Ogni riferimento a fatti e a persone realmente
esistite, non è da ritenersi del tutto casuale: soprattutto laddove gli occhi della fantasia
più si sforzano di scrutare tra le nebbie delle verità. Avvertenza Essendo Il segreto dello scrigno un’opera
di fantasia, si vorranno perdonare alcune inevitabili forzature storiche. Non
tanto sul piano dei tempi (essendo ormai assodato che Gesù di Nazaret nacque
con ogni probabilità nell’anno 7 a.C.), quanto nell’identificazione del Maestro
di Giustizia col rabbi Josef Ben Joeser di Zereda, cosa che invece non è certa,
e nella ricostruzione dell’abbandono di Gerusalemme da parte dell’etnarca
Archelao, figlio di Erode il Grande: che avvenne sì nell’anno 6 d.C., ma con
modalità che restano a noi in gran parte sconosciute. Nella scelta dei toponimi e dei nomi dei personaggi
che hanno accompagnato il giovane Gesù di Nazaret in questa avventura, di norma
si sono privilegiate le forme italiane utilizzate nella letteratura biblica
classica, salvo nei casi nei quali si è ritenuto più corretto o agevole
utilizzare termini propriamente ebraici, o di più marcata ascendenza
greco-romana. A prescindere però da tutto questo, l’intenzione
dell’autore è stata solo quella di immaginare l’avventura di un ragazzino di
dodici anni destinato a riscrivere la Storia degli uomini e del mondo: cercando
di restituire prima di tutto, attraverso gli occhi dei suoi amici Joachim e
Sara, ultimi tra gli ultimi della terra, il suo grande e tenerissimo Mistero. Prima Parte 1 Via da quest’uomo, spiriti immondi! Quando mio nonno Bacuc sollevò le
braccia al cielo, con la fronte rugosa attraversata dal sudore e la voce roca
che si alzava e si abbassava in un borbottio sconnesso, la gente di Betsaida
cominciò ad affollarsi sulla spianata del Tempio e a farsi più vicina. Di fronte a lui Marak il cieco, steso sulla sua
stuoia di giunco, si contorceva come se tutti gli spiriti immondi dell’universo
gli stessero divorando l’anima. Riuscì a voltarsi di fianco e fece l’atto di
sollevarsi. Ma subito ricadde su sé stesso come un sacco di iuta pieno d’aria. Mio nonno allora prese a recitare i Salmi Antichi e
i Numeri Nascosti, quelli che più fanno paura agli spiriti immondi. Si inginocchiò sulla polvere e impose le mani sulle
spalle di Marak. E Marak, cercando di divincolarsi dal suo abbraccio, prese a
tremare dalla testa ai piedi e lasciò andare dalla bocca una schiuma gialla e
verde che gli macchiò la veste di lino. - Via, via da quest’uomo, spiriti immondi! -
gridò a gran voce mio nonno. La gente si portò indietro spaventata. E anch’io
feci due o tre passi indietro e chinai la fronte sulla nuda terra. Ma mentre mi spargevo il capo di polvere, dicendo a
voce alta tutti gli scongiuri e le lamentazioni che mi venivano in mente,
continuavo a domandarmi come accidenti avesse fatto Marak a sputare dalla bocca
quella strana schiuma. Anche se di certo doveva avere qualcosa a che fare coi
frutti di pistacchio e coi fiori di senape che avevo raccolto la sera prima
sulle sponde del lago di Genesaret. La sera prima, seduti intorno al fuoco che avevamo
acceso sotto un sicomoro a poca distanza dalle rive del Genesaret, mio nonno
Bacuc e il suo nuovo servo Marak avevano messo a punto il piano della
guarigione miracolosa. Marak, già da qualche settimana, si era liberato
della lercia tunica che aveva indossato a Be’er Sheva e ad Ascalon, quando mio
nonno l’aveva guarito dalla lebbra. Per sicurezza aveva messo da parte anche il
pesante mantello di lana grezza di cui aveva fatto sfoggio qualche giorno prima
a Cafarnao, quando mio nonno l’aveva guarito dalla paralisi. Sotto le fronde del sicomoro, aveva insistito perché
lui si tagliasse i capelli e si scurisse le sopracciglia col succo di carruba. - Betsaida è troppo vicina a Cafarnao - aveva detto.
