1
Come un pipistrello
Sulla soglia di una capanna col tetto di rami e di foglie di palma ingiallite
dal sole dei tropici, un uomo e un ragazzo fissavano il mare al tramonto.
- Ora aiutami, Joakim – disse l’uomo.
Il ragazzo lo seguì fino a una piattaforma di pietre piatte e lisce, disposte a
forma di mezzaluna sulla spiaggia. Poi si chinò con lui su una canoa dalla prua
curva e rialzata, dotata di un albero e di un solo bilanciere sul lato destro,
simile a quello di un catamarano.
I due spinsero l’imbarcazione sul bagnasciuga e Joakim osservò assorto il suo
compagno che portava a termine gli ultimi preparativi per il viaggio che
l’attendeva.
L’uomo assicurò alla leva del timone una cordicella intessuta con sottili fibre
di cocco, che una volta superata la barriera corallina e raggiunto il mare
aperto avrebbe legato saldamente al polso destro. Dopodichè controllò che la
vela triangolare fosse ben arrotolata alla base dell’albero e che sulle sartie
non si fossero formati dei nodi che gli avrebbero impedito di spiegarla al
vento con un unico movimento del braccio.
A Joakim il suo compagno, che indossava solo un thu, un panno blu
arrotolato tra le gambe e intorno ai fianchi, sembrò improvvisamente più
anziano di quanto in realtà non fosse: le sopracciglia bianche che spiccavano
come batuffoli di cotone sulla pelle del viso bronzea, i muscoli tesi come
corde sulle braccia magre.
- Mwahuele… - sussurrò il ragazzo, sentendo una stretta al cuore.
L’uomo si voltò e Joakim lo fissò per un lungo istante negli occhi. Nessuno,
sull’arcipelago, aveva occhi simili ai suoi: così pallidi e cerulei da sembrare
quasi albini.
- Forse… -. Il ragazzo esitò e indicò l’oceano col braccio teso, in direzione
nord – est, dove erano comparse basse nuvole cariche di pioggia. – …Forse non
dovresti andare, – continuò tutto d’un fiato – perché se il vento dovesse
spingere quelle nuvole sulla tua rotta…
- La mia rotta? – non lo lasciò finire l’anziano pescatore. – Ma neppure tu sai
quale sarà la mia rotta! -. Si avvicinò al ragazzo e gli passò un braccio
intorno alle spalle. – Non devi aver paura. Il vento terrà lontane quelle
nuvole. E poi non ricordi cosa dice la gente delle quattro isole?
Mwahuele il cieco è capace di attraversare l’oceano come un
pipistrello la fitta chioma di un albero!
Joakim sollevò il capo verso il viso del suo compagno. Ora le sue pupille
slavate, rivolte verso le prime stelle che erano comparse nello sterminato arco
del cielo, tremolavano e oscillavano da destra a sinistra con lo stesso
movimento di un orologio a pendolo.
Mwahuele non era veramente cieco: e i suoi strani occhi ballerini riuscivano a
cogliere astri e costellazioni invisibili per chiunque altro.
- Se tu non dovessi tornare… - mormorò il ragazzo.
- Allora sai cosa fare! – lo zittì ancora una volta l’uomo.
Si chinò sulla canoa e la spinse in acqua. Salì a bordo, impugnò una corta
pagaia e cominciò a remare, voltandosi ogni tanto verso la riva.
- Ricorda! – gridò. – Sotto la pietra del fuoco! Non permettere che finisca
nelle mani sbagliate!
Joakim trattenne il fiato e rimase immobile sul bagnasciuga, a guardare la
canoa che si allontanava verso la barriera corallina. Poi spinse lo sguardo
sulla linea dell’orizzonte che già spariva nel buio della notte.
Fu in quel momento che un fulmine zigzagò dal cielo alla massa liquida, come un
cattivo presagio.
2
Quattro isole e una
filastrocca
Qualche giorno più tardi
a Londra, in una vecchia casa vittoriana soprannominata Red Castle,
Castello Rosso, per via del colore che assumevano le sue pareti di legno e
pietra di arenaria alla luce del tramonto, una ragazza sfogliava un libro
intitolato Atlante delle isole della Micronesia.
Trovò la carta geografica che cercava e puntò il dito su un puntino smarrito
nell’oceano Pacifico, a ottocento miglia a est delle Filippine. Dopodichè
esaminò una carta di scala molto maggiore, sotto di cui appariva la
dicitura: Arcipelago di Yap.
- Quattro piccole isole dai nomi che sembrano quelli di una filastrocca –
mormorò Violet Twist. - Yap, Maap, Tomil – Gagil e Rumung…
Yap, la più importante delle quattro, non dava il nome solo all’arcipelago ma
anche a una nazione che faceva parte della Federazione della Micronesia e che
comprendeva altri centotrenta minuscoli atolli, quasi tutti disabitati.
Sulla carta geografica, intorno alle minuscole terre emerse, c’era una cornice
di colore celeste pallido.
La ragazza chiuse gli occhi e immaginò la laguna dell’arcipelago protetta dalla
barriera corallina, con le sue spiagge bianchissime e le sue acque turchesi. Li
riaprì e volse lo sguardo alla finestra: fuori, anche se la primavera era
appena iniziata, il cielo era coperto e cadeva una pioggia sottile.
- Uff! – sbuffò.
I suoi occhi si posarono per caso su una foto appesa alla parete. Vi erano
ritratti i suoi genitori, che in quel momento si trovavano molto lontani da
Londra, anche se non in un posto così bello come l’isola di Yap.
Sotto la foto, che era stata ritagliata dal Times, la didascalia diceva: “Billy
Twist e Caroline Ashenden, i favolosi Pirati dell’Arcobaleno”.
