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Lunario dei giorni di scuola


Appendice quarantaquattresimo

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 Il maestro di scuola del villaggio

Franz Kafka


Coloro che come me trovano ripugnante perfino una talpa piccola, sarebbero morti di ripugnanza, probabilmente, se avessero visto la talpa gigantesca osservata anni or sono nei pressi di un villaggio, che per questa ragione ha raggiunto una certa effimera notorietà. Oggi del resto già da tempo è ricaduto nell’oblio e partecipa perciò all’oscurità dell’intero fatto, rimasto del tutto senza spiegazioni, che tuttavia non ci si è sforzati neanche molto di spiegare e che, a seguito di un’incomprensibile negligenza di alcuni circoli che avrebbero dovuto occuparsene, e che si occupano con effettiva concentrazione di molte cose insignificanti, è stato dimenticato, senza ricerche ulteriori.
Non se ne riesce a trovare alcuna giustificazione con l’argomento che il villaggio è assai distante dalla ferrovia, molta gente venne per curiosità da lontano, perfino dall’estero, soltanto coloro che avrebbero dovuto mostrare qualcosa di più della curiosità non vennero. Certo, se non si fosse curata dell’evento la gente semplice del tutto isolatamente, la gente il cui lavoro quotidiano le permetteva appena di respirare, se non se ne fosse curata in modo disinteressato, la fama del fatto avrebbe appena varcato il circondario immediato. Si deve aggiungere che la fama, in altri casi inarrestabile, stavolta fu francamente lenta, se non la si fosse addirittura promossa, non si sarebbe propagata. Tuttavia anche questo non costituiva davvero una ragione per non occuparsi dell’evento, al contrario, anche questo fatto avrebbe dovuto essere studiato meglio.
Invece se ne lasciò l’unica cura scritta al vecchio maestro del villaggio, certo nel suo ufficio un uomo notevole, ma dotato di capacità ed insieme di preparazione poco adatte a produrre un’approfondita ed in seguito utilizzabile descrizione, ed ancor meno poi una spiegazione. Lo scrittarello fu stampato e numerosamente venduto ai visitatori di allora, ebbe anche qualche riconoscimento, ma il maestro era abbastanza saggio da rendersi conto che le sue isolate fatiche, senza alcun sostegno, erano in fondo inutili. Se lui nonostante ciò non desisté da esse e rese l’evento, nonostante che esso per sua natura, anno dopo anno, divenisse sempre più senza speranza, il compito della sua vita, ciò prova quanto grande era l’effetto che l’evento era in grado di fare e d’altra parte quanta perseveranza e fedeltà alle proprie convinzioni si possono trovare in un vecchio ignorato maestro di villaggio.
Che lui tuttavia abbia molto sofferto a causa degli atteggiamenti di rifiuto delle personalità dotate d’influenza, lo prova una postilla che lui aggiunse al suo scritto, del resto la prima dopo diversi anni, cioè in un’epoca nella quale giusto qualcuno poteva ricordarsi di che cosa si fosse trattato. In tale postilla egli protesta persuasivamente, forse non da storico, ma con schiettezza, per l’incomprensione che gli è toccata da parte della gente, laddove se ne sarebbe dovuta aspettare di meno. Di tale gente egli dice, in modo giusto: “Non sono io, ma loro, a parlare come fanno i vecchi maestri di villaggio.” E tra le altre cita l’osservazione di uno scienziato da cui si è recato appositamente per la sua cosa. Il nome dello scienziato è omesso, ma da svariate circostanze si può indovinare di chi si tratti. Dopo che il maestro aveva superato grandi difficoltà per ottenere d’essere ricevuto dallo scienziato, cui si era annunciato con settimane d’anticipo, già dall'accoglienza fu chiaro che lo scienziato era, riguardo all’evento, preda di un invincibile pregiudizio. Con quale distrazione lo scienziato stette a sentire il lungo resoconto del maestro, fatto sulla base del suo scritto, ciò si manifestò nell’osservazione che costui fece dopo alcune riflessioni simulate. “Certo ci sono svariate talpe, piccole e grandi. Nella vostra regione il terreno è particolarmente duro e scuro. Ora, esso per questa ragione dà alle talpe un’alimentazione particolarmente grassa, ed esse diventano insolitamente grandi in modo.”
