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Lunario dei Giorni di Memoria


Trentasettesima settimana

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Il dottore di Varsavia
Elisabeth Gifford – Giunti

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Misha corre per le strade vuote, con i ragazzi dietro e l’aria che gli graffia i polmoni. Supera il ponte di legno, poi Plac Grzybowski e Ulica Sienna. Il caffè di Tatiana è chiuso. La doppia porta della casa dei bambini è aperta. Sale le scale di corsa, entra nella stanza principale. Silenzio. Tutto è coperto di piume, come in una nevicata fuori stagione. Sono passati gli sciacalli e hanno squarciato i cuscini. La credenza con i cassetti pieni degli oggetti dei piccoli è stata messa a soqquadro, bottoni e sassolini sono sparsi per tutto il pavimento. Sul palco rialzato i tavoli sono ancora apparecchiati per la colazione, con le tazze mezze piene di latte e il pane abbandonato sui piatti. I bambini non ci sono. E non c’è nemmeno Pani Stefa che arriva come al solito a vedere cosa sono riusciti a portare. I ragazzi corrono nella vecchia sala da ballo. Misha li sente chiamare quando entra nell’ufficio che serve anche da infermeria. Spera ancora di trovare qualche indizio che gli dica che i fanciulli e Korczak sono da qualche parte nei paraggi, per un trasferimento temporaneo o per un’ispezione. Poi vede gli occhiali di Pan Doktor sul pavimento; hanno una lente rotta, con una crepa a forma di stella. Non va mai da nessuna parte senza i suoi occhiali, non sopporta di non averli con sé per vedere cosa succeda intorno e prendere appunti sul suo taccuino con l’aria assorta. In quel preciso momento Misha capisce che non torneranno più. Si mette a piangere in silenzio e i suoi occhi assumono una sfumatura di dolore che resterà per sempre, dietro a ogni pensiero. Vede che nella macchina da scrivere c’è un foglio di carta sottile, con la data di quella mattina. Do un po’ d’acqua ai fiori. La mia testa calva alla finestra, che splendido bersaglio. Il soldato accanto al muro ha un fucile. Perché sta fermo e guarda, così calmo? Non ha l’ordine di sparare. Forse nella vita civile faceva il maestro, o l’avvocato, o lo spazzino a Lipsia. Il cameriere a Colonia, magari? Come reagirebbe se gli facessi un cenno con il capo? Se agitassi la mano, in un gesto amichevole? Forse non sa nemmeno che le cose sono… come sono. Forse è arrivato solo ieri, da lontano… Dentro di me non riesco a odiarlo. Con le lacrime che gli scorrono sul viso, Misha estrae lentamente il foglio e raccoglie le carte sparse sul pavimento. Il diario di Pan Doktor. Mette tutto dentro a una valigetta, insieme ai taccuini che il dottore riempiva con i suoi appunti sui bambini. Ci mette anche gli occhiali rotti, poi la chiude. I tre ragazzi entrano, impauriti e smarriti com’erano a otto anni durante il loro primo giorno all’orfanotrofio. «Nessuno di sopra?» «Nessuno.» Controllano le stanze nella dépendance sul retro. Lo stesso disordine, gli stessi segni di persone andate via in fretta e degli sciacalli che hanno rovistato ovunque. Tutto il palazzo così disastrato è opprimente, come una valanga che verrà giù di nuovo, un ponte che sta per crollare. «Presto torneranno a ripulire l’area. Dobbiamo andarcene» dice ai ragazzi.

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