette chiamandolo piano per nome. Didi? Didi? Dove sei? Non ottenne risposta perché Didi non era lì. Quando finalmente lo trovò, la zuppa era ormai fredda. Era steso tutto solo in una cuccetta della baracca 22, le spalle girate al mondo intero, ma non dormiva: aveva semplicemente gli occhi aperti fissi sulla parete di assi. Malika si mise quasi a piangere per il sollievo e gli fece una carezza sulla schiena, per poi rannicchiarsi vicino a lui. «La mia zuppa», sussurrò. «Ne ho tenuta metà per te…» Fino a qualche tempo prima si sarebbe girato di scatto per gettarsi sulla scodella, ma non era più così. Fece soltanto una smorfia accompagnata da un piccolo grugnito. Malika gli accarezzò la testa. «Avanti, piccolo. Devi mangiare. Prendi la mia zuppa!» Didi grugnì di nuovo. Malika appoggiò la scodella e lo prese per le spalle cercando di girarlo verso di sé. Non ci riuscì. Didi non voleva voltarsi, non voleva guardarla, non voleva niente. «Su, dai, prendi la zuppa…» Malika lo scrollò ma lui gridò e lei gli lasciò andare le spalle, spaventata. «Cosa c’è?» E finalmente Didi rispose: «Male.» Poi chiuse gli occhi e scivolò quasi subito nel sonno.

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