RICORDOCHENON

La mummia rubata




mummiarubata



1

Un tuffo nel Nilo

 


Thothis fece forza con i piedi sulle sponde laterali della leggera imbarcazione di giunchi di papiro e fasce di palma.

- Ani! Kheti! Non così veloci! - gridò Ashira, sollevando il bastone all’altezza delle spalle.

La barca degli avversari ruotò agilmente su se stessa e si mise in posizione di difesa.

- Attento, Apos! Ci stiamo sbilanciando! - ammonì Kheti.

- Tieni ferma quell’asse! - ruggì Thothis. - Apos, piccola pulce del deserto, ti ho detto di…

Il minuscolo Apos, seduto al centro della barca, tentò disperatamente di riposizionare l’asse d’equilibrio, mentre Ani e Kheti provavano a rallentare l’andatura. Ma ormai era troppo tardi. La loro imbarcazione puntò a tutta velocità contro quella degli avversari, paurosamente sbilanciata da un lato. Thothis riuscì a sollevare il bastone solo all’ultimo momento. Sbagliò mira e ricevette un colpo in pieno petto, mentre l’asta del capo equipaggio avversario colpiva la prua della barca e la faceva rovesciare.

Un attimo dopo si ritrovarono tutti in acqua. Nuotarono verso riva accompagnati dalle risate e dalle grida di scherno dei loro avversari.

- Bravi! Bravissimi! - li apostrofò sebau Kara, il loro istruttore e maestro di scuola. - E io dovrei affidare al vostro equipaggio la difesa del titolo conquistato l’anno scorso? Sarei pazzo, se lo facessi!

Thothis, Ashira e i due gemelli si sollevarono sul bagnasciuga. Il piccolo Apos li raggiunse e accorgendosi dell’aria che tirava preferì darsela a gambe.

- Non è colpa nostra! - provò a dire Thothis. - Se Apos…

- Silenzio! - ordinò sebau Kara. Incrociò le braccia sul petto e li squadrò dall’alto in basso, uno per uno: - Domani faremo un altro giorno di vacanza e proveremo un assalto con Piai al posto di Apos. Sempre che il vostro amico si degni di venire! -. Si rivolse ad Ani e a Kheti: - Ma vi dico subito che quella vostra nuova invenzione, sì, l’asse d’equilibrio, o comunque voi la chiamiate, non mi ha convinto per niente.

 Il maestro si allontanò borbottando tra sé e sé, Ani e Kheti si tuffarono in acqua per recuperare la barca rovesciata e Thothis e Ashira si sedettero sul bagnasciuga. Da lì a breve Tavialis avrebbe ospitato il  campionato di lotta sul fiume, al quale avrebbero partecipato tutte le scuole della provincia di Tebe, ognuna con un equipaggio ben addestrato, e loro erano ancora indietro con gli allenamenti.

Dopo la vittoria ottenuta l’anno precedente, avevano provato a perfezionare l’assetto dell’equipaggio e dell’imbarcazione. Thothis, a prua, armato con un bastone corto e robusto, sarebbe stato ancora una volta il capo equipaggio; Ashira, alle sue spalle, l’avrebbe protetto con un’asta più lunga. I due gemelli Ani e Kheti avrebbero fatto da vogatori e  timonieri, mentre Piai si sarebbe occupato di controllare l’equilibrio della barca, stando seduto al centro e manovrando un’asse di legno di palma messa di traverso e appesantita alle estremità con due sacchetti di sabbia.

Secondo Ani e Kheti, grazie all’asse d’equilibrio e allo stesso peso di Piai, nessuno degli avversari sarebbe riuscito a rovesciare l’imbarcazione. Purtroppo però Piai, alla prima prova ufficiale, non si era presentato. E al suo posto sebau Kara aveva inserito nel loro equipaggio il piccolo Apos, che pesava come una scheggia di selce e le cui braccia scheletriche non avevano più forza delle ali di un passero.

