frecciainter35

Lunario dei giorni di scuola


Trentacinquesima settimana intermezzo

inter30

Il tulipano nero

Alexandre Dumas padre

(...) - E a che servirebbero allora i piccioni viaggiatori? - diceva Cornelius alla ragazza. - Voi non potreste leggere ciò che vi scriverei, né scrivermi ciò che vorreste.
- Ebbene, - rispondeva Rosa, che temeva la separazione quanto Cornelius - abbiamo a disposizione un'ora ogni sera, facciamone buon uso.
- Mi sembra - osservò Cornelius - che noi ne facciamo già buon uso.
- Facciamone un uso ancora migliore - rispose Rosa sorridendo. -Insegnatemi a leggere e a scrivere. Trarrò profitto dalle vostre lezioni, siatene certo, e in tal modo non potremo più essere separati, tranne che dalla nostra volontà.
- Oh! allora, - gridò Cornelius - abbiamo l'eternità davanti a noi!
Rosa sorrise e alzò dolcemente le spalle.
- Forse che voi resterete sempre in prigione? - rispose. - Forse che dopo avervi concesso la vita, Sua Altezza non vi concederà anche la libertà? Non riavrete allora i vostri beni? Non sarete nuovamente ricco? E quando sarete libero e ricco, vi degnerete di guardare, passando in carrozza o a cavallo, la piccola Rosa, la figlia di un carceriere, quasi di un boia?
Cornelius volle protestare, con tutto il cuore e con tutta la sincerità di un'anima colma d'amore.
Ma la fanciulla lo interruppe.
- Come sta il vostro tulipano? - domandò sorridendo.
Parlandogli del tulipano, Rosa riusciva a far dimenticare a Cornelius ogni cosa, anche se stessa.
- Abbastanza bene - disse il giovane; - la pellicola si annerisce, il processo di fermentazione è incominciato, le vene del bulbo si riscaldano e s'ingrossano. Fra otto giorni, forse prima, si potranno distinguere le prime protuberanze della germinazione. E il vostro, Rosa?
- Oh, io ho fatto le cose in grande, seguendo le vostre indicazioni.
- Vediamo, Rosa, che cosa avete fatto - domandò Cornelius, con gli occhi ardenti e con il respiro ansimante come la sera in cui aveva conquistato Rosa.
- Ho fatto le cose in grande - rispose sorridendo la ragazza, che in fondo al suo cuore non poteva impedirsi di studiare questo duplice amore del prigioniero per lei e per il tulipano nero: - in un quadrato di terreno spoglio. lontano dagli alberi e dal muro, ho preparato un'aiuola di terra leggermente sabbiosa, più umida che secca, senza una pietra, senza un sassolino, come voi mi avete insegnato.
- Bene, bene, Rosa, e poi?
- Il terreno così preparato non attende che il vostro segnale.
- Nel primo giorno di bel tempo voi mi direte di piantare il mio bulbo e io lo pianterò; devo partire in ritardo rispetto a voi, perché ho dalla mia tutte le condizioni favorevoli dell'aria buona, del sole e dell'abbondanza dei succhi terrestri.
- E' vero, è vero! - esclamò Cornelius battendo gioiosamente le mani.
- Siete una brava allieva, Rosa, e guadagnerete certamente i centomila fiorini.
- Non dimenticate - rispose Rosa ridendo - che la vostra allieva, come vi piace chiamarmi, ha qualcos'altro da imparare, oltre alla coltivazione dei tulipani.
- Sì, sì, interessa anche a me come a voi che sappiate leggere.- Quando incominceremo?
- Subito.
- No, domani.
- Perché domani?
- Perché oggi la nostra ora è terminata e debbo lasciarvi.
- Di già! Ma che cosa leggeremo?
- Oh! - disse Rosa - ho un libro, un libro che spero ci porterà fortuna.
- A domani dunque?
- A domani.
L'indomani Rosa ritornò con la Bibbia di Cornelio de Witt. (...)
Ebbe inizio allora fra maestro e scolara una di quelle deliziose scene che formano la gioia di un romanziere.
Lo spioncino, unica apertura che servisse loro di comunicazione, era troppo alto per persone che s'erano accontentate fino allora di leggere l'una sul viso dell'altra tutto ciò che si dovevano dire e che non potevano leggere comodamente sul libro portato da Rosa. Perciò la fanciulla dovette appoggiarsi allo spioncino, con la testa inclinata e col libro all'altezza del lume che reggeva con la mano destra e che, per farla riposare un poco, Cornelius escogitò di fissare alla grata con un fazzoletto. Così Rosa fu in grado di seguire con un dito le lettere e le sillabe che Cornelius le faceva compitare, indicandogliele attraverso la grata con una festuca di paglia. La luce della lampada illuminava il colorito di Rosa, il suo occhio azzurro e profondo, le sue trecce bionde sotto al casco d'oro brunito che, come abbiamo detto, è l'acconciatura delle frisone; le sue dita alzate assumevano una tinta pallida e rosata, mostrando la vita misteriosa che circolava sotto la carne.
L'intelligenza di Rosa si sviluppava rapidamente a contatto con lo spirito vivificante di Cornelius, e quando la difficoltà appariva troppo ardua, quegli occhi che s'immergevano l'uno nell'altro, quelle ciglia che si sfioravano, quei capelli che s'annodavano, provocavano delle scintille elettriche capaci d'illuminare le tenebre dello stesso idiotismo.
E Rosa, scesa in camera sua, ripassava le lezioni di lettura e, in fondo all'anima, anche le inconfessate lezioni di amore. (...)



















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