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Lunario dei giorni di paura


Ventinovesima settimana

shelley

Fred Vargas

Parti in fretta e non tornare

Il titolo del romanzo di Fred Vargas, il terzo della fortunata serie del commissario Adamsberg del XIII arrondissement di Parigi, è una rivisitazione dell’antico detto latino “Cito, longe fues et tarde redeas”, ovvero “Presto, fuggi lontano e torna tardi”, che nel Medioevo veniva utilizzato per definire l’unica possibilità di salvezza dalla peste nera. La peste nera quindi nella Parigi moderna, evocata non per architettare trame distopiche, ma piuttosto per dare corpo a un sottile e pauroso piano criminale la cui matassa verrà dipanata con successo dal placido commissario Adamsberg. La Vargas, il cui vero nome è  Frédérique Audouin-Rouzeau, oltre ad essere una scrittrice ormai affermata è una eminente archeozoologa, specializzata nello studio degli animali in epoca medioevale, con numerose pubblicazioni sui meccanismi di trasmissione uomo-animale della peste del trecento e sul ruolo di maiali e pulci nello scatenarsi delle epidemie di peste nera. Una competenza che traspare per intero nella serrata e appassionante trama del romanzo.

 

Adamsberg finí di ritagliare in fretta e furia quell’articolo che, nel mucchio, si distingueva per il suo contenuto, ricco e ponderato. Giusto quello che mancava per dar fuoco alle polveri, benzina sul focolaio nascente. Il titolo era enigmatico:

La malattia nº 9.

La malattia nº 9 La questura, per voce del capo divisione Pierre Brézillon, ci ha assicurato che i quattro decessi misteriosi verificatisi nel corso di questa settimana a Parigi erano opera di un serial killer. Le vittime sarebbero state uccise per strangolamento, e il commissario capo Jean-Baptiste Adamsberg, responsabile delle indagini, ha fatto pervenire alla stampa delle foto assolutamente inequivocabili dei segni di strangolamento. Ma è ormai noto a tutti che, parallelamente, un informatore anonimo attribuisce questi decessi a un’incipiente epidemia di peste nera, terribile flagello che un tempo devastò il mondo. Di fronte a questa alternativa, permettiamoci di sollevare un dubbio sulla peraltro ineccepibile dimostrazione dei nostri servizi di polizia facendo un salto indietro di ottant’anni. Parigi ha cancellato dalla memoria la storia della sua ultima peste. Eppure l’ultima epidemia che colpí la capitale risale soltanto al 1920. Partita dalla Cina nel 1894, la terza pandemia pestosa devastò le Indie, dove fece dodici milioni di morti, e toccò tutti i porti dell’Europa occidentale, Lisbona, Londra, Oporto, Amburgo, Barcellona… e Parigi, tramite una chiatta proveniente da Le Havre che svuotò le stive sull’alzaia di Levallois. Fortunatamente, come ovunque in Europa, la malattia ebbe vita breve e declinò nel giro di qualche anno. Nondimeno colpí novantasei persone, in particolare nelle periferie nord ed est della città, nelle misere comunità di straccivendoli alloggiati in baracche insalubri. Il contagio penetrò fin dentro le mura e fece una ventina di vittime nel cuore della città. Ma per l’intera durata dell’epidemia il governo francese non ne fece parola. Le comunità a rischio furono vaccinate senza che la stampa venisse informata della vera ragione di tali misure straordinarie. L’Ufficio epidemie della Questura, in una serie di note interne, insistette sulla necessità di nascondere il male alla popolazione – male che pudicamente denominò «la malattia nº 9». Ecco quanto scriveva il Segretario generale nel 1920: «Un certo numero di casi di malattia nº 9 sono stati segnalati a Saint-Ouen, a Clichy, a Levallois-Perret e nel diciannovesimo e ventesimo arrondissement. (…) Richiamo la vostra attenzione sul carattere strettamente confidenziale di questa nota e sulla necessità di non diffondere l’allarme tra la popolazione». Fu una fuga di notizie a permettere al quotidiano «L’Humanité» di rivelare la verità nell’edizione del 3 dicembre 1920: «Il Senato ha dedicato la seduta di ieri alla malattia nº 9. Che cos’è la malattia nº 9? Alle tre e mezza, grazie al signor Gaudin de Villaine, abbiamo appreso che si tratta della peste…» Lungi dal voler accusare i rappresentanti della polizia di falsificare i fatti, oggi come ieri, per nasconderci la verità, questo piccolo cenno storico ricorda utilmente ai cittadini che lo Stato ha le sue verità che la verità non conosce e che in qualsiasi epoca ha sempre saputo servirsi dell’arte della dissimulazione.

 Pensieroso, Adamsberg lasciò ricadere il braccio, con il devastante articolo tra le dita. La peste del 1920, a Parigi. Era la prima volta che ne sentiva parlare. Compose il numero di Vandoosler. – Ho appena letto i giornali, – disse Marc Vandoosler senza lasciargli il tempo di parlare. – Qui ci si avvia alla catastrofe. – Poco ma sicuro, – confermò Adamsberg. – Questa epidemia del 1920 c’è stata davvero o se la sono inventata? – C’è stata eccome. Novantasei casi di cui trentaquattro mortali. Degli straccivendoli dei sobborghi e qualche persona del centro. L’ondata è stata particolarmente violenta a Clichy; intere famiglie. I bambini raccoglievano i ratti morti nelle discariche. – E come mai non è dilagata? – Vaccinazioni e profilassi. Ma, soprattutto, i ratti sembravano immunizzati. Quella fu l’agonia dell’ultima peste europea.

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