- E qualcuno potrebbe riconoscerti. Marak così si era tinto le sopracciglia schiarite
dal sole del deserto e subito dopo si era tagliato i capelli. Ma siccome le
uniche cesoie che possedeva erano arrugginite e senza più filo di lama, aveva
dovuto finire l’opera col coltello che mio nonno usava per tagliare il duro
pane di segala. Col risultato che la sua testa spelacchiata ora sembrava quella
di un vecchio cane tignoso. Più tardi Bacuc mi aveva mandato a raccogliere i
fiori di senape e i frutti di pistacchio sulle rive del Genesaret. - Joachim, luce dei miei occhi - mi aveva detto. -
Prendine un bel po’. Perché domani gli spiriti immondi usciranno da Marak
attraverso la sua bocca. Marak, prima di essere assunto da mio nonno come
miracolato di professione, viveva nel caravanserraglio ai margini del Negev,
dove i mercanti greci e persiani si fermavano a riempire gli otri prima di
affrontare la traversata del deserto. Accudiva le bestie, tirava su l’acqua dal
pozzo, riempiva gli otri dei viaggiatori e quando scendeva la notte accendeva
le lampade a olio e scrutava a lungo il cielo, per capire da che parte avrebbe
tirato il vento l’indomani mattina. I cammellieri di solito lo ricompensavano con
qualche pugno di datteri, con un cesto di more di gelso o con un vasetto di
miele, che lui poi metteva da parte per barattarlo coi nuovi viaggiatori che
sarebbero giunti al caravanserraglio. - Se verrai con me - gli aveva detto Bacuc - avrai
pane e burro ogni mattina. E il Sabato zuppa di grano e farinata di ceci. Marak lo aveva guardato con sospetto. - Cosa dovrei fare? - aveva chiesto, grattandosi la
grossa testa martoriata dai pidocchi. - Farai il lebbroso - aveva risposto mio nonno. - Il
cieco, il paralitico, lo storpio e l’indemoniato. Io ti guarirò dai tuoi mali e
la gente d’Israele loderà il Santo dei Santi e ci ricompenserà con denari e
cibo e preghiere in nostro nome... Marak ci aveva pensato su e aveva sollevato qualche
obiezione. Ma poi si era arreso alla volontà di mio nonno. Perché quando il
vecchio Bacuc vuole qualcosa non c’è niente sotto il cielo e sopra la terra che
possa impedirgli di ottenerla. Mio nonno Bacuc ha imbrogliato più gente in
Israele di quanta se ne affolli ogni giorno nel mercato di Gerusalemme. Ha
guarito storpi. Ha cacciato spiriti immondi dall’anima e dal corpo degli
indemoniati. Ha ridato la luce ai ciechi e le gambe ai paralitici. Ha sanato lebbrosi
ebrei, predetto il futuro ai centurioni romani e convinto i mercanti greci a
pagargli in denari sonanti i suoi auspici e le sue benedizioni. Mio nonno dice che se è possibile darla a bere ai
ricchi mercanti greci e ai soldati romani, nessuno è meglio disposto ai
miracoli della gente di Israele. - I mercanti greci sanno scorgere solo le cose
visibili del mondo - mi aveva spiegato. - E i kittim[1]nemmeno quelle, intenti come sono a
riscuotere l’argento del tributo. Ma noi ebrei abbiamo gli occhi rivolti verso
il cielo. E se guardiamo per terra è solo per scorgervi i segni del prodigio. Bacuc era convinto di dare alla gente di Israele
quello che la gente d’Israele voleva. E se la gente voleva i miracoli, lui
glieli serviva su un piatto d’oro incastonato di gemme preziose. Persino un
giovane rabbi era caduto nei suoi tranelli. Aveva visto Marak il paralitico che
riacquistava l’uso delle gambe, sulla piazza del mercato a Cafarnao, e aveva
ringraziato il cielo per aver inviato in Israele uno tzaddik[2] buono e potente come Bacuc. Bacuc, facendo l’occhiolino a Marak, si era
schernito e aveva abbassato il capo. - Se Sabato ci accoglierai in sinagoga -
aveva detto - ringrazieremo insieme a te il Santo dei Santi. Ma purtroppo non c’era stato niente da fare. Perché
i rabbi più anziani e diffidenti avevano rimproverato il giovane ingenuo che
ci aveva dato credito. E perché nelle sinagoghe, a un vecchio imbroglione come
mio nonno era vietato l’ingresso. Così ancora una volta ci eravamo dovuti accontentare
dei ringraziamenti e delle offerte dei contadini e dei braccianti. Il che non
era poco, visto che lasciammo Cafarnao carichi di panetti di burro, vasetti di
miele e orci di buon vino rosso. - Prima di far ritorno a Nazaret - aveva detto più
tardi Bacuc, sulla strada che costeggiava il Genesaret - ci spingeremo sino a
Betsaida. Aveva girato il capo verso il sole che tramontava
dietro le colline a est del monte Hermon. - Mi sa che questa volta dovrò
guarire un cieco - aveva aggiunto un po’ soprappensiero.