“Sì’, ma mica grandi così”, esclamò il maestro, e misurò, con il suo accanimento un po' eccessivo, due metri dalla parete.”Sì, sì”, rispose lo scienziato, cui l’intera faccenda pareva evidentemente molto spassosa, “perché no, in fondo?” Il maestro tornò a casa con questa risposta. Racconta come di sera, sotto una nevicata, lungo la strada provinciale sua moglie e i suoi sei figli l’avessero atteso, e come lui dovette confessare loro il fallimento completo delle sue speranze.
Quando io lessi del contegno tenuto dallo scienziato nei confronti del maestro, non conoscevo ancora per niente il suo scritto. Ma senza indugio presi la decisione sia di raccogliere sia di confrontare tutto quel che potevo apprendere sul caso. Poiché non potevo misurare un pugno in faccia allo scienziato, almeno il mio scritto doveva difendere il maestro, o, per dir meglio, non tanto il maestro, quanto le buone intenzioni di un uomo onesto privo di autorità. Lo ammetto, mi pentii presto di tale decisione, dato che alla svelta mi resi conto che la sua messa in atto doveva portarmi in una strana posizione. Da un lato anche la mia influenza era largamente insufficiente a portare gli scienziati e perfino l’opinione pubblica dalla parte del maestro, dall’altro il maestro doveva capire che a me il suo proposito principale, dimostrare l’apparizione della grande talpa, premeva meno della difesa della sua onestà, che a lui sembrava del resto ovvia e non bisognosa di alcuna difesa. Si doveva arrivare dunque al punto che io, che pure intendevo unirmi al maestro, non trovai da lui alcuna comprensione, probabilmente invece, per giovargli, mi sarebbe servito un aiuto diverso, era davvero incredibile il contegno del maestro.
Oltre a ciò mi addossai, con la mia decisione, una gran fatica. Avevo intenzione di essere convincente, dunque non potevo richiamarmi al maestro, che certo non era riuscito ad esserlo. La conoscenza del suo scritto mi avrebbe soltanto fuorviato, ed evitai perciò di leggerlo prima di eseguire il mio proprio lavoro. Certo, non entrai neppure una volta in contatto con il maestro. Tuttavia tramite intermediari lui venne a sapere delle mie ricerche, ma ignorava se lavoravo secondo la sua idea o contro. Certo, sospettava quest’ultima possibilità, per quanto lo negasse, ma ho la prova che lui mi ha messo nel frattempo diversi ostacoli sulla via. Poteva farlo molto facilmente, perché ero costretto, certo, a ricominciare tutte le ricerche che lui aveva già condotto, e per questo lui poteva sempre precedermi. Tale obbiezione era l’unica che a ragione si poteva fare al mio metodo, obbiezione del resto inevitabile, che però, certo poteva essere molto indebolita tramite la cautela e la dissimulazione dei miei fini. A parte ciò, tuttavia, il mio scritto era libero da ogni influsso del maestro, forse su questo punto avevo dato prova di perfino troppa meticolosità, era davvero come se nessuno avesse finora studiato il caso, come se io fossi il primo ad interrogare i testimoni che avevano visto e quelli che avevano sentito dire, il primo che confrontasse tra loro le dichiarazioni, il primo che traesse conclusioni.
