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Lunario dei Giorni di Memoria


Appendice 19

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La voce dei sommersi
Carlo Saletti

 
Dal manoscritto di Salmen Lewental

 (…) Tuttavia nessuno ha il diritto di sminuire la grandezza d'animo, il coraggio e l'eroismo mostrati dai nostri camerati durante questo evento fallito, un  evento  senza pari sino ad oggi nella storia di Auschwitz-Birkenau e, più in generale, nella storia delle persecuzioni, degli atti di violenza e dei tormenti inflitti dai tedeschi agli uomini nei territori occupati. Lavoravano da noi 19 russi. Erano informati su tutto. Per la loro impetuosità si erano tirati addosso la malevolenza del Kommandofuhrer, insomma facevano quello che volevano senza chiedere a nessuno, cosa che non piaceva affatto ai nostri superiori. Ripetutamente era stato annunciato che questi russi sarebbero stati «congedati» dal Kommando. E tutti loro sapevano che cosa significava essere congedati dal Sonderkommando: essere spediti all'aldilà. Tuttavia per qualche motivo non riuscivano a prendere questa decisione. Non riuscivano semplicemente  a trovare un motivo plausibile

-        qualche giorno prima uno si era ubriacato e aveva cominciato a fare baccano. Fino a che fu visto dal nostro Unterscharfuhrer, un volgare assassino, che iniziò a picchiarlo. Poiché il russo gli sgusciò via, lui gli sparò e lo ferì. Poi, quando volle portare via il ferito, questo saltò giù dal mezzo di trasporto e si gettò addosso al tedesco. Gli strappò la frusta e lo colpì sulla testa. Il tedesco estrasse subito la pistola e lo uccise sul posto. Approfittando di quest'occasione, informò il comandante che non si fidava dei russi e domandò che venissero portati via da lì. È ovvio che si diede ascolto alla sua richiesta. Poiché era stato annunciato già in precedenza che un trasporto di 300 persone sarebbe partito dai crematori 3 e 4, il capo li informò che sarebbero partiti con questo trasporto. E i russi sapevano bene cosa volesse dire, perché loro stessi avevano bruciato il primo trasporto di 200 persone, che noi avevamo portato a Lublino nelle loro mani. Da noi regnava una grande confusione. La gente del nostro Kommando voleva dare inizio all'operazione immediatamente, già la sera stessa. A gran fatica riuscimmo a trattenerli. Ne parlammo con il capo e gli spiegammo che questo era un incidente fortuito provocato da un ubriaco irresponsabile, per il quale non si poteva incolpare nessuno. In parte riuscimmo a convincerlo, grazie al fatto che godevamo della sua piena fiducia, che avevamo cercato di ottenere per quanto possibile. E sicuramente l'episodio sarebbe stato lasciato correre -. Il giorno seguente, cioè il mattino di sabato 7. 10. [19]44, apprendemmo invece che a mezzogiorno sarebbe dovuto partire il convoglio con queste 300 [trecento] persone dei crem[atori] 3 e 4. Per l'ultima volta rafforzammo le nostre postazioni e informammo le persone in contatto con noi di come avrebbero dovuto agire. Quando giunse l'ora, alle 13 e 25, e arrivarono per prelevare queste 300 persone, esse dimostrarono un grande coraggio, poiché non volevano muoversi [dal posto]. Levando un alto grido, armati di martelli e di asce si gettarono addosso ai guardiani, ne ferirono alcuni e colpirono gli altri  con  tutto ciò che gli capitava a portata di mano o lanciando loro addosso dei semplici sassi. Ci si può facilmente immaginare quale fu la conseguenza. Trascorso qualche minuto giunse, armato di mitragliatrici e granate, un intero reparto di uomini delle SS. Erano talmente numerosi che c'erano due mitragliatrici per ogni prigioniero. Tale era l'esercito che avevano mobilitato. I nostri, quando si accorsero di essere perduti, all'ultimo momento vollero incendiare  il  crematorio  3 e  morire  nel combattimento, cadere sul posto sotto la gragnola  di pallottole.     In questo modo andò a fuoco tutto il crematorio. Quando il nostro Kommando dei crem[atori] 1 e 2 vide le fiamme e udì la sparatoria in lontananza, si convinse che di quel Kommando nessuno era rimasto in vita - Ci fu immediatamente chiaro,

che le persone in contatto con noi erano con loro e avevano fatto uso delle armi che possedevano. Questo ci avrebbe traditi, poiché avrebbe fatto capire che anche

noi avevamo qualche arma. Ciononostante decidemmo di non reagire prima del tempo, cosa che avrebbe causato un semplice parapiglia, per il quale ci restava comunque il tempo, anche all'ultimo momento. Senza preparativi, senza l'aiuto dei prigionieri di tutto il campo e per di più in pieno giorno, era difficile anche solo pensare che qualcuno, anche uno solo, si potesse salvare. Perciò dovevamo aspettare, forse si sarebbe protratto fino a sera, e allora, quando avessimo ritenuto  che era giunta l'ora, avremmo agito. Non fu facile trattenere i russi che erano insieme a noi, dato che anche loro si erano convinti che di lì a poco sarebbero stati presi per il trasporto; e poiché laggiù  [stavano  per morire] tutti nel combattimento, era loro parso che fosse quello l'ultimo momento buono per intervenire, tanto più che vedevano in lontananza un gruppo di SS armati avvicinarsi. Stavano venendo da noi per  precauzione,  ma i russi ritenevano che arrivassero per portarli  via.  A questo punto  non  riuscirono  più  a  trattenersi.  Si  gettarono addosso all'Oberkapo, un tedesco del Reich, e in un battibaleno lo gettarono vivo tra le fiamme del for- no. Senza dubbio se l'era meritato, e forse questa morte fu anche troppo dolce per lui. I russi portarono avanti il loro piano. I nostri compagni del crem[atorio] 1 compresero immediatamente la situazione, non appena si videro messi di fronte al fatto compiuto, [e rendendosi conto] che non era più possibile ritirarsi, tentarono di acciuffare anche i capi che si trovavano fuori. Ma quelli si erano già accorti del pericolo e non si fecero ingannare. Non essendo più possibile aspettare, visto che ogni minuto era cruciale poiché si stavano avvicinando alcuni sorveglianti armati, incominciarono in gran fretta a distribuire tutto ciò che avevano preparato per questo momento estremo; tagliarono il reticolato e scapparono tutti oltre la linea di sorveglianza. Dimostrarono nello stesso tempo un enorme senso di responsabilità e di altruismo. In questi ultimi istanti in cui ogni secondo poteva decidere della loro vita, minacciata dai sorveglianti che davano loro la caccia, essi si attardarono per adempiere al loro ultimo dovere: tagliare il reticolato del [campo] adiacente e rendere in questo modo possibile la fuga alle donne. Purtroppo non ebbero fortuna. Riuscirono ad allontanarsi di qualche  chilometro dal campo, ma ben presto vennero accerchiati da altre sentinelle chiamate per telefono dai campi vicini. Purtroppo furono uccisi tutti nella fuga. (…)



















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