- Se scopro dove si è nascosto il nostro amico ciccione… - imprecò Thothis.

- Sai bene che non è solo a causa dell’assenza di Piai, se siamo finiti in acqua - lo rimproverò Ashira.

- Cosa vuoi dire?

- Voglio dire che se tu fossi riuscito a colpire il loro capo equipaggio… -. Lo fissò negli occhi. - Non mi sembri in gran forma, fratellino. Scommetto che non hai dormito neanche stanotte.

Thothis raccolse un sasso liscio e piatto e lo lanciò in acqua, facendolo rimbalzare sulla superficie.

- Hai avuto di nuovo quei brutti incubi? - insistette Ashira.

- Sai bene che non sono incubi… Continuo a vedere quella dannata tomba, anche ad occhi aperti. Ma soprattutto continuo a sentire quell’orribile voce.

- Allora ci resta solo una cosa da fare. Dobbiamo riunire la Banda del Vecchio Sicomoro. E affrontare tutti insieme questo problema. Ma ora andiamo ad asciugarci. Ho freddo… - ebbe un brivido. - E se non mi sbaglio abbiamo visite.

Un piccolo corteo si avvicinava alla tenda di lana grezza che sebau Kara aveva fatto piazzare al limite estremo dell’Ansa di Katopek, come base per gli allenamenti sulle acque del Nilo. Quattro uomini adagiarono davanti all’entrata un grosso baule, e un uomo vestito secondo gli usi siriani si avvicinò a sebau Kara. Thothis notò che indossava una lunga veste bianca e nera, stretta ai fianchi da una fascia celeste, e che calzava due babbucce di morbida pelle di antilope con la suola rinforzata di papiro, dalla punta arrotondata all’insù. 

- Vai tu a sentire che c’è - disse a sua sorella. - Io ti raggiungo tra un attimo.

Rimasto solo sul bagnasciuga, il capo della Banda del Vecchio Sicomoro osservò il lento fluire del Grande Fiume.

Inutile negarlo. Ashira aveva ragione. Se il suo equipaggio era finito in acqua, la colpa era anche sua. Avrebbe dovuto colpire il suo avversario con un movimento rapido e preciso. Invece si era mosso con la lentezza di un vecchia tartaruga paralitica.

Si stropicciò gli occhi assonnati. Così non poteva andare avanti. Contò mentalmente i giorni. Ne erano passati venti, da quando l’amuleto magico trovato sotto la sabbia nelle paludi di Tavialis gli aveva procurato una nuova visione.[1] Ancora non capiva bene come ciò potesse accadere. Ma quello che era apparso davanti ai suoi occhi, lo aveva sconvolto. A tal punto che aveva deciso di non raccontare a nessuno ciò che aveva visto, salvo che ad Ashira e a Kenhikhopeshef, lo scriba cieco che si era ritirato a vivere a Tavialis e che gli aveva rivelato l’origine sacra dell’amuleto. Purtroppo però il vecchio Kenhi, come lo chiamavano tutti i ragazzi di Tavialis, era partito all’improvviso per Tebe, convocato dai bibliotecari del tempio di Ammon-Ra. E neppure Makombo, il guerriero nubiano un po’ matto che l’assisteva nella grande Villa delle Palme Dum e che si era messo in testa di allevare ippopotami, sapeva quando avrebbe fatto ritorno.

Thothis attese che Ani e Kheti spingessero la barca sul bagnasciuga, poi li seguì verso la tenda, davanti alla quale i loro compagni di scuola avevano formato un capannello.

Sebau Kara stava facendo un discorso.

- Sapete tutti che da qualche mese Tavialis ha un nuovo cittadino, il nobile Thau - disse. - Ora il soprastante della sua villa, il qui presente Sair-Ranshup - rivolse un breve inchino al siriano, - è venuto a portarci alcuni doni per la nostra scuola. Il nobile Thau è stato molto generoso. E sono sicuro che questi regali ci saranno utili.

