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Lunario dei giorni di paura



“Non era di molto spazio sonata nona, che la reina, levatasi, tutte l'altre fece levare e similmente i giovani, affermando esser nocivo il troppo dormire di giorno: e cosí se n'andarono in uno pratello nel quale l'erba era verde e grande né vi poteva d'alcuna parte il sole; e quivi, sentendo un soave venticello venire, si come volle la lor reina, tutti sopra la verde erba si puosero in cerchio a sedere; a' quali ella disse cosí: - Come voi vedete, il sole è alto e il caldo è grande, né altro s'ode che le cicale su per gli ulivi; per che l'andare al presente in alcun luogo sarebbe senza dubbio sciocchezza. Qui è bello e fresco stare, e hacci, come voi vedete, e tavolieri e scacchieri, e puote ciascuno, secondo che all'animo gli è più di piacere, diletto pigliare. Ma se in questo il mio parer si seguisse, non giucando, nel quale l'animo dell'una delle parti convien che si turbi senza troppo piacere dell'altra o di chi sta a vedere, ma novellando (il che può porgere, dicendo uno, a tutta la compagnia che ascolta diletto) questa calda parte del giorno trapasseremo. Voi non avrete compiuta ciascuno di dire una sua novelletta, che il sole fia declinato e il caldo mancato, e potremo dove più a grado vi fia andare prendendo diletto: e per ciò, quando questo che io dico vi piaccia, che disposta sono in ciò di seguire il piacer vostro, facciamlo; e dove non vi piacesse, ciascuno infino all'ora del vespro quello faccia che più gli piace. Le donne parimente e gli uomini tutti lodarono il novellare. - Adunque - disse la reina - se questo vi piace, per questa prima giornata voglio che libero sia a ciascuno, di quella materia ragionare che più gli sarà a grado. E rivolta a Panfilo, il quale alla sua destra sedea, piacevolmente gli disse che con una delle sue novelle all'altre desse principio; laonde Panfilo, udito il comandamento, prestamente, essendo da tutti ascoltato, cominciò cosí…”

 ( Giovanni Boccaccio, Decameron)


(Le Case Editrici che non gradissero la presenza dei brani di cui detengono il copyright in questa raccolta senza fini di lucro, possono chiedere in qualsiasi momento la loro eliminazione, che sarà immediata)


(per accedere ai testi cliccare sull'immagine dell'autore)




Introduzione
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In ordine alfabetico per autore
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Prima settimana


Decameron
Giovanni Boccaccio
Newton Compton Editori

Scritto da il Certaldese tra il 1349 e il 1351, opera prima della prosa in volgare italiana poi divenuto nel tempo artificio letterario di respiro mondiale, il Decameron è composto da cento novelle che spaziano su ogni aspetto della socialità del tempo, quasi sempre con uno sguardo tra l’arguto e il divertito. Occasione del “raccontare”, quale attività insieme salvifica ed edonistica, è il ritrovarsi di sette donne e tre uomini lontano dalla Firenze falcidiata dalla peste nera. Ciascuno di essi racconterà a turno una storia, indulgendo spesso su un malizioso erotismo che in determinati periodi e Paesi costrinse la raccolta nell’indice delle opere considerate pruriginose. Pier Paolo Pasolini, portando sul grande schermo sette  novelle, fece del suo Il decameron la prima opera della sua Trilogia della vita. Il brano che qui si propone è quello che in apertura del volume descrive il propagarsi della peste.

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Seconda settimana

La Peste
Albert Camus

Ed. Giunti

Albert Camus, premio Nobel per la Letteratura nel 1957, grandissimo scrittore e pensatore nato nell’Algeria francese da genitori pieds-noirs, portò per quasi tutta la sua vita le stigmate della malattia e della sofferenza, alle quali mai si arrese e per le quali cercò incessantemente, sul piano esistenziale, delle risposte di natura laica e razionale, che lo portarono a una severa e solidale azione politica in favore dei più deboli e dei più indifesi. Il brano che qui si propone e quello della terribile morte del giovanissimo Othon, al cui capezzale accorrono il laico dottor Bernard Rieux, primo protagonista del romanzo, e padre Paneloux, gesuita “erudito e militante”, già sulla via di una terribile crisi spirituale.


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Terza settimana


L'Iliade
Omero
Marsilio

La prima rappresentazione in forma narrativa di una pestilenza è quella composta da Omero nell’Iliade, per la quale possiamo trovare una ambientazione storica di massima, il XIII secolo a. C. Racconta il cantore cieco che a provocare l’ira divina – e qui percorre i suoi primi passi la certezza che le pestilenze siano pene inflitte dagli Dei agli uomini per i loro peccati – fu Agamennone, che si oppose al riscatto di Criseide, tenuta schiava. Il padre della ragazza, Crise, si rivolge allora ad Apollo, di cui era sacerdote. Fu così Apollo, coi suoi dardi, a colpire un numero sterminato di animali e di eroi, costringendo alla fine Agamennone alla rinuncia di Criseide. Nel brano che si propone la noúson kakén, la terribile malattia, termina nel momento stesso in cui insorge l’ira di Achille, che per la liberazione della figlia di Crise pagherà un altissimo prezzo.


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Quarta settimana


Le storie

Tucidide

Utet

 

Le Storie di Tucidide, nato ad Alimunte nel 460 a. C. circa, stratega della flotta ateniese nella guerra contro Sparta poi caduto in disgrazia e costretto all’esilio, rappresentano dal punto di vista storiografico la più antica testimonianza occidentale di carattere razionale e oggettivo, priva cioè dell’interpretazione delle vicende umane quali prodotto unico della bizzarra volontà degli Dei, e dal punto di vista letterario una straordinaria opera narrativa di carattere squisitamente soggettivo iscrivibile alla migliore diaristica.  Il suo racconto degli effetti della peste sui cittadini ateniesi (sempre ammesso che di una forma di peste si trattasse, cosa niente affatto certa), è preciso, terribile, illuminato da una partecipe umanità.

