ap3g

Lunario dei Giorni di Memoria


Appendice 2

vvdd

Il tempo di parlare

Helen Lewis

 

(...)

 Poi i «bei giorni» finirono e mi ritrovai al gelo e nella neve, a lottare con vanga e pala. Tuttavia ave­vo goduto di un riposo abbastanza lungo e mi senti­vo sufficientemente in forze per affrontare le avver­sità ancora per un po'. Ma questa volta non fui messa alla prova. Dopo circa una settimana di lavoro all'esterno, ci confinarono nelle baracche, letteralmente. Alcuni Lager vicini erano stati evacuati e le prigioniere trasferite nel nostro campo, che adesso era insopportabilmente affollato. Il nuovo afflusso ridusse lo spazio disponibile per ognuna di noi a un terzo di quel poco che avevamo prima e, quel che è peggio, quelle povere donne terrorizzate portarono con sé fame e malattie. Il nostro campo non era equipaggiato per farvi fronte. I disagi fisici diventavano sempre piu intollerabili, ma adesso eravamo in grado di affrontarli, almeno spiritualmente, perché sapevamo che l'Armata Rossa era vicinissima.

 Due gravi questioni restavano aperte. Saremmo state coraggiose e forti abbastanza per resistere fino al suo arrivo? E cosa ci avrebbero fatto i tedeschi nel poco tempo che avevano davanti? Non restammo a interrogarci a lungo. Il 27 gennaio 1945 il nostro campo venne evacuato e noi, piene di speranza, ci metemmo in cammino per quello che immaginavamo come un lungo viaggio di ritorno a casa. L'espressione «marcia della morte» fu coniata molto piu tardi, e col senno di poi. Ci fecero marciare fuori dal campo in file di cinque, lasciando indietro quelle che non erano in grado di camminare. Sapevamo per esperienza quale destino le aspettava e non osavamo parlarne, e neppure pensare a loro. Circa tre mesi dopo, all'ospedale di Lauenberg, scoprii quello che era avvenuto nel Lager abbandonato e che credevamo definitivamente condannato. Dopo la nostra partenza, donne malate e morenti vennero affidate a un nuovo comandante, il Maestro. Costui si dimostrò un organizzatore formidabile, nonché un essere umano assai sensibile, che profuse ogni sua capacità ed energia per salvare il maggior numero possibile di persone. Laddove prima regnavano caos e squallore indescrivibili, riuscì a creare un minimo di ordine e condizioni di vita decenti. Distribuì il cibo e i medicinali che ancora restavano, cercò di combattere le infezioni peggiori, e soprattutto incoraggiò le persone a lui affidate a mantenere alto il morale e la speranza di salvezza. Che si materializzò pochi giorni dopo nei soldati delle truppe sovietiche, che arrivarono come liberatori, nonché vendicatori. Erano sul punto di fare giustizia sommaria dell'uomo delle SS: ma allora accadde qualcosa che, pur paradossalmente, fu un atto di giustizia. Le prigioniere malate insorsero in difesa del sorvegliante SS contro i loro liberatori, persuadendoli che dovevano la vita a quell'uomo e dunque ne erano responsabili. Erano decisissime a impedire che gli venisse fatto del male, cosi i russi cedettero e lo lasciarono andare, dove, nessuno lo sa. Mi è capitato spesso di pensare al Maestro, sperando che abbia ritrovato la strada di casa per raccontare la propria storia e riprendere a insegnare.

(...)



















rotusitala@gmail.com