Sair-Ranshup si chinò sul baule e sollevò il coperchio: - Ecco qui dieci rotoli di finissimo papiro - disse con il suo accento strascicato; - un cubito regio di legno di Fenicia per le misurazioni e una clessidra ad acqua in alabastro; una bilancia di precisione; trenta pennelli di giunco da scrittura e dieci da pittura; venti tavolette incerate provenienti dalla terra degli Hittiti; due vasetti di gomma arabica, un panetto di ocra rossa e uno di ocra gialla per comporre i colori…

Thothis sfiorò il braccio di Ashira, che fece un cenno ai due gemelli. Ani e Kheti li seguirono di malavoglia sino all’ombra di una palma. A dire la verità avrebbero preferito dare un’occhiata più da vicino alla clessidra ad acqua e alla bilancia di precisione, che presto avrebbero usato nel laboratorio annesso alla scuola.

- Questo pomeriggio tutti al rifugio segreto - disse seccamente Thothis. - La Banda del Vecchio  Sicomoro deve prendere una decisione.

- Kenhikhopeshef è tornato a casa? - chiese Ani.

- No.

- Ma allora… - Kheti interrogò con gli occhi Ashira, che distolse lo sguardo. - Va bene - aggiunse un po’ sulle sue. - Ma a un patto. Questa volta dovrai raccontarci la tua visione senza nasconderci niente. E bisognerà avvertire anche Piai.

- Al nostro amico penserò io - disse Thothis. -  Ho due  o tre cosette da dirgli, a proposito della sua assenza di stamattina...

- Puoi dirgliele anche ora se vuoi - fece Ani, sollevando il braccio in direzione del sentiero che da Tavialis conduceva sino all’Ansa di Katopek.

Piai si avvicinava di corsa. Si fermò un attimo. Riprese a correre. Barcollò e si fermò di nuovo.

- Ma cos’ha? - chiese Kheti. - Sembra quasi…

Piai fece altri due passi e crollò a terra.

- Andiamo! - disse Ashira.

Lo raggiunsero e l’aiutarono a risollevarsi.

- Non riesco, non riesco più a respirare… - si lamentò Piai.

 Aveva un labbro gonfio e un brutto segno rossastro sotto l’occhio sinistro.

- Chi è stato a ridurti così? - gli chiese Ashira.

- E’ stato Kemuast…

- L’allevatore di piccioni? E perché mai? - fece Kheti.

- C’erano dei ragazzini che giocavano a palla vicino alla sua tenuta. La palla è finita oltre il muro. I ragazzini sono fuggiti, e quando Kemuast è venuto fuori gridando come un ossesso, e ha trovato solo me, lì davanti… - mostrò le gambe e le braccia, attraversate da numerose striature rosse.

- Non è la prima volta che Kemuast abusa del suo nerbo di bue - la voce di Ani si fece cupa. - L’hai detto a tua madre e a tuo padre?

- Si che gliel’ho detto! -. Due lacrime grosse come chicchi di melograno gli scivolarono sulle guance paffute. - Mia madre ha preso le mie difese. Ma mio padre ha detto che la colpa era sicuramente mia, e che l’allevatore di piccioni ha fatto bene a suonarmele -. Tirò su con il naso: - Io non ci torno più a casa!

Ashira lo prese sottobraccio.

- Sì che ci tornerai. Ma intanto verrai a casa nostra a curarti queste ferite - disse. - Mio padre ha portato un unguento miracoloso a base di olio di menta, dal suo ultimo viaggio ad Assuan. In quanto a quel farabutto di Kemuast - aggiunse scura in volto - bisogna che qualcuno prima o poi si decida a presentargli il conto delle sue malefatte.

Tornando a casa i ragazzi passarono davanti alla tenuta dell’allevatore di piccioni, circondata da alti muri tirati su con mattoni crudi di paglia e fango, posta a poca distanza dalla grande villa del nobile Thau, il prodigo benefattore della scuola di Tavialis.

