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Lunario dei giorni di scuola


Seconda settimana intermezzo

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La lente focale - Gli zingari nell'Olocausto
Otto Rosenberg 


(...) Mi comprò dei pantaloni alla zuava con dei cinturini che si allacciavano all'altezza del ginocchio, delle scarpe nuove e un berretto. In qualche modo volevano dimostrarsi gentili con noi.
Così conciato sembravo un altro. Non si può immaginare la gioia che provai nell'andare a scuola vestito in quel modo. Schukalla non parlava, abbaiava.
Mio zio l'ha incontrato dopo la guerra. E sa che cosa gli ha detto?
"Be' dopotutto non ve la passavate così male a Marzahn. Va be', vi avremo dato un paio di schiaffi, però in fondo vi trattavamo bene, no?"
Io e mia sorella diventammo rappresentanti di classe, io per i ragazzi e mia sorella per le ragazze. Forse ci scelsero perché, oltre a far bene il nostro lavoro, eravamo sempre pronti ad aiutare gli altri, non lo so. Comunque noi due eravamo molto legati, anche perché eravamo i più piccoli. Therese aveva una malformazione alla valvola cardiaca e quando il cuore non batteva regolarmente cominciava a scuotere velocemente la testa,
era terribile vederla in quello stato, purtroppo all'epoca non capimmo che in quelle condizioni avremmo dovuto farla ricoverare d'urgenza.
È vero, prendeva delle gocce, ma non è che l'aiutassero molto. Nonostante fosse malata era molto sveglia, sicuramente più intelligente di me e anche più brava a scuola. Fare i lavori di casa però le pesava molto, non so, pulire, lavare i piatti, spazzare. Purtroppo essendo una ragazza le toccava farli lo stesso.
Poiché ero sempre il primo ad arrivare a scuola mi divertivo a suonare la campana che pendeva sulla porta dell'ingresso anteriore per avvertire gli altri che era ora di alzarsi:" din don, din don, din don!" E dopo un po' si vedevano i primi bambini venir fuori dalle loro baracche o dai loro carrozzoni. La donna addetta alle pulizie a quell'ora aveva già finito.
Più tardi arrivava anche il nostro insegnante, ci si piazzava davanti e faceva il saluto tedesco: " Heil Hitler! Sedetevi!"
Prima di cominciare la lezione ci ordinava di mettere le mani sul tavolo. Chi ce le aveva sporche doveva andarsele a lavare, poi poteva ritornare in classe.
Quando facevamo ricreazione invece, dovevamo toglierci le scarpe e far vedere i piedi, e anche in questo caso chi ce li aveva sporchi doveva andare fuori a lavarseli.
Io ero contento quando capitava a me perché mi divertivo.
Fuori c'era la pompa. Uno pompava e gli altri si lavavano e correvano intorno alla pompa. Per noi bambini era uno spasso.
Quando mancava qualcuno l'insegnante mi diceva: "Otto, valli a cercare e digli che devono venire a scuola."
E io andavo e bussavo alle porte dei carrozzoni o delle baracche.
Qualche volta li trovavo che dormivano ancora, scompigliati e con qualche piuma nei capelli.
"Ehi, dai che devi venire a scuola, sbrigati che l'insegnante ti sta aspettando!"
"Accidenti, stamattina non ci siamo svegliati!" Si vestivano in fretta e correvano a scuola.
L'insegnante, il signor Barwich, li sgridava, ma non più di tanto. (...)




















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