interfreccia51

Lunario dei giorni di scuola


Cinquantunesima settimana intermezzo

inter46

Quarto piano, interno 4
Salvatore Di Giacomo


(...) Di faccia alla finestra ove la servetta s'indugiava era quella della Marangi, la maestrina comunale. A poca distanza dal parapetto, seduta a una tavola sulla quale era pur la piccola macchina da cucire, la Marangi scriveva, piegata su un mucchio di carte. Di volta in volta, sostando, si leccava il medio della mano destra che s'era insudiciato d'inchiostro, e lo fregava a una pezzuola.
- Signorina Marangi, - disse Milia - scusate tanto se vi disturbo. Io vado per una commissione e lascio sola la mia signorina. Mi volete dare occhio alla porta?
La Marangi levò il capo. Rispose:
- Va bene.
E si rimise a scrivere. S'udì lo sbattere della porta e Milia scese le scale, canticchiando. Era così alto il silenzio che la Marangi udì, chiaramente, la voce della servetta in cortile. Milia diceva al portinaio:
- Don Angelo, non lasciate salire alcuno. La signorina è rimasta sola in casa. Io vado per un soldo d'aghi e subito torno.
La maestrina, che aveva abbandonato il braccio sulla tavola e schiuse le dita dalle quali era sfuggita la penna sospirò profondamente. I suoi grandi e dolci occhi azzurri si velarono, stanchi, fra le ciglia. Appena tornata dalla scuola s'era posta a rivedere i compiti delle sue scolarette: un mucchio di scritti infantili aspettava ancora i suoi segni di correzione a matita azzurra. E la notte precedente ella aveva così poco dormito!
- Pazienza! - mormorò, passando e ripassando le dita sulle palpebre grevi.
Come un'eco, dalla finestra di rimpetto, una voce ripetette:
- Pazienza!
- Oh, Sofia! Sei tu? - disse la Marangi.
Immobile, ritta presso il davanzale della sua finestra, la signorina Sofia la guardava.
- E tu che fai, Laura?
La maestrina sorrise, malinconicamente. Con gli occhi indicò gli scritti sparsi sulla tavola. - Non vedi? Correggo compiti.
Rimasero mute per un po' tutte e due, contemplandosi.
- Che fai? - disse la Marangi.
- Nulla.
- Nulla? Troppo poco... Tu soffri, Sofia, tu soffri, lo so. Lo vedo. Come sei pallida!
Si levò dalla tavola e venne a porsi davanti alla finestra. Mise le mani spiegate sul davanzale. E, gravemente, soggiunse:
- Senti, Sofia, lascialo! Io te lo volevo dire da tanto tempo! Pensa a te, pensa a te! Quell'uomo lì non è fatto pel tuo carattere nobile e fine. Lascialo. Egli ti lascerà, se non lo lasci. E' tristo, è ingeneroso... Perdonami, sai, non ti dolere... è tristo, è tristo!...
Sofia Sponzilli tremava, bianca come un cencio. Tremavano le sue piccole mani nervose e tormentavano i fascicoli del romanzo, il gomitolo, il ricamo che Milia aveva dimenticato sulla finestra.
Rispose, piano:
- No... non posso.
- Ti lascerà! Lo vedrai.
- Ebbene... se fa questo... Vedrai, Laura!
La maestrina scosse la testa, pietosa. E si mise a riordinare, macchinalmente, i suoi compiti sulla tavola.
- Tu non hai cuore per certe cose! - disse la Sponzilli, all'improvviso. - Tu non hai mai amato!
- Oh, figlia mia! - balbettò la maestrina, con tutta la commossa voce del suo cuore pieno di ricordi e di rimprovero. E le carte le sfuggirono di mano, ed ella chinò la testa e si sentì piegare.
La Sponzilli era scomparsa. Laura Marangi scivolò temente lungo la tavola, tornò a sedere al suo posto, riprese la penna e contemplò, muta, meditando, i suoi compiti. Gli occhi le si erano empiti di lagrime. Bagnò due o tre volte la penna, cercò uno degli scritti nel mucchietto che se n'era posto davanti. La mano e lo scritto rimasero lì, immoti. Ella si risovveniva, ora, di tutte le sue pene, di tutto l'amor suo finito miseramente per una volgare questione d'interessi, di denaro. Povera, anche lei: con una mamma vecchia, cieca, poveramente pensionata, con un fratello ferroviere che ora le voleva abbandonare per ammogliarsi, e senz'altro, senz'altro, che uno stipendio meschino! E senza più amore, e senza più speranza, davanti all'oscuro avvenire!
Reclinò la testa bionda sul braccio e ve la posò, e vi nascose la faccia. (...)










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