Più tardi, nel primo pomeriggio, si ritrovarono davanti al Vecchio Sicomoro, il gigantesco albero che si ergeva a ovest delle paludi di Tavialis. Spostarono il cespuglio posticcio appoggiato al tronco secolare riarso a metà da un fulmine, e scesero gli scalini che portavano alla grotta naturale che avevano scoperto per caso qualche mese prima e che era diventata il loro rifugio segreto.

 

 


2

Il Nome cancellato

 


- Mettiamolo ai voti - disse Kheti.

- Come mettiamolo ai voti? - si irrigidì Thothis.

- Non voglio che bisticciate per colpa mia - intervenne Piai. - Possiamo parlare di Kemuast anche dopo, se volete.

Ashira accese un’altra delle speciali candele di grasso mescolato con polvere di natron avute in dono dal vecchio Kenhi, le quali avevano il gran pregio di non fare fumo, e prima di sedersi a gambe incrociate vicino ai suoi amici depose una manciata di petali di loto ai piedi della statuetta della dea Hator, la dolce Signora del Sicomoro che proteggeva il loro rifugio segreto.

- Piai ha ragione - disse, cercando di calmare gli animi. - E tu Kheti, smettila di tenere il broncio. Se mio fratello sinora non vi ha raccontato ciò che ha visto aveva le sue buone ragioni.

Thothis prese in mano l’amuleto di pietra piatta e liscia, di forma ovale, e lo mostrò ai compagni. Su un verso appariva la figura di uno scarabeo nero. Sull’altro due geroglifici: uno scorpione senza pungiglione e un arco sovrapposto alla testa di un ibis, l’emblema sacro del dio Thot.

Secondo Kenhikhopeshef l’amuleto aveva il potere di provocare visioni di qualcosa che era già successo, o che doveva ancora accadere.

- Ricordate quando l’amuleto si è illuminato di quella strana luce azzurra e io l’ho stretto in mano, qui nella caverna? - cominciò. - Davanti ai miei occhi è comparsa una tomba. Un uomo vi è penetrato. E con uno scalpello ha cancellato il nome del defunto. Prima dalle pareti della sala di culto, poi dalla cappella e infine dalle iscrizioni esterne.

Un silenzio carico di tensione scese nella caverna del Vecchio Sicomoro. I due gemelli si scambiarono una breve occhiata e sulla fronte di Piai comparvero minuscole stille di sudore. Tutti sapevano che cancellare il nome del defunto dalla sua tomba equivaleva non solo ad annientare il ricordo della sua esistenza, ma anche ad impedire che egli potesse vivere serenamente la sua nuova vita nell’Occidente Bello, il paradiso degli dei. Il suo ba, la sua essenza spirituale, si sarebbe trasformata in demone e sarebbe tornata a tormentare gli uomini, insieme agli altri spettri provenienti dalle Terre Scure dell’Oltretomba.

- Hai potuto vedere in faccia il profanatore? - chiese Kheti.

- No. Ma ho letto il nome inciso sulla parete della sala di culto, prima che venisse cancellato. Conoscevamo tutti l’uomo sepolto in quella tomba. Lo conoscevano mio padre Inhermes e mio nonno Paefraui. Ed era amico di Makombo il nubiano, suo comandante e compagno d’armi.

- Ma tu stai parlando di… - fece Ani.

- Sì - disse Thothis. - Sto parlando proprio di lui. Del comandante dei medhiau, il corpo speciale incaricato di sorvegliare le piste del deserto.

- Perché non ci hai raccontato subito tutto questo? - chiese Kheti.

- Non capisci? - intervenne Ashira. - Era troppo pericoloso farlo. Sapete cosa si dice, vero? Anche solo pronunciare il nome di un uomo annientato richiama il suo demone e porta sciagura. Per questo mio fratello voleva prima discuterne con Kenhikhopeshef, per chiedergli consiglio. Solo che il vecchio scriba è partito e… Ma mio fratello non vi ha ancora raccontato tutto.

