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Lunario dei giorni di scuola


Appendice ventiduesimo

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Memorie di un rivoluzionario

 

Pëtr Alekseevic Kropotkin


Il direttore del Corpo era un ottimo vecchio, il generale Jeltuchin, ma non era che il capo nominale. Il vero padrone della scuola era "il colonnello," colonnello Girardot, un francese al servizio della Russia. Si diceva che fosse un gesuita, e io lo credo. In ogni modo era certamente imbevuto delle teorie del Loyola e il suo sistema educativo era quello in voga nei collegi dei gesuiti in Francia.

Immaginatevi un uomo piccolo e magrissimo, dagli occhi neri penetranti e furtivi, con i baffi tagliati corti che gli davano un'impressione felina, molto calmo e deciso; di un'intelligenza media, ma straordinariamente furbo; un despota in fondo, capace di odiare di un odio intenso il ragazzo che non subiva il suo ascendente e di far sentire quell'odio non per mezzo di persecuzioni stupide, ma incessantemente, in ogni suo atto, per mezzo di una parola detta a caso, di un gesto, di un sorriso, di un'esclamazione. Non camminava, strisciava, e il contrasto dell'immobilità del suo capo con il suo sguardo mobilissimo e indagatore completava quell'impressione. Un'espressione di fredda indifferenza era stampata sulle sue labbra anche quando voleva aver l'aria benevola, e questa espressione diventava ancor più crudele quando la sua bocca si contraeva in un sorriso di disprezzo o di disapprovazione. Con tutto questo non aveva l'aria dittatoria, faceva piuttosto pensare a prima vista a un padre benevolo che discorre con i suoi ragazzi come se fossero già grandi.
Ma ben presto si sentiva che tutto e tutti dovevano piegarsi alla sua volontà. Guai a quel ragazzo che non si mostrava felice o infelice a seconda dell'umore del colonnello al suo riguardo.
Le parole "il colonnello" erano sulle labbra di tutti continuamente. Gli altri ufficiali erano conosciuti con i loro soprannomi, ma a Girardot nessuno osava dare un soprannome. Era avvolto da un'aureola di mistero, come se fosse onniscente e onnipresente. Passava tutto il giorno e parte della notte nella scuola; anche quando eravamo in classe gironzolava qua e là, aprendo le nostre cassette con la sua chiave. Passava gran parte della notte a segnare su certi quadernetti di cui aveva una vera biblioteca, su colonne speciali e a diversi colori, i difetti e le qualità di ogni ragazzo.
I giochi, gli scherzi, le conversazioni cessavano immediatamente quando lo si vedeva avanzare lentamente nelle nostre grandi sale, tenendo per mano uno dei suoi favoriti, dondolandosi sui fianchi, sorridendo a un ragazzo, scrutandone un altro con occhio indagatore, dando a un terzo un'occhiata indifferente, torcendo la bocca alla vista di un quarto; e da questi sguardi tutti capivano che il primo ragazzo gli piaceva, che il secondo gli era indifferente; che ignorava di proposito il terzo e che il quarto gli era antipatico. Questa antipatia era sufficiente a terrorizzare la maggior parte delle sue vittime - tanto più se non se ne capiva il motivo. Ragazzi sensibili erano stati ridotti alla disperazione da quella muta, incessante ostilità e da quegli sguardi sospettosi; in altri aveva avuto per effetto di spezzarne del tutto la volontà.
La vita all'interno del Corpo era infelicissima sotto il governo dispotico del colonnello. In tutti i convitti gli ultimi venuti sono sottoposti a umilianti persecuzioni. I novellini vengono così messi alla prova. Cosa valgono? Faranno la spia? Ai "vecchi" poi piace ostentare con i nuovi venuti la superiorità che deriva loro dalla lunga familiarità con l'ambiente: avviene in tutte le scuole e in tutte le prigioni. Ma sotto Girardot queste persecuzioni assumevano un carattere più aspro e venivano inflitte non dai compagni, ma dagli allievi della prima classe e dai paggi che erano già sottufficiali e ai quali Girardot aveva creato una posizione tutta particolare e privilegiata. Il suo sistema era di concedere loro assoluta libertà, di fingere di ignorare gli orrori che si permettevano e di mantenere per mezzo loro una disciplina severissima. Rispondere a un ceffone dato da un page de chambre avrebbe voluto dire, ai tempi di Nicola I, essere spedito a un battaglione "per i figli dei semplici soldati" se la cosa diventava pubblica; ribellarsi in qualsiasi modo ai capricci di uno di questi pages de chambre aveva sùbito questa conseguenza: che i venti giovanotti della prima classe, armati delle loro pesanti righe di quercia, si radunavano in una sala e, con la tacita approvazione del Girardot, picchiavano a sangue il ragazzo colpevole di un tale spirito di insubordinazione.
Così la prima classe faceva quello che voleva e non più tardi dell'inverno precedente al mio arrivo uno dei loro divertimenti prediletti era stato di condurre i "novellini" in una stanza, vestiti delle sole camicie da notte, e di correre in giro come cavalli al circo, mentre essi, armati di grosse fruste di caucciù, stando gli uni in mezzo, gli altri intorno alla sala, frustavano i ragazzi spietatamente.