Quando, successivamente, lessi lo scritto del maestro – aveva un titolo assai prolisso: Una talpa così grande come ancora nessuno l’ha vista - di fatto trovai che noi su punti essenziali non concordavamo, anche se entrambi credevamo di aver provato la cosa principale, cioè l’esistenza della talpa. Quelle divergenze sì erano singole, ma ostacolarono la nascita di un rapporto amichevole con il maestro che io veramente mi ero aspettato. Da parte sua si sviluppò quasi dell’ostilità. Restava certo sempre misurato e ossequioso con me, ma il suo stato d’animo autentico si poteva notare tanto più distintamente. Era dell’opinione che io avessi danneggiato lui e, completamente, la cosa, e che la mia fiducia di aver giovato o di poter giovare ad essa fosse nel caso migliore dabbenaggine, ma verosimilmente presunzione o perfidia. Per prima cosa indicava a tale proposito che tutti i suoi oppositori finora non avevano mostrato assolutamente la loro avversione, magari solo a quattr’occhi o almeno soltanto a parole, mentre io avevo ritenuto necessario far pesare subito tutte le mie critiche.
Che inoltre i pochi oppositori che si erano occupati sul serio dell’evento, anche se solo superficialmente, avevano ascoltato, prima di pronunciarsi, la sua opinione, l’opinione del maestro, cioè quella nella fattispecie decisiva, che io invece avevo prodotto risultati, sulla base di testimonianze raccolte in modo non sistematico e in parte interpretate male, essenzialmente esatti, ma che dovevano certo sembrare, tanto alla massa quanto alle persone istruite, inattendibili. La più tenue apparenza d’inattendibilità era tuttavia il peggio che in questo caso poteva darsi. In merito a tali obbiezioni, quand’anche copertamente avanzate, avrei potuto rispondergli facilmente – per esempio che proprio il suo scritto rappresentava il vertice dell’inattendibilità – ma meno facile tuttavia era combattere il suo ulteriore sospetto, e questa era la ragione per cui mi limitavo molto in genere nei suoi confronti.
Egli, cioè, credeva segretamente che io avessi voluto togliergli la gloria di essere il primo patrocinatore pubblico della talpa. Ora, sì, la sua persona non era toccata quasi da nessuna gloria, ma piuttosto dal ridicolo, del resto limitato ad una sempre più ristretta cerchia, al quale ridicolo io certo non desideravo aspirare. Inoltre io avevo spiegato con chiarezza, nell’introduzione al mio scritto, che il maestro doveva per sempre essere considerato lo scopritore della talpa – eppure non lo era - e che soltanto il senso di partecipazione alla sorte del maestro mi aveva spinto alla stesura dello scritto. “Il fine di questo scritto è” – così concludevo in modo troppo patetico, ma corrispondente alla mia passione di allora – “giovare alla meritata diffusione dello scritto del maestro. Ciò fatto, il mio nome, che è intrecciato alla presente vicenda in modo solo transitorio ed esterno, poi deve senza indugio essere da essa cancellato.” In questo modo respinsi apertamente ogni maggior partecipazione alla cosa; era quasi come se avessi in qualche modo presentito l’incredibile rimprovero del maestro.
Ciò nonostante lui trovò in questa presa di posizione il pretesto contro di me, e non nego che una traccia di giustificazione, in quel che disse o forse accennò, era insita, così come mi accorsi, soprattutto in certi casi, che lui sotto alcuni aspetti mostrava nei miei confronti più acume che non nel suo scritto. Affermava, cioè, che la mia introduzione era ipocrita. Se veramente tenevo alla diffusione del suo scritto, perché non mi occupavo esclusivamente di lui e del suo scritto, perché non indicavo la sua priorità, la sua inconfutabilità, perché non mi limitavo a mettere in rilievo l’importanza della scoperta ed a renderla comprensibile, perché insistevo molto di più sulla scoperta e trascuravo completamente il libro? Non era già stata fatta, la scoperta? Restava forse, stando a tale sospetto, ancora qualcosa da fare? Ma, se io veramente ritenevo che la scoperta fosse da fare di nuovo, perché nell’introduzione mi dichiaravo così solennemente slegato dalla scoperta? Ciò avrebbe potuto essere ipocrita modestia, ma era alquanto irritante. Mettevo fuori corso la scoperta, richiamavo su di essa l’attenzione soltanto per annientarne il senso, l’avevo esaminata ed accantonata, forse intorno a quest’evento si era fatto un po’ più silenzio, io ora facevo di nuovo del chiasso, ma nello stesso tempo rendevo la situazione del maestro più difficile di quel che era mai stata.
