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Lunario dei giorni di scuola


Appendice trentatreesimo

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Vino e pane

Ignazio Silone

 

La maestra aveva ricevuto il nuovo numero del giornale murale Le notizie di Roma destinato ad essere affisso sulla porta della scuola. Prima di affiggerlo essa aveva l’abitudine di leggere e spiegare le notizie più importanti ai cafoni riuniti nella cantina di Matalena. Tra i cafoni si sparse la voce che quella sera anche il prete sarebbe stato presente e perciò la cantina si riempì più del solito. Vennero persone che il prete non aveva ancora viste. In poco tempo si formò una piccola folla di una trentina di straccioni, accovacciati per terra, l’uno accanto all’altro. Don Paolo era seduto ai piedi della scala che conduceva al primo piano e poteva vedere quasi tutti in faccia. Dal mucchio si levava un puzzo di letame e di panni sporchi, un tanfo che stringeva alla gola. Gente sottomessa e diffidente, teste trasognate su ceppi contorti e ritorti, teste deformate dalla fame, dalle malattie, e qualche giovanotto selvatico e rissoso. I più anziani, i notabili come Sciatàp, Magascià, Grascia, rimasero in piedi, vicino alla porta. Alla presenza del prete forestiero, la maestra fu insolitamente nervosa e loquace. Ella raccomandò di stare bene attenti e di non aver timore di domandare spiegazioni sulle parole difficili. Poi cominciò a leggere a voce alta e stridula Le notizie di Roma. “Abbiamo un capo” lesse “che tutti i popoli della terra ci invidiano e chissà che cosa sarebbero disposti a pagare per averlo nel loro paese...” Magascià interruppe. Siccome non gli piacevano le espressioni generiche, egli chiese quanto esattamente gli altri popoli sarebbero disposti a pagare per acquistare il nostro capo. «È un modo di dire» disse la maestra. «Nelle compravendite non vi sono modi di dire» protestò Magascià. «Vogliono o non vogliono pagare? Se vogliono pagare, cosa offrono?» La maestra ripeté stizzita che quello era solo un modo di dire. «Allora non è vero che vogliono comprarselo?» disse Magascià. «E se non è vero, perché lì c’è scritto che vorrebbero acquistarlo?» Anche Sciatàp aveva un’informazione precisa da chiedere. «Quelli che vorrebbero comprarlo» disse «pagherebbero in contanti o con una cambiale?» La maestra rivolse uno sguardo al prete, come per dire: “Vedete un po’ con che razza di gente bisogna avere a che fare in questo paese?”. La notizia seguente riguardava i rurali. «Chi sono i rurali?» domandò uno del mucchio seduto per terra. «I rurali siete voi» rispose la maestra perdendo la pazienza. «Ve l’ho detto e ripetuto cento altre volte.» Vari scoppiarono a ridere. «Eravamo rurali e non lo sapevamo» dissero. La maestra lesse: «“La rivoluzione rurale ha raggiunto i suoi scopi su tutta la linea...”» «Che linea?» domandò uno. «La linea ferroviaria?» «I rurali siamo noi?» domandò Sciatàp. «La rivoluzione rurale è la rivoluzione che abbiamo fatto noi?» «Giustamente» disse la maestra. «Mi congratulo con te per la tua intelligenza.» «Quale rivoluzione abbiamo fatto noi?» «Questa parola è qui intesa in senso spirituale» disse la maestra. Sciatàp non volle sembrare ignorante e finse di capire, ma Magascià si dichiarò insoddisfatto. «Quello è un foglio che ci manda il governo» egli disse. «Sopra c’è scritto che i rurali, cioè, secondo voi, i cafoni, hanno fatto una rivoluzione e che questa rivoluzione ha raggiunto i suoi scopi. Quali scopi abbiamo noi raggiunto?» «Scopi spirituali» disse la maestra. «Quali scopi spirituali?» La maestra diventò rossa, s’impappinò e nessuno ci capì più nulla. Infine ella ebbe un’illuminazione, impose silenzio e, nell’attenzione generale, disse: «La rivoluzione rurale ha salvato il paese dal pericolo comunista.» «Chi sono i comunisti?» disse Grascia. La maestra era salva. Non aveva più bisogno di riflettere. «Ve l’ho spiegato altre volte, ma posso ripetervelo» disse. «I comunisti sono dei malviventi. Di preferenza essi si riuniscono di notte, nelle fogne della città. Per diventare comunisti bisogna calpestare il Santo Crocifisso, sputargli in faccia e promettere di mangiare carne il Venerdì Santo.» «La carne chi gliela dà?» domandò Sciatàp. «La ricevono gratis o la devono pagare?» «Non mi risulta» disse la maestra. «Insomma» protestò il vecchio Grascia «il più importante non lo sapete mai.» La maestra si volse verso don Paolo come per cedergli la parola e togliersi d’impaccio, ma il prete pareva assorbito a esaminare le ragnatele del soffitto. «Siccome non sono d’accordo, me ne vado» disse Grascia. La maestra lo invitò a spiegare su quale punto non fosse d’accordo, ma il vecchio si allontanò senza rispondere. Don Paolo lo raggiunse sullo spiazzo davanti alla locanda. «Bravo, mi congratulo» gli disse il prete. «L’ho detto solo per fare arrabbiare la maestra» disse Grascia. Egli trovava insopportabile che una donna volesse insegnare a degli uomini. «Quando è la donna che insegna all’uomo» aggiunse «i figli nascono gobbi.»

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