- Non ho visto altro - continuò Thothis. - Però ho sentito una voce, quella del profanatore. Era roca e stravolta dall’odio, e ripeteva incessantemente una filastrocca, una specie di maledizione.

- Quale? - chiese Ani, pallido in volto.

- Questa: “Che il tuo cuore si faccia di pietra, che il dio sciacallo pesi il tuo cuore, che Ammut sbrani il tuo cuore di pietra, mille anni per ogni anno”.

 Il povero Piai si lasciò andare a un gemito e anche Ani e Kheti rimasero senza parole. La fiamma della lampada votiva posta i piedi della dolce Signora del Sicomoro sfrigolò come se qualcuno ci avesse gettato sopra del sale, e Thothis rigirò nervosamente tra le mani l’amuleto magico.

Fu Ashira a spezzare il silenzio:

- Ora sapete tutto anche voi. Forse quello che Thothis ha visto deve ancora succedere. O forse è già successo. A noi non resta che un unico modo, per accertarcene…

- Un unico modo? Cosa vuol dire un unico modo? - ritrovò un filo di voce Piai. Il labbro gonfio gli impediva di parlare speditamente: - Ragazzi, io direi che faremmo meglio ad aspettare il ritorno del vecchio Kenhi - biascicò. - Lui saprà, cosa è meglio fare. E poi ora dobbiamo parlare di Kemuast, ricordate? Le gambe e le braccia mi fanno molto male. E se qualcuno di voi ha davvero intenzione di andare a controllare…

- Io so dove si trova quella tomba - lo ignorò Thothis. - E’ stata scavata nella roccia, sulla sponda occidentale del Grande Fiume,  a nord della Valle dei Re -. Si rivolse a sua sorella: - Ricordi? Non è lontana dal cimitero di Paefraui. Papà ha voluto visitarla, lo scorso Capodanno, quando andammo a portare fichi e miele sulla tomba del nonno.

- Potremmo partire domani mattina, subito dopo l’allenamento con sebau Kara - propose Ashira. - Basterà trovare un’imbarcazione per attraversare il Grande Fiume. E torneremo a casa prima che faccia buio -. Misurò bene le parole: - Non entreremo dentro la tomba. Se scopriremo che il nome di quell’uomo è stato cancellato dalla facciata esterna, avvertiremo subito la polizia. Niente di più.

- Se è così io ci sto - disse Kheti. - Il comandante dei medhiau era benvoluto da tutti, a Tavialis. 

- Votiamo allora - disse Ashira.

Quattro mani si levarono in aria.

- Lo sapevo - protestò Piai. - Non conto niente, io…

Ashira gli si avvicinò e gli passò un braccio intorno alle spalle

- Non è vero - disse. - Quando tutto sarà finito ci occuperemo anche di Kemuast. Non gliela faremo passare liscia, te lo prometto. L’allevatore di piccioni si pentirà amaramente, di aver colpito un valoroso soldato della Banda del Vecchio Sicomoro…

Thothis guardò ammirato sua sorella. Ashira aveva il dono di saper dire le parole giuste, con il tono giusto e al momento giusto.

- Va bene - si arrese Piai. - Verrò anch’io, domani.

- Porterete le vostre armi? - domandò Kheti.

- Non credo - rispose Thothis. - La nostra governante Neferure ha nascosto da qualche parte l’arco da guerra e il pugnale di nonno Paefraui. Credo che sia stato mio padre, a dirle di farlo.

- Io comunque non rinuncerò al mio arco da caccia - disse Ashira. - E voi fareste bene a portarvi dietro le fionde. Non si sa mai.

Quella sera Ashira e Thothis cenarono molto presto e poi si recarono in giardino. La grande barca mandjiet del dio sole Ra non aveva ancora concluso il suo viaggio nel cielo, e una luce morbida e dorata rischiarava le siepi e le fronde degli alberi.