Al maestro premeva soltanto ciò che significava per lui la difesa della reputazione dell’evento, soltanto quello. Tuttavia io la tradivo perché non lo capivo, perché non ne davo la giusta valutazione, perché non ero sensibile ad esso. Superava altissima il mio intelletto. Sedeva davanti a me e mi guardava calmo con la sua vecchia faccia rugosa, ma la sua opinione era solo questa. Per altro non era esatto che gli premesse solo l’evento, egli era addirittura famelico di onori e desiderava anche guadagnare del denaro, ciò che, stando alla sua numerosa famiglia, era comprensibilissimo, eppure il mio interesse all’evento, in confronto al suo, gli sembrava così piccolo, che credeva di poter passare per disinteressato senza dire una menzogna troppo grande. In realtà non era sufficiente a soddisfarmi, neppure intimamente, dire a me stesso che i suoi rimproveri in fondo risalivano al fatto che lui aveva diciamo toccato con mano la sua talpa e voleva che chiunque le si avvicinasse anche solo con un dito fosse definito traditore.
Non era così, la sua condotta non era spiegabile facendo riferimento all’avarizia, almeno non solo all’avarizia, ma più facilmente facendo riferimento alla rabbia che le sue grandi fatiche prive totalmente di successo avevano suscitato in lui. Ma neppure la rabbia spiegava tutto. Forse il mio interesse all’evento era davvero troppo scarso, il disinteresse del mondo esterno nei confronti del maestro era già un’abitudine per lui, che nel complesso soffriva meno, e non soffriva più di pene particolari, tuttavia a questo punto aveva trovato uno che s’interessava all’evento in modo non comune, eppure non lo capiva. Una volta, messo alle corde in tal senso, non volli negare. Non sono mica uno zoologo, forse me ne sarei dato l’aria, tutto infervorato per questo caso, se avessi fatto la scoperta, ma non ho fatto la scoperta. Una talpa così enorme è certo una curiosità, ma non si può pretendere l’attenzione ininterrotta del mondo intero sulla talpa, specie se la sua esistenza non è del tutto ineccepibilmente accertata e non si può esibire. E io garantii inoltre che mai, anche nel caso che ne fossi stato lo scopritore, mi sarei tanto impegnato in merito alla talpa quanto volontariamente m’impegnavo di buon grado per il maestro.
Ora, il disaccordo tra me e il maestro forse si sarebbe risolto presto se il mio scritto avesse avuto successo. Ma tale successo mancò. Forse non era buono, non era scritto in modo abbastanza persuasivo, io sono un commerciante, la stesura di uno scritto del genere eccede il mio settore abituale più estesamente di quanto non fosse il caso del maestro, nonostante che io fossi superiore a lui in ogni conoscenza necessaria a tal fine. L’insuccesso poteva spiegarsi anche diversamente, il momento dell’uscita forse era sfavorevole. La scoperta della talpa, incapace di imporsi, da un lato non era così lontana nel tempo da esser del tutto dimenticata e dunque riproponibile come cosa straordinaria con il mio scritto, dall’altro era trascorso abbastanza tempo da esaurire completamente quel po’ d’interesse che c’era stato all’inizio. Coloro che, d’altronde, si accostarono al mio scritto, si dissero, con quello sconforto già da anni dominante in questa discussione, che ora le vane fatiche su questo noioso evento obbligatoriamente sarebbero certo riprese un’altra volta, e alcuni addirittura confusero il mio scritto con quello del maestro. In un importante periodico di economia agraria si leggeva la seguente nota, per fortuna stampata in piccoli caratteri e nell'ultima pagina: “Ci è stato inviato di nuovo lo scritto sulla talpa gigante. Ce ne ricordiamo, già una volta anni or