2 Il mio strano amico Yehoshua Marahk il cieco smise di sputare dalla bocca la
schiuma gialla e verde, si stropicciò le palpebre e aprì gli occhi. Ma subito
li richiuse come se una lama gli avesse attraversato da parte a parte le
pupille. Li riaprì lentamente e lanciò un urlo strozzato. - Io… io… - disse -… io vedo! Dalla gente si sollevò un forte clamore e Marak si
gettò ai piedi di mio nonno. - La luce… io vedo la luce! Che il Santo dei
Santi ti benedica… Quel vecchio imbroglione di Bacuc allora lo prese
per le spalle e lo sollevò da terra come se fosse il suo figlio prediletto. Lo
strinse forte a sé e senza farsi vedere gli strofinò sul labbro superiore il
pezzetto di cipolla selvatica che nascondeva tra l’indice e il pollice, così
che in un attimo gli occhi miracolati di Marak presero a lacrimare di riconoscenza. Solo in quel momento mi accorsi che dietro la folla,
accoccolato sui talloni a ridosso del muro di una casa, il mio amico Yehoshua
ci guardava. Mentre gli uomini e le donne di Betsaida
circondavano Bacuc, tirandolo per le vesti e chiedendogli di seguirlo nelle
loro case, per benedirle e per ricevere in cambio lauti doni, ebbi
l’impressione che se la ridesse alla grande. Di me, di mio nonno, della gente
che ci stava intorno e anche di Marak il cieco che aveva ritrovato la luce. I suoi occhi invece non ridevano e non sorridevano. Mi sembrarono seri e malinconici. E come al solito
non era facile capire quali strani pensieri li attraversassero. Yehoshua è il ragazzo più strano del nostro
villaggio. Ha 12 anni, come me, ed è arrivato a Nazaret qualche tempo fa,
quando sua madre Miriam e suo padre Josef sono tornati da un lungo viaggio nel
paese d’Egitto. Suo padre Josef è il teknos[3] più abile e capace di tutta la Galilea.
Così che viaggia di paese in paese per aggiustare cassapanche ed aratri, o per
riparare le ruote dentellate dei mulini e le chiglie delle barche dei
pescatori. È molto anziano. Ha perso quasi tutti i capelli, gli
è rimasta solo una lunga barba grigia che gli arriva sino al costato. La gente
dice che è un uomo giusto, perché non picchia sua moglie Miriam e non si
ubriaca. Non viaggia di Sabato e non tira sul prezzo coi contadini che vendono
le loro merci al mercato. Miriam è ugualmente una brava donna. Anche se non
nasconde il viso dietro il velo e non abbassa gli occhi davanti ai mercenari
del Tetrarca. A dire la verità non abbassa gli occhi davanti a
nessuno. Nemmeno davanti ai kittim. Così che mio nonno la evita come la peste e
non ha mai tentato di dargliela a bere. Mio nonno ha una paura matta di Miriam, anche se
preferirebbe inghiottire tutti i sassi da Gerusalemme a Tiro, pur di non
ammetterlo. Ma chi più di tutti fa andare in bestia Bacuc è il mio amico
Yehoshua. Bacuc dice che è un accidenti di ragazzo. E che i suoi occhi non sono
tristi e malinconici ma solo impertinenti. Io però lo so perché Yehoshua riesce a mandare fuori
di sé mio nonno. Non è perché i suoi occhi sembrano attraversarlo da parte a
parte, quando lo guardano. E neppure perché sorride in modo irriverente, quando
Bacuc si vanta dei suoi miracoli e minaccia di lanciargli un incantesimo che
punisca per i secoli dei secoli la sua dannata impertinenza. In realtà mio nonno non sopporta Yehoshua perché ha
intuito il suo segreto. E il segreto del mio strano amico Yehoshua è uno solo.
Lui riesce a leggere nel cuore degli uomini come su una tavoletta di cera
incisa a chiare lettere da un rabbi in sinagoga: non c’è niente che riuscireste
a nascondergli; neanche se foste voi a nascondervi sotto un sasso, in fondo al
lago di Genesaret. Quando mio nonno e Marak seguirono gli uomini e le
donne di Betsaida dentro le loro case, Yehoshua si avvicinò e capii
subito che aveva qualcosa d’importante da dirmi. - Sara ti aspetta domani sera ai sassi bianchi del
ruscello - mormorò, con un tono di voce che non mi piacque affatto. - E successo qualcosa? - gli chiesi, mentre il cuore
che mi si imbizzarriva in petto. - Se quel bastardo l’ha di nuovo frustata… - No… non è per questo che Sara vuole vederti… - Perché allora..? Per un attimo restò in silenzio. Poi sospirò e
allargò le braccia: - È arrivato un mercante greco da Baalbek, l’altra
sera… E ha chiesto al vecchio Mordecai di vendergli Sara. Ha detto che è
disposto a pagare 100 dramme. E anche a cedere un cammello e due asinelli
bianchi di Samaria, pur di averla… Il cielo cominciò a ondeggiarmi
sulla testa. Mi accoccolai sui talloni e raccolsi un pugno di polvere da terra. - Se me la portano via… - sussurrai, battendomi sul
petto. Yehoshua mi venne più vicino. - Farai subito ritorno a Nazaret e io verrò con te –
disse.. Poi parleremo di cosa si può fare. Fu così che quando mio
nonno e Marak tornarono alla spianata della sinagoga, carichi di doni e di
denari, io dissi loro che dovevo andare via col mio amico Yehoshua. Mio nonno da parte sua non obiettò alcunché. Anche
perché dopo aver licenziato Marak, non vedeva l’ora di stendersi all’ombra di
un olivo. Per scolarsi un orcio o due di vino in santa pace.
[1] I
conquistatori romani, stranieri e invasori, venivano chiamati così dalla gente
comune. [2] Venivano
definiti così gli Uomini Santi, i “Giusti”; al plurale si diceva
“tzaddikim”. [3] Letteralmente
significa “tecnico”: cioè falegname, fabbro e carpentiere. |