Il colonnello era al corrente di tutto ciò. Aveva organizzato un sistema di spionaggio perfetto e nulla gli sfuggiva. Ma tutto andava bene finché non si scopriva che egli sapeva. Il suo sistema di disciplina era fondato sull'ignorare ciò che faceva la prima classe.

Ma uno spirito nuovo aleggiava sulla scuola e solo pochi mesi prima del mio arrivo era avvenuta una rivoluzione. Quell'anno la terza classe era diversa da quello che era stata fino allora. Vi erano molti giovani che avevano studiato e letto parecchio: alcuni di essi diventarono poi uomini notevoli. Feci conoscenza con uno di loro che leggeva allora La critica della Ragion Pura di Kant. Vi erano poi fra di essi alcuni dei giovani più robusti della scuola. Il ragazzo più alto del Corpo era in quella classe e anche un giovane fortissimo, Koštov.

Gli allievi di questa terza classe non subirono il giogo dei pages de chambre della prima con la docilità dei loro predecessori; erano disgustati di quello che succedeva e, in seguito a un incidente che preferisco non raccontare, ebbe luogo una battaglia fra la terza e la prima classe e ne risultò una solenne bastonatura inflitta ai pages de chambre dai loro sottoposti. Girardot soffocò la faccenda, ma l'ascendente della prima classe era svanito. Le fruste di caucciù rimasero, ma non furono più adoperate. I circhi e altre cose simili appartennero al passato.

Fu tanto di guadagnato; ma l'ultima classe, la quinta, composta quasi tutta da ragazzi entrati da poco nella scuola, doveva ancora obbedienza ai capricci dei paggi della prima. Avevamo un bellissimo giardino, pieno di alberi secolari, ma i ragazzi della quinta lo godevano ben poco; erano obbligati a correre a far commissioni mentre i giovani della prima stavano seduti a chiacchierare, o dovevano riportare le palle quando questi signori giocavano. Due giorni dopo il mio arrivo alla scuola, visto come stavano le cose in giardino, non vi andai, ma rimasi in casa. Stavo leggendo, quando un page de chambre dai capelli rossi e la faccia coperta di lentiggini mi venne incontro e mi ordinò di scendere immediatamente in giardino per partecipare al gioco.

"Non vengo; non vedete che sto leggendo?" gli risposi.

Il suo viso antipatico si sfigurò per l'ira. Stava per scagliarsi contro di me: mi misi sulla difensiva. Si provò a colpirmi in faccia con il berretto, io mi schermii, allora buttò il berretto in terra.

"Raccattalo."

"Se lo raccatti lei."

Una simile mancanza di obbedienza era sconosciuta nella scuola. Non so perché non mi picchiò spietatamente lì per lì. Era molto più grande e più robusto di me.

L'indomani e i giorni seguenti ricevetti altri ordini simili, ma rimasi ostinatamente di sopra. Cominciarono allora una serie di meschine e seccantissime persecuzioni - sufficienti a far disperare qualunque ragazzo. Fortunatamente sono sempre stato di un temperamento gioviale e rispondevo scherzando o fingevo di non accorgermene.

