frecciaada

Lunario dei giorni di scuola


Diciannovesima settimana

immlunarioterza


 Le guerre di Ada

Laura Pariani

in Il corno d'Oro

Sellerio


Illustre signor Sindaco,
io, Marchini Ada, maestra elementare nella scuola del vostro paese, stanotte oso indirizzarvi una lettera molto particolare. Sono qui seduta nella mia stanzetta, al mio tavolo, di fronte al letto. E tutto in ordine, ma io... io non sono niente affatto in chiaro con me stessa e provo dolore, nostalgia, qualcosa di simile a una nuova fatica di nascere.
(...) E' successo una sera della primavera scorsa, in questa stanza. A un certo punto ho alzato gli occhi da un libro che stavo leggendo. Quelle severe frasi illuminanti che mi riempivano il cuore... Mi levai e andai alla finestra, lo sguardo sulle pòbbie. Sotto casa mia i miei scolari giocavano. Il figlio del Paulén Giulài aveva legato a un chiodo del muro un gattino rosso e, fra le grida di incitamento di tutti gli altri bambini che gli stavano intorno, lo colpiva a testate. E l'animale, dopo quattro o cinque colpi, non si è mosso più. Morto. Proprio appeso a quel muro sul quale la stessa
mattina avevo spiegato loro il sistema metrico decimale; che c'erano ancora i segni col gessetto rosso.
Ero impietrita. lo con i miei opuscoli di pedagogia e la mia saggezza di gesso. Mi venne all'improvviso un'immensa voglia di piangere, di morire. Tanto sottile è la corda su cui camminiamo e tanto fondo l'abisso in cui possiamo cadere.
Che dovevo fare con quei bambini? io che avevo spiegato loro mille volte che non si devono devastare i nidi degli uccelli, che non bisogna prendere a sassate i vecchi cani zoppi.
Ma non ne han colpa i bambini. E il mondo che non va.
E come si fa a spiegare loro quello che è giusto e quello che non lo è, in uno stanzone che non ha neppure il pavimento e in cui d'inverno la stufa manda più fumo che calore? Già, voi non lo sapete, signor Sindaco, perché non vi siete mai degnato di venire a vedere la mia classe... Se ci veniste nella brutta stagione, quando i bambini mi arrivano fradici e intirizziti, con le maglie bagnate che son costretti a tenersi addosso tutto il giorno... Perché? Dico io: non ha il diritto alla salute il popolo di
campagna? Forse, poiché il contadino non ha mezzi per procurarsi quanto è di assoluta necessità per la salute fisica, dovrà essere costretto a intorpidirsi in vestiti quasi ghiacciati anche quando si trova sotto un tetto comunale?
Ah, signore, come fa compassione il loro continuo tossire profondo certi giorni, il loro pietoso lamentarsi per il gelo da cui si sentono tormentati. E d'estate l'afa e il Puzzo della latrina. Una cuccagna, insomma, che davvero una si domanda: a che pro la scuola? Sapete, illustre signor Sindaco, qual è il numero dei miei alunni? Centoventicinque, sì signore, avete letto giusto: centoventicinque. Ah! lo so che voi direte che a maggio diventano cinquanta, perché è la stagione dei bigatti e i paesani ritirano i figli dalla scuola in massa per farli lavorare.
Ma anche ammettendo che a maggio questo numero diminuisca, è pur sempre superiore alle mie capacità morali e fisiche...
Come posso insegnare loro qualcosa in tali condizioni? Come posso aiutare quei poverini? E sapete qual è l'arredo della mia lussuosa classe? Diciassette banchi, due lavagne rotte e inservibili, un tavolino, una sedia che perde la sua impagliatura, una stufa che non funziona; e un posapiede (quale
onore!)... Nessuna carta geografica neanche un pallottoliere... Ah, dimenticavo: due quadri, del Re e della Regina.
Quelli non mancano. (...)




















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