I due ragazzi, come sempre facevano quando la Banda del Vecchio Sicomoro doveva entrare in azione, si raccolsero in meditazione davanti alle piccole cappelle dedicate agli iakh iker, gli spiriti degli antenati.

- Credi che dovremmo avvertire Makombo, della nostra spedizione di domani? - chiese poi Ashira. - In fondo, anche se è un po’ matto, lui conosceva bene il comandante dei medhiau.

- No - rispose Thothis. - Lasciamo che il nubiano si occupi del suo allevamento di ippopotami. Semmai lo faremo al nostro ritorno.

Un leggero colpo di tosse risuonò alle loro spalle.

Ashira si girò di scatto.

- Papà! - disse. - Pensavamo saresti rientrato molto più tardi, stasera.

Inhermes, seduto sulla panchina di granito nero sistemata tra un carrubo e un terebinto, si godeva il venticello fresco del nord.

- Come vanno le cose, ragazzi? Neferure mi ha raccontato quello che è successo al vostro amico. Quel Kemuast è un farabutto della peggior specie. Mi dispiace che il padre di Piai non abbia preso le sue difese. Sapete cosa farò? Parlerò con lui, appena potrò, e lo convincerò a denunciare quell’uomo alla polizia. Ma ora venite qui -. Raccolse da terra una sacca di lino e la poggiò sulla panchina. - Ho portato dei bei regali per voi. E anche per i vostri amici.

Ashira non si mosse e dette di gomito a Thothis.

Quando Inhermes diventava così loquace e generoso, voleva dire che aveva qualcosa da farsi perdonare.

L’uomo tossì e si schiarì la voce: - Quando si  terrà quel vostro campionato di lotta sul fiume?

- Le eliminatorie cominceranno tra breve - disse Thothis. - Invece le finali si svolgeranno il primo giorno del mese di epiphi -. Fece una smorfia: - Non dirmi che anche quest’anno…

- Purtroppo sì - ammise Inhermes. - Non potrò esserci. Il responsabile dei magazzini statali di Tebe mi ha chiesto di trasportare ad Assuan un carico di olibano e di altre resine vegetali. Da lì proseguirà via terra sino ai grandi templi di Abu Simbel. Pare che laggiù abbiano quasi finito le scorte d’incenso -. Allargò le braccia: - Mi dispiace, davvero.

Thothis fissò per un attimo i suoi occhi grandi e bruni. - Ho sonno, vado a letto - disse. Girò le spalle e si allontanò verso casa.

- L’ha presa male, vero? - sospirò Inhermes.

Ashira si avvicinò a suo padre.

- Thothis non sta passando un buon periodo, papà. E tu gli avevi promesso…

- Lo so. Gli avevo promesso che sarei stato presente almeno il giorno delle finali. Ma non è possibile rimandare questo viaggio. Cerca tu, di stargli vicina. E soprattutto, tutti e due, fate in modo di non mettervi nei guai. Se penso in che brutta situazione siete andati a cacciarvi, l’ultima volta che sono partito…

- Cos’hai lì? - cambiò prontamente discorso Ashira.

Inhermes aprì la sacca che stringeva sul grembo e ne tirò fuori cinque bastoni piatti, curvati al centro in modo da formare un ampio angolo.

- Sai cosa sono?

- Se sono quello che penso, - esclamò la ragazzina, illuminandosi -non potevi pensare a un regalo migliore!

Nello stesso momento Thothis, seduto sulla sponda del suo letto, capì che anche quella notte avrebbe dormito poco o niente. E non solo per ciò che gli aveva detto suo padre.

Forse avrebbe dovuto essere più sincero, con i suoi amici.

Forse avrebbe dovuto raccontargli proprio tutto. Anche quello che sino a quel momento non aveva avuto il coraggio di raccontare neppure ad Ashira.

Si distese sul letto, socchiuse le palpebre e rivide il profanatore infilare un grosso bastone sotto il coperchio della cassa funeraria del comandante dei medhiau, per aprirla.

 



[1] Vedi Il mistero dello scarabeo nero.

 

 



















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