Ma anche questo presto finì. Incominciò a piovere, e passavamo quasi tutto il giorno in casa. In giardino quelli della prima classe fumavano liberamente, ma quando si stava dentro, la sala da fumare era "la torre." Questa era tenuta pulitissima e vi era sempre il fuoco acceso. Gli "anziani" punivano severamente il ragazzo che trovavano per caso a fumare, ma essi stavano continuamente seduti intorno alla stufa a chiacchierare e a godersi le sigarette. L'ora preferita era per loro dopo le dieci di sera, quando avrebbero dovuto essere già a letto; prolungavano la serata fino alle undici e mezzo e per proteggersi da una sorpresa da parte di Girardot ci costringevano a montare la guardia. I ragazzi della quinta dovevano alzarsi a turno dal letto, due alla volta, a restare sulle scale fino alle undici e mezzo per dare l'allarme se si avvicinava il co- lonnello.

Ci si mise d'accordo per mettere fine a queste veglie notturne. Le discussioni furono lunghe e ci si consigliò con le classi superiori sul da farsi. Finalmente si arrivò a questa decisione: "Rifiutatevi concordemente di montare la guardia e quando cominceranno a battervi, come è certo che faranno, andate per quanto possibile tutti insieme e chiamate Girardot. Egli sa già tutto, ma allora sarà obbligato a intervenire." Gli esperti in questioni d'onore decisero che questo non poteva essere qualificato spionaggio: gli "anziani" non si comportavano verso gli altri come dei compagni. Quella sera doveva montare la guardia il principe Šahovskoj, un vecchio allievo, e Selanov, un nuovo venuto, ragazzo timidissimo dalla voce femminile. Šahovskoj fu comandato per il primo, ma rifiutò di andare e fu lasciato in pace. Allora due pages de chambre andarono dal timido nuovo venuto che era a letto; e siccome si rifiutò di obbedire, cominciarono a fustigarlo brutalmente con le pesanti cinghie di cuoio. Šahovskoj svegliò diversi compagni che si trovavano vicini e tutti assieme corsero da Girardot.

Anch'io ero a letto quando due mi si avvicinarono e mi ordinarono di montare la guardia. Mi rifiutai. Subito afferrarono due paia di bretelle - invariabilmente si posavano gli abiti in perfetto ordine su di una panca accanto al letto, le bretelle sopra e la cravatta attraverso - e cominciarono a fustigarmi. Seduto sul  letto, mi coprivo con le mani e avevo già ricevuto diversi colpi, quando si udì l'ordine: "La prima classe dal colonnello!" I feroci combattimenti si ammansirono improvvisamente e frettolosamente rimisero a posto i miei abiti.

"Non una parola!" mi sussurrarono.

"Mettete la cravatta al suo posto!" gridai loro, mentre le spalle e le braccia mi bruciavano per i colpi ricevuti.