sono ne abbiamo riso di cuore. Da allora non è divenuto più ragionevole, né noi più stupidi. Semplicemente, non riusciamo a riderne per la seconda volta. Piuttosto domandiamo alle nostre associazioni d’insegnanti se un maestro di villaggio non possa trovare un’occupazione più utile che non andare a caccia di talpe giganti.” Un’imperdonabile confusione! Non si era letto né il primo né il secondo scritto, e le due insufficienti parole acchiappate in fretta, talpa gigante e maestro di villaggio, bastarono a quei signori per supplire alla manifestazione di più validi interessi. Fosse andata diversamente, varie cose si sarebbero potuto tentare con successo, ma la scarsità di riconoscimento me ne tenne lontano, alla pari del maestro. Tentai bensì di tenergli nascosto il periodico per quel che potevo. Lui tuttavia lo scoprì ben presto, lo capii già da un’osservazione contenuta in una sua lettera con cui mi prospettava la sua visita durante le vacanze natalizie. Scriveva: “Il mondo è malvagio e ladro”, dove voleva dire che io sono una parte del mondo malvagio, ma non mi accontento della cattiveria insita in me, invece rubo, cioè sono indaffarato a carpire la cattiveria generale ed a procacciarle la vittoria. Ora, io avevo già preso le necessarie decisioni, potevo tranquillamente aspettarlo e stare a vedere come veniva da me, lui salutò in modo meno cortese del solito, si sedette muto davanti a me, estrasse con cura il periodico dalla tasca interna della sua caratteristica giacca imbottita di bambagia e me lo spinse davanti senza parole, aperto. “Lo conosco”, dissi e respinsi il periodico senza leggere. “Lo conoscete”, disse lui sospirando, aveva l’abitudine dei vecchi maestri di ripetere le risposte altrui. “Naturalmente non accetterò questo senza difendermi”, continuò picchiettando inquieto un dito sul periodico, e mi guardò con aria severa come se io fossi dell’opinione contraria; aveva il giusto presentimento di quel che volevo dire; ho ritenuto di far notare che lui, non tanto da quel che diceva, quanto dagli altri segni, possedeva una sensibilità molto giusta circa i miei propositi, ma ad essa io non cedetti e la lasciai deviare. Ecco che cosa dissi allora, posso riprodurlo quasi alla lettera perché lo annotai poco dopo il colloquio.”Fate quel che volete”, dissi, “da oggi le nostre strade si dividono. Credo che questo non vi risulti né inatteso né spiacevole. La nota qui sul periodico non è la causa della mia decisione, essa l’ha consolidata definitivamente. La vera ragione sta nel fatto che io all’inizio credevo con la mia entrata in scena di potervi giovare, mentre ora sono costretto a vedere che vi ho nociuto in ogni senso. Perché sia andata così, non lo so, le ragioni del successo e dell’insuccesso sono sempre ambigue da spiegare, non mi riferisco soltanto alle spiegazioni che mi accusano. Ricordatevi, anche voi avevate le migliori intenzioni, e tuttavia vi è andata male, parlando in generale. Non sto scherzando, va contro di me se dico che anche il rapporto con me contribuisce al vostro insuccesso; che io ora mi ritiri non è né viltà né tradimento. Avviene addirittura con sforzo di autocontrollo; come stimi la vostra persona risulta già nel mio scritto, mi siete divenuto, da un certo punto di vista, maestro e perfino la talpa mi è divenuta cara. Nonostante questo mi faccio da parte, voi siete lo scopritore e, mentre desideravo impegnarmi anch’io, v’impedisco sempre d’incontrare la probabile gloria, attiro l’insuccesso e ve lo trasmetto. Basta così. Per ammenda posso solo chiedervi perdono e, se volete, la confessione fatta qui la ricapitolo pubblicamente, per esempio, su questo periodico.”
