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Lunario dei giorni di scuola


Appendice quarantaseiesimo

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Fino a quando la mia stella brillerà

Daniela Palumbo


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Un giorno, dopo che ero stata espulsa, la maestra Cesarina venne a casa a parlare con papà, glielo aveva chiesto lui. Io mi nascosi per ascoltare di nascosto. Ero sicura che la maestra avrebbe detto a papà che c’era stato un errore, che il giorno dopo sarei potuta tornare al mio banco, che quelle regole erano orribili e assurde, forse gli avrebbe anche detto che le mancavo e che mancavo a tutta la classe. Chissà quante amiche speravano di vedermi tornare in classe con loro, come prima delle leggi razziali… Invece, sentii l’appello accorato di papà che diceva che era un’ingiustizia tenermi lontana dalla scuola e che io ci soffrivo. E poi ascoltai la maestra Cesarina che gli rispondeva: «Sì, ma scusi io cosa c’entro? Non compete a me decidere se Liliana può tornare oppure no. Non le ho mica fatte io le leggi». Ascoltavo. Quelle parole continuavano a ronzarmi nella testa come un’ape fastidiosa. Non le ho fatte io. Be’, sì certo, in effetti non le aveva fatte lei. Come darle torto? Però, che delusione provai in quel momento. Nella sua voce non c’era partecipazione, ne ero certa, non c’era un filo di dispiacere. Non disse nemmeno che le mancavo, non riferì niente sulle mie compagne, nessun saluto, nessun ricordo. Ero scivolata via in silenzio e il mio banco vuoto non era una gran perdita: in fondo era questo che avevo appena sentito. Lei non c’entrava, non era un problema suo. Così la mia maestra si puliva la coscienza. Se ne lavava le mani. Come se la mia espulsione da scuola non la riguardasse affatto. Me ne andai prima di vederla uscire di casa. Lei non chiese di salutarmi.

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