Quel che dicesse Girardot alla prima classe non si seppe mai; ma il giorno dopo, mente stavamo allineati, pronti per avviarci al refettorio, il colonnello ci parlò con aria compunta, dicendo quanto era triste pensare che dei pages de chambre avessero colpito un ragazzo che si rifiutava a ragione di ubbidire. E quale ragazzo? Un nuovo venuto, un ragazzo timido come Selanov! La scuola intera fu nauseata di questo discorso da gesuita. Fu senza dubbio un colpo per l'autorità di Girardot, ed egli se ne ebbe molto a male. Aveva per la nostra classe e me in particolare molta avversione (gli era stato raccontato il mio rifiuto a partecipare al gioco in giardino) e non perdeva l'occasione di manifestarci i suoi sentimenti.
Durante il primo inverno passai molto tempo in infermeria. Dopo un attacco di tifo, durante il quale il direttore e il dottore ebbero per me cure veramente paterne, soffrii di attacchi di gastrite gravi e prolungati. Girardot, facendo il suo giro quotidiano nell'infermeria e vedendomi spesso, incominciò a dire tutte le mattine ironicamente, in francese: "Ecco un giovanotto sano come il Ponte Nuovo e che non vuol lasciare l'ospedale." Risposi un paio di volte scherzando, ma infine, accorgendomi della sua malignità, persi la pazienza e mi adirai davvero. "Come osate parlarmi così'?" esclamai, e aggiunsi: "Pregherò il dottore di proibirvi l'ingresso in questa camera'."
Girardot indietreggiò di un passo e i suoi occhi scuri scintillarono, le sue labbra sottili si strinsero più del solito. Finalmente disse: "Dunque vi ho offeso? Ebbene, abbiamo nell'atrio due pezzi d'artiglieria: volete battervi in duello?"
"Io non scherzo, e vi dico che non tollero le vostre insinuazioni," continuai. Non ripeté più il suo sciocco ritornello, ma mi prese in odio più che mai.
Fortunatamente per me non davo occasioni per castigarmi. Non fumavo, i miei abiti erano sempre in buono stato e abbottonati e messi bene in ordine la notte. Mi divertivo a qualsiasi gioco, ma ero tanto occupato nella lettura e nella corrispondenza con mio fratello che trovavo appena il tempo per fare una partita a lapta nel giardino, e avevo sempre premura di ritornare ai miei libri. Quando ero colto in fallo, però, non ero io che Girardot puniva, ma l'anziano dal quale dipendevo. Una volta, per esempio, feci a  pranzo nientemeno che una scoperta di fisica! Osservai che il suono fatto da un bicchiere dipende dalla quantità di acqua che contiene e cercai subito di ottenere un accordo con quattro bicchieri. Ma dietro di me stava Girardot, e senza una parola mise agli arresti il mio "anziano." Fortuna volle che fosse un ottimo ragazzo, un mio terzo cugino, che non volle sentire le mie scuse, dicendo: "Va bene, so che non ti può vedere." Però i suoi compagni incominciarono a farsi sentire: "Stai attento briccone! Non intendiamo farci castigare per colpa tua!" E se la lettura non fosse stata la mia costante occupazione mi avrebbero probabilmente fatto pagar caro il mio esperimento di fisica.
Ma l'influenza del colonnello declinava rapidamente. Il carattere della scuola stava subendo un cambiamento radicale. Durante vent'anni Girardot aveva realizzato il suo ideale che consisteva nell'avere i ragazzi ben pettinati arricciati e di aspetto effeminato, e nel mandare alla Corte come i cortigiani di Luigi XIV. Che si istruissero o no, poco gli importava: prediligeva quelli meglio forniti di spazzolini da unghie di ogni specie, di boccette di profumo, che avevano l'uniforme "privata" (che si poteva indossare nei giorni di libera uscita) del taglio migliore e che sapevano fare il più elegante salut oblique. Prima, quando Girardot faceva fare la prova di qualche cerimonia di Corte, drappeggiando un paggio in una coperta di cotonina a strisce rosse presa da uno dei nostri letti perché fungesse da imperatrice a un baisemain, i ragazzi si avvicinavano quasi devotamente all'imperatrice immaginaria, compivano seriamente la cerimonia di baciarle la mano e si ritiravano con un inchino elegantissimo; ma ora, anche se a Corte erano elegantissimi, alle prove facevano degli inchini cosi goffi che tutti si sbellicavano dal ridere, mentre Girardot impazziva dalla bile. Prima i ragazzi più giovani, quando erano condotti a un ricevimento di Corte, appositamente pettinati, si tenevano i riccioli tanto quanto duravano; ora, di ritorno dal palazzo, si affrettavano a mettere la testa sotto il rubinetto per farli sparire. Un contegno effeminato veniva deriso da tutti. Ormai si considerava più come una seccatura che come un favore essere mandati ai ricevimenti per fare da comparse ornamentali.

Nel Corpo dei Paggi, come in tutte le altre scuole, andava prevalendo un nuovo spirito, di serietà e di studio. Un tempo i paggi certi di ottenere, con un mezzo o con l'altro, i punti necessari per essere nominati ufficiali nel reggimento della Guardia, passavano i primi anni alla scuola senza imparare quasi niente, e incominciavano a studiare un poco solo nelle ultime due classi; ora anche nelle classi inferiori si studiava con serietà. Anche moralmente il tono era ben diverso da quello di qualche anno prima.

Girardot fu licenziato.

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