Queste furono allora le mie parole, non erano del tutto sincere, ma la sincerità era facilmente deducibile da esse. In lui ciò agì come più o meno avevo previsto. La maggior parte delle persone anziane hanno caratterialmente qualcosa d’ingannevole nei confronti dei giovani, qualcosa di falso, si continua a vivere tranquillamente accanto a loro, si ritiene consolidato il rapporto, si conoscono le opinioni prevalenti, si ricevono continue attestazioni d’armonia, tutto si considera certo, e all’improvviso, se avviene qualcosa di decisivo, mentre la calma fin lì predisposta doveva funzionare, queste persone anziane insorgono come estranee, hanno opinioni più nette, più impetuose, ora dispiegano la loro bandiera per la prima volta e vi si legge con sgomento il nuovo motto. Principalmente tutto questo sgomento deriva dal fatto che ciò che dicono ora gli anziani veramente è molto giustificato, sensato e, come se la certezza fosse aumentata, è anche più certo. La falsità ineguagliabile tuttavia è che quel che dicono ora essi in fondo lo hanno sempre detto, eppure non era in genere prevedibile. Dovevo aver approfondito molto questo maestro di villaggio, infatti ora non mi sorprese affatto. “Ragazzo”, disse, appoggiò la mano sulla mia e amichevolmente la strofinò, “come vi venne in mente di aver a che fare con questa cosa? Quando mi giunse all’orecchio la prima volta, ne parlai con mia moglie.” Si spostò dal tavolo, allargò le braccia e guardò in basso, come se lì sotto, piccolissima, ci fosse sua moglie: “ ‘Così tanti anni’, le dissi, ‘che noi combattiamo in solitudine, e ora invece sembra sopraggiunto in città un protettore di rango più elevato, un commerciante del posto, che si chiama così e così. Ora dovremmo essere assai felici, no? Un commerciante in città non vuol dire poco, se un miserabile contadino crede in noi e lo manifesta, questo non può giovarci, infatti quel che fa un contadino è sempre volgare, sia che dica che il vecchio insegnante del villaggio ha ragione, sia che sputi in modo sconveniente, entrambe le cose fanno lo stesso effetto. Se invece di un contadino insorgono diecimila contadini, l’effetto se possibile è anche peggiore. Un commerciante di città è al contrario qualcosa di diverso, un uomo del genere ha delle relazioni, perfino quel che dice solo per caso si diffonde in cerchie più larghe, nuovi protettori s’interessano all’evento, per esempio uno dice che anche da un maestro di villaggio si può imparare, ciò che il giorno dopo va mormorandosi una quantità di persone dalle quali, a giudicare dalle apparenze, mai si sarebbe supposto di dedurlo. Ora si trovano risorse in denaro per la cosa, uno raccoglie e gli altri gli contano il denaro in mano, si ritiene che il maestro del villaggio debba essere portato via di lì, si arriva, non ci si cura del suo aspetto, lo si prende con sé e, poiché la moglie e i figli dipendono da lui, si prendono anche loro. L’hai vista la gente di città? Cinguettano senza tregua. Sono una fila intera e il cinguettìo va da destra a sinistra e viceversa, e su e giù. Così ci issano cinguettando in carrozza, c’è appena il tempo di accennare un saluto. Il signore a cassetta si sistema gli occhiali, brandisce la frusta e partiamo. Tutti accennano un saluto per congedarsi dal villaggio, come noi fossimo ancora lì e non sedessimo tra loro. Dalla città ci vengono incontro alcune carrozze di persone particolarmente impazienti. Appena ci avviciniamo si alzano dai loro sedili e si allungano per vederci. Colui che ha raccolto il denaro fa ordine ed esorta alla calma. Quando entriamo in città la fila delle carrozze è già lunga. Abbiamo creduto che i saluti fossero già terminati, ma ora davanti all’albergo essi riprendono. Nella città si riuniscono, come a un appello, molte persone. A ciò cui s’interessa l’uno, s’interessa anche l’altro. Ci si strappano, insieme al respiro, le opinioni e le si fanno proprie. Non tutte queste persone possono viaggiare in carrozza, aspettano davanti all’albergo. Altre possono, ma deliberatamente non lo fanno. Aspettano anche loro. E’ incredibile come colui che ha raccolto il denaro abbracci con lo sguardo tutti quanti.’ “

(...)




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