Violet pensò che a suo padre e a sua madre non era mai piaciuto quello strano
soprannome che i giornalisti gli avevano affibbiato, anche se a volte invece
aveva l’impressione che ne fossero orgogliosi.
“Chissà cosa si prova ad essere gli ecologisti più famosi della Gran Bretagna”
si domandò la ragazza.
Aprì un cassetto e tirò fuori una copia di Greenship, la rivista
mensile fondata dal papà e dalla mamma. Ora i favolosi Pirati
dell’Arcobaleno si trovavano in Africa, alla ricerca degli ultimi esemplari
della Gazzella del Sahara, e di certo il prossimo numero del periodico avrebbe
ospitato il reportage e le foto della loro nuova avventura.
Violet provò una punta di nostalgia. Ma subito dopo si sentì terribilmente
in colpa. Perché anche se suo padre e sua madre le mancavano, in fondo era
contenta che in quel momento non si trovassero a Red Castle. In caso contrario
come avrebbero fatto l’indomani sera, lei, suo fratello Valiant e la sua amica
Shaila a…
- Oh! Cavoli! – esclamò la ragazza. Lanciò un’occhiata all’orologio. – Non
credevo che fosse così tardi!
Chiuse l’atlante e si precipitò verso le scale che portavano al piano
inferiore.
Quando Violet raggiunse la spaziosa cucina
che si affacciava sul giardino di Red Castle, trovò ad attenderla la governante
della casa, una donna maori straordinariamente alta e robusta che mostrava su
ambedue gli avambracci i tipici tatuaggi del suo popolo: una serie di linee e
piccole mezzelune color nero di seppia.
- Sono quasi le cinque! - esclamò trafelata la ragazza. - Dovrebbero essere qui
da un momento all’altro…
- Credi che me ne sia dimenticata? – ribatté cupa la donna, che si chiamava
Kiki.
- Ti prego… - la implorò allora Violet. – Ricorda che hai promesso di…
- Io non ho promesso un bel niente! – puntualizzò la governante. – Ho detto
solo che vi avrei dato una risposta entro domani. E più ci penso, più…
In quel momento si sentì squillare il campanello.
- Vado io ad aprire – disse Violet, dopo aver rivolto alla donna un’ultima
occhiata supplichevole.
Qualche istante più tardi la ragazza fece entrare nel salone ovale di Red
Castle la sua amica Shaila Rao, accompagnata dal padre Manik, un uomo dalla
pelle olivastra d'origine indiana, e dalla madre Ethel, che invece era di
carnagione molto chiara.
Quest’ultima reggeva in mano una valigia.
- Kiki – fece allora le presentazioni Violet – questi sono i genitori di
Shaila…
Il signor Manik Rao le strinse vigorosamente la mano. - Non so proprio come
ringraziarla! – esclamò. – Se lei non si fosse offerta di prendersi cura di
nostra figlia, stasera non potremmo di certo salire su quell’aereo!
- Beh, a dire la verità…
– Sa, io e mio marito abbiamo sempre sognato di fare un viaggio a Parigi! –
intervenne la signora Ethel. - E visto che nei prossimi giorni nella capitale
francese sarà inaugurata un'importante fiera internazionale di libri d’epoca,
abbiamo pensato di approfittarne!
Entrambi i coniugi Rao erano degli accaniti collezionisti di volumi antichi e
rari, in particolare di quelli francesi e inglesi del Settecento.
La donna posò la valigia sul pavimento. – Qui c’è tutto il necessario per i
giorni in cui nostra figlia sarà vostra ospite – disse ancora. - Mi auguro che
non vi darà troppo da fare…
Solo a quel punto Kiki riuscì ad arginare quel fiume in piena. - Sono felice
che Shaila si trattenga qualche giorno qui da noi – affermò. Fece un sorriso
stiracchiato e aggiunse: – E poi negli ultimi tempi ha frequentato così spesso
questa casa che ormai io e lei ci conosciamo molto bene! A tal punto che potrei
rivelarvi perfino i suoi segreti!
Così dicendo la donna fissò intensamente la ragazza, che impallidì e lanciò
un’occhiata interrogativa alla sua amica.
Prima però che Violet potesse intervenire, Kiki le indicò la valigia. –
Accompagna Shaila nella sua stanza – le disse. – Così io e i suoi genitori
potremo scambiare quattro chiacchiere.
Le due ragazze invece, dopo aver richiuso la porta, si sedettero sui primi
gradini che portavano al piano superiore.
- Che le prende a Kiki? – chiese Shaila. – Il fatto che i miei genitori abbiano
deciso di partire per Parigi proprio in questi giorni è stato un vero colpo di
fortuna. Ma se lei ora rovina tutto…
Violet aggrottò la fronte. - La verità è che non ha ancora preso una decisione
- affermò. - E oltretutto da stamattina è di pessimo umore, per colpa di
Valiant.
- Di tuo fratello? Che cosa ha combinato questa volta?
- Si è chiuso in camera sua, ha attaccato sulla porta un cartello con la
scritta “Non disturbare” e ha
saltato sia la colazione sia il pranzo!
- Ma perché? – le domandò la sua amica.
- Perché ha deciso di scrivere una specie di diario! – esclamò Violet. – E gli
ha dato persino un titolo. Il Diario di Valiant Twist: ovvero Le
avventure dei Tre Viaggiatori.
– Non mi dirai che ha intenzione di raccontare tutto quello che c'è successo da
quando…
- Sì! Proprio tutto! – confermò la ragazza. – E ha detto che domani sera,
quando lasceremo Red Castle, porterà il diario con sé!
- Sempre ammesso che qualcuno non mandi all’aria i nostri piani… - ribatté
Shaila.
Oltre la porta era risuonato il vocione roco della governante maori, simile al
brontolio minaccioso di un temporale.
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