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Lunario dei giorni di scuola


Appendice nono

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Lo Cunto de li Cunti

Zezolla o La gatta Cenerentola

Giambattista Basile

(…)

Sesto passatempo della prima giornata

Zezolla è convinta dalla maestra ad ammazzare la matrigna e crede di essere tenuta in considerazione per averle fatto sposare il padre, ma è messa in cucina e, per virtù delle fate, dopo varie vicende, si guadagna un re come marito.

C’era, dunque, una volta un principe vedovo, il quale aveva una figlia che gli era così cara che non ci vedeva per altri occhi. Le aveva dato una brava maestra, che le insegnava le catenelle, il punto in aria, le frange e le dimostrava un affetto che non si può descrivere. Ma il padre si era risposato da poco e aveva preso una rabbiosa, malvagia e indiavolata femmina e questa maledetta cominciò ad avere in odio la figliastra, facendole cère brusche, facce storte, occhiate arrabbiate da fare paura. La povera fanciulla si lamentava sempre con la maestra dei maltrattamenti della matrigna, e le diceva: “Oh Dio, e non potresti esser tu la mammina mia, tu che mi fai tanti sorrisi e carezze?”. E tante volte le ripeté questa cantilena, che le mise una vespa nell’orecchio, e la maestra, accecata dal diavolo, una volta le disse: “Se farai come ti suggerisce questa testa matta, io ti sarò mamma e tu sarai la pupilla degli occhi miei” Stava per continuare , quando Zezolla (che così si chiamava la giovane) la interruppe: “Perdonami se ti rompo la parola in bocca. So che mi vuoi bene; perciò zitta e sufficit; insegnami l’arte, che io sono nuova: tu scrivi e io firmo”.
“Orsù! – replicò la maestra, – ascolta bene, apri le orecchie, e avrai sempre pane bianco di fior di farina. Quando tuo padre va fuori di casa, di’ alla tua matrigna che vuoi un vestito di quelli vecchi, che stanno nel cassapanca grande del ripostiglio, per risparmiare questo che porti addosso. Lei, che ti vuol vedere tutta cenci e brandelli, aprirà il cassone e dirà: – Tieni il coperchio. – E tu, tenendolo, mentre lei andrà rovistando là dentro, lascialo cader di colpo, che le romperà il collo. Dopo di ciò, sai bene che tuo padre farebbe carte false per amor tuo; e tu, quando egli ti carezza, pregalo di prendermi per moglie, ché, te beata, sarai la padrona della mia vita”. Udito il disegno, a Zolla ogni ora parve mille anni; e, messo in atto punto per punto il consiglio della maestra, quando fu trascorso il tempo del lutto per la morte della matrigna, cominciò a toccare i tasti al padre perché si sposasse con la sua maestra. Dapprima, il principe prese la cosa come uno scherzo; ma tante volte Zezolla tirò di piatto, che alla fine colpì di punta, ed egli si piegò alle parole della figlia. Così si sposò con la maestra Carmosina, e si fece una festa grande. Ora, mentre gli sposi stavano felici, Zezolla si affacciò a un terrazzino della sua casa; e in quel punto una colombella volò sopra un muro e le disse: “Quando ti vien desiderio di qualche cosa, manda a domandarla alla colombella delle fate dell’isola di Sardegna, ché tu l’avrai subito”. Per cinque o sei giorni la nuova matrigna ricoprì di carezze Zezolla, facendola sedere al miglior luogo della tavola, dandole i migliori bocconi e adornandola con i migliori vestiti. Ma, dopo pochissimo tempo, mandò al diavolo e scordò del tutto il favore ricevuto (oh triste l’anima, che ha cattiva padrona!), e cominciò a mettere al primo posto le sue sei figlie, che fin allora aveva tenute segrete; e tanto fece che il marito, presele in grazia, si fece cadere dal cuore la propria figlia. E Zezolla, perdi oggi, manca domani, finì col ridursi a tal punto che dalla camera passò alla cucina, dal baldacchino al focolare, dalle vesti di seta e oro agli strofinacci, dagli scettri agli spiedi. Né solo cambiò stato, ma anche nome, e non più Zezolla, ma fu chiamata “Gatta Cenerentola”.

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