L’Afghanistan
è un Paese dell’Asia che negli ultimi decenni è stato devastato da numerose
guerre e incessanti violenze. Questa storia si svolge in una delle sue province
più povere, situata all’estremità della catena montuosa dell’Hindukush, che ha
come capoluogo la città di Bamiyan ed è abitata quasi esclusivamente dagli Hazara,
un popolo che si crede discenda dal grande imperatore Gengis Khan. Gli
Hazara, di carattere mite e aperto, hanno molto sofferto a causa delle violenze dei
Talebani, un gruppo terrorista noto per il suo fanatismo religioso.
Ancora oggi, anche se la guerra è ufficialmente finita, i Talebani costituiscono
una continua minaccia per gli abitanti della provincia di Bamiyan. MARYAM
DAGLI OCCHI BELLI Maryam
lanciò un’occhiata dalla finestra. L’intera
valle del fiume Kunduz e le alture spigolose che la sovrastavano erano coperti
da un manto bianco leggero ma compatto. «Se
stai pensando a Nasir l’Orso, non preoccuparti. Non sarà certo questo sbuffo
di neve a impedirgli di arrivare quassù..» Maryam
si voltò verso la zia Parwi, che si era avvicinata alle sue spalle senza farsi sentire. «Non
sono preoccupata per Nasir» disse. «Ha detto che sarebbe venuto oggi, il
primo giorno di novembre, e sono sicura che farà di tutto per mantenere
la sua promessa. Pensavo, invece, allo zio e a Dawa. Tu credi che torneranno
a casa presto?» Lo
zio di Maryam, Reza, era partito una settimana prima insieme al figlio Dawa, che
aveva compiuto da poco sedici anni. A bordo di un camioncino si erano diretti verso
Kabul, la capitale dell’Afghanistan, per vendere i vasi di terracotta che Reza forgiava
con le sue mani. «Tuo
zio tornerà a casa solo dopo che avrà venduto l’ultimo vaso» affermò Parwi.
La donna indugiò sul paesaggio innevato, quindi si rivolse alla nipote con un tono
di voce severo: «Dimmi un po’, Maryam, Maryam dagli occhi belli…». La
ragazzina sorrise. Perché quando la zia la chiamava così, non era veramente adirata. «Mi
avevi promesso che non saresti rimasta più con la lampada accesa sino a tarda
notte! E invece… Fammi vedere la mano sinistra!» Maryam
obbedì. L’indice e il medio erano sporchi d’inchiostro. «Come
immaginavo! Hai scritto ancora a Najad, vero?» <<Sì.>> «Coraggio,
vai a lavarti. Ti sei dimenticata che oggi devi portare il naan alle cugine
di tuo zio?» Solo
in quel momento Maryam si ricordò di aver promesso a Parwi di alzarsi all’alba per
aiutarla a cuocere il naan, il pane, nel forno di pietra circolare che si
trovava dietro casa. E invece la donna aveva dovuto fare tutto da sola. «Perdonami, zia » sussurrò. «Su,
vai a prepararti» tagliò corto Parwi. «E prima di tornare a casa, per favore,
passa da Fadi e fatti dare due pacchetti di sale.» «Da Fadi? Devo proprio? ?» chiese Maryam
adombrandosi. «Certo. In casa non ne è rimasto neppure un
pizzico.» La
ragazzina si lavò, rientrò in camera sua e si avvicinò al tavolino addossato a una
delle pareti di paglia e fango del cui vecchio intonaco azzurro restavano solo delle
macchie informi. Sul ripiano c’erano i tre fogli di quaderno che aveva riempito con
una scrittura minuscola e fitta. Li ripiegò con cura e li infilò tra le pagine
di un libro. Si
inchinò sul pavimento e recuperò da sotto il letto un paio di scarpe da tennis malandate.
Lo zio Reza le aveva promesso che al suo rientro le avrebbe portato due
regali. Un orologio da polso, visto che il suo si era rotto da un sacco di tempo,
e, per l’appunto, un nuovo paio di scarpe da tennis. Ma per ora doveva accontentarsi
di quelle che aveva. Bloccò
la gonna con due fermagli per capelli: ora sembrava che indossasse un paio
di pantaloni a sbuffo, come quelli usati dai ragazzi. Per un po’ rifletté se
coprirsi o
no la testa col rusari, il fazzoletto, visto che fuori faceva freddo. Ma poi
rinunciò e lo
annodò intorno al collo. Prima
di uscire dalla camera, la ragazzina indugiò per qualche istante davanti a uno
specchio. Maryam dagli occhi belli, la chiamava zia Parwi. E gli occhi di
Maryam, allungati agli angoli, segno che distingueva tutti gli Hazara, erano
veramente belli. Grandi e neri nel viso ovale, sembravano custodire baluginii argentati
di stelle lontane. Oppure,
come Maryam aveva scritto una volta in una delle sue lettere, gli stessi bagliori
cupi e inquieti di un pesciolino nero imprigionato in una pozzanghera d’acqua. |