S’Orcu e il Professore Una volta arrivato alle
pendici del monte Gruttas, per il professor Paolo Orano fu abbastanza facile
individuare l’entrata della grotta. Toc toc toc. Si sentì il passo
strascicato di due pantofole. Poi il portale in legno si aprì e una creatura
gigantesca apparve sulla soglia. - Sì? - Buongiorno! E’ lei
l’Orco? La creatura lo scrutò
con uno sguardo diffidente. - Chi le ha dato il mio
indirizzo? – gli chiese. - E’ stato un pastore
di passaggio, nei pressi di Urzulei... - Capisco... Prego si
accomodi... Paolo Orano seguì
l’Orco all’interno della grotta, che era arredata con pesanti mobili d’epoca.
L’Orco gli indicò un ampio divano, si sedette vicino a lui e aggrottò le
sopracciglia cespugliose. Non era bello a vedersi. Aveva i capelli folti e
arruffati e una fitta peluria nera gli copriva in modo non uniforme le guance e
il dorso delle mani. - Cosa vuole da me? Il professor Orano si
scosse. Aveva appena notato un particolare curioso, l’Orco era leggermente
strabico. - Le esporrò subito il
motivo della mia visita – gli disse. - Sto eseguendo una ricerca per una
pubblicazione intitolata “Sociologia della diversità nelle fiabe:
l’individuazione del diverso come atto fondante dell’identità condivisa”.
Ovvero, in altre parole... Il professor Orano fece
una pausa. Gli sembrava che sul viso dell’Orco fosse comparso un moto di
stupore. - Ovvero, in altre
parole... – continuò – sto cercando una fonte diretta che confermi la mia tesi:
che l’individuazione dei cosiddetti “mostri” nella tradizione orale, svolgesse
un ruolo squisitamente auto referenziale nell’espulsione e nella reclusione simbolica
dell’Altro da se... Il professor Orano fece
un’altra pausa. Ora aveva l’impressione che il padrone di casa volesse dirgli
qualcosa. E infatti l’Orco strabuzzò gli occhi strabici ed esclamò: - Per Santa Genoveffa!
Non ci ho capito un fico secco! Ma parla sempre così lei? Il professor Orano
arrossì e involontariamente il suo sguardo corse ai dorsi dei libri
ordinatamente disposti su una mensola. L’Orco possedeva tutti i romanzi
di Paolo Coelho. E su un tavolino vide una copia di Novella 2000 e un album
di figurine di Wrestling. Capì così di aver
sbagliato approccio. Doveva parlare all’Orco con un linguaggio molto semplice.
Quasi come se fosse un bambino. - Mi perdoni... Quello
che volevo dirle è che... E che a voi orchi la gente vi ha sempre trattati molto
male! Sa, con tutte quelle fiabe in circolazione... Il viso dell’Orco si
allargò all’istante in un enorme sorriso. - Davvero lei crede
questo? – sussurrò, nei limiti in cui il vocione di un orco può sussurrare. - Certo! - Un attimo... L’Orco scomparve dietro
una porticina e tornò con due bicchieri e un bottiglione di vernaccia. - Beviamo! – disse. Il professor Paolo
Orano sorseggiò un po’ di vernaccia e la trovò molto buona. - Posso farle qualche
domanda ora? – chiese all’Orco. - Ma certo! - Come ci si sente a
vivere isolati da tutto e da tutti? Un po’ tristi vero? - Tristissimi... –
ammise l’Orco. - Senza mai ricevere un
invito, senza mai partecipare a una festa... - Mai, mai... - Scartati persino dal
più derelitto degli uomini... - Gia! - Senza neanche un
amico... - Neppure uno... - Additati come la
feccia della società... - Cosa vuol dire
feccia? - Come chi non conta
nulla... - Oh! Questo sì! - Poveri orchi! - Poveri noi! - E tutti quei bambini
spaventati da ciò che raccontavano gli adulti! - Poveri bambini! - E questo per che
cosa? Per un semplice pregiudizio! - Proprio così! -
esclamò l’Orco. – Ma cosa vuol dire pregiudizio? Il professor Orano
allora spiegò in parole povere all’Orco il significato della parola
pregiudizio. Gli disse che la gente si era convinta che gli orchi fossero
creature poco raccomandabili solo a causa della loro diversità. Ovvero che a
causa del loro aspetto un po’ rude – con rispetto parlando – ci si era convinti
che fossero cattivi. Una convinzione certamente sbagliata, che però si era
rinforzata a tal punto di generazione in generazione che gli orchi erano
diventati degli spauracchi persino nelle fiabe! Quando il professor
Orano finì di parlare, lui e l’Orco avevano ormai scolato mezzo bottiglione di
vernaccia. E l’Orco era così commosso, ma così commosso, che alcune lacrime
grosse come acini d’uva gli avevano bagnato il viso. Il professor Orano, che
si sentiva girare un po’ la testa, pensò che fosse venuto il momento di tirare
fuori dalla tasca il piccolo registratore che si era portato dietro. Era
infatti sua intenzione, ora che si era guadagnato la fiducia dell’Orco, approfondire
certi aspetti del suo pensiero. - Vorrei farle un’altra
domanda... – esordì, mentre l’Orco gli passava amichevolmente un grosso braccio
intorno alle spalle. - Non ritiene che sia venuto il momento di dire a tutti
che ciò che si raccontava nelle fiabe sugli orchi era profondamente sbagliato? L’Orco fissò con gli
occhi ancora umidi il registratore e singhiozzando disse: - Non posso... - Coraggio! Sì che può! - Non posso... Davvero
non posso... L’Orco strinse forte a
sé il professor Orano, che si commosse a sua volta per quella inaspettata
manifestazione d’affetto. - Vede... – continuò
l’Orco tra un singhiozzo e l’altro. – Io vorrei dirglielo! Ma il fatto è che
con tutto questo parlare, e con tutto questo bere, mi è venuto un certo
languorino... E quando mi viene un certo languorino, capisce, io... Questa volta il
professor Orano non fece in tempo a dire né bò ne bà. Vide la gigantesca bocca
dell’Orco che si spalancava e poi... Gnam! L’Orco gli divorò la
testa e mezzo tronco in un solo boccone. Poi si asciugò le
lacrime e infilò quello che era rimasto del professore nel forno a microonde. - Che uomo stupido! –
borbottò versandosi un altro bicchiere di vernaccia. – Non aveva capito che le
fiabe dicono sempre la verità! E che noi orchi siamo davvero molto... molto
cattivi! |