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Quinta settimana



Le Georgiche

Publio Virgilio Marone


Opera in quattro libri composta in esametri, dedicata al rapporto con la natura, le Georgiche di Virgilio, uno dei massimi poeti della Roma antica, hanno la particolarità di narrare non una epidemia tra gli uomini, ma bensì tra gli animali: le cui conseguenze però, dal punto di vista dell’equilibrio ecologico, sono per l’uomo parimenti devastanti. Forse anche per questo il terzo libro, quello che affronta la pestilenza, non è avulso né dall’attonito stupore di matrice lucreziana, né dal sentimento della pìetas.




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Sesta settimana

I promessi sposi

Alessandro Manzoni

Insieme al Decamerone di Boccaccio e a la Peste di Camus la più importante opera di Alessandro Manzoni è tra quelle più citate allorquando si parla di epidemie e delle reazioni umane, sia individuali che di gruppo, all’incombente minaccia della morte. La pestilenza magistralmente narrata nel romanzo fa riferimento a quella che colpì Milano tra il 1630 e il 1631, al termine di due anni di guerre e carestia. Il contagio della peste avvenne a causa della calata dei Lanzichenecchi in Lombardia, diretti a Mantova per porre in stato d’assedio la città. Nel brano che qui si propone, tratto dal capitolo XXXI, Manzoni ci racconta in che modo la maggioranza dei cittadini non volle prendere coscienza del pericolo che incombeva, mentre già iniziava la caccia all’untore.


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Settima settimana


Storia della colonna infame

Alessandro Manzoni

 

La storia della colonna infame, pubblicato nel 1840, tratto dalla vicenda narrata nel De peste Mediolani quae fuit anno 1630 di Giuseppe Ripamonti, fu inizialmente inserita dallo scrittore nel corpo di Fermo e Lucia, titolo originale della maggior opera manzoniana, ma poi venne considerata dallo scrittore una disgressione troppo lunga per essere metabolizzata senza danno dai lettori. Manzoni pensò poi di pubblicare la storia in appendice a I promessi sposi, ma alla fine rinunciò anche a questo proposito. Il brano che qui si propone è quello iniziale, ovvero il momento in cui nei malsani pensieri di una donna del popolo, Caterina Rosa, scaturisce la fiamma del sospetto che darà il via alla caccia all’untore e condusse all’esecuzione di due innocenti, Giacomo Piazza e Gian Giacomo Mora, dopo un processo farsa e inenarrabili torture.


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Ottava settimana


Cecità

José Saramago

Feltrinelli

Le epidemie (le sofferenze collettive) ci rendono davvero migliori? La risposta che Josè Saramago suggeriva in questo suo romanzo – novella distopica per eccellenza nella quale l’inspiegabile morbo che si diffonde è quello di una improvvisa cecità – è che no, non ci rendono affatto migliori. Salvo, forse, e solo in parte, gli unici che prima ancora di sprofondare nell’abisso riuscivano davvero a vedere, a “guardare”, a “osservare”: gli altri, le disparità e gli egoismi, i bisogni di tutti, i bisogni degli ultimi. Così da potere da questo ripartire, miracolosamente preservati da una cecità che è sinonimo di indifferenza e presagio di morte nell’anima. Il brano proposto è quello crudissimo in cui persino le vittime trovano il modo di essere ancora carnefici.

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Nona settimana


Favole

Libro settimo

Jean de La Fontaine

 

Il grande favolista francese, erede insuperato di Esopo e Fedro, nacque e visse nel secolo in cui la peste nera imperversò in tutta Europa, vorace e ferocissima nel 1628 a Lione, dove fece 70 mila vittime quando lui era ancora un bambino. Nella sua favola il terribile morbo è però solo un’ulteriore occasione per mettere alla berlina i misfatti del consesso degli uomini, nel quale i più potenti, attorniati da schiere di cortigiani, hanno sempre la meglio su coloro destinati a servire ai piani bassi: anche a costo, peste o non peste, di farsi beffe dell’ira del Cielo, lasciando al più debole e indifeso il sacrificio dell’olocausto.

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Decima settimana


Giuseppe Gioachino Belli

Er còllera mòribbus

Dal 1835 al 1837 l’Italia è attraversata dal colera giunto dall’Oriente. Anche in questa occasione Giuseppe Francesco Antonio Maria Gioachino Raimondo Belli, lo straordinario poeta del vernacolo romanesco, compone dei versi in cui viene restituita la vita vera della Città dei Papi. Una vita che all’improvviso diventa difficile, perché tutto si chiude in un lockdown ante litteram, e perché la gente comune, priva del salvagente dell’attuale stato sociale, comincia a domandarsi se sia meglio morire di fame o di colera. Il Belli storpia volutamente l’antica accezione chòlera in còllera, sottintendendo, ma senza crederci troppo, che l’epidemia sia un regalo divino, e precisa in nota che mòribbus significa “se more”. Tutto il resto è chiacchericcio social del tempo, restituito nella Conversazione all’Osteria della Giuggiola, che si trovava in Trastevere. Disposta e raccontata in trentaquattro sonetti e tutti di vaglia.

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Undicesima settimana


‘U contra

Nino Martoglio

 

Di Nino Martoglio, nato in Sicilia nel 1870, seguace di Giuseppe Garibaldi, scrittore, drammaturgo e regista, si dice spesso che sta a Catania come Trilussa sta a Roma e Salvatore di Giacomo a Napoli. ‘U contra, opera in tre atti scritta nel 1818 in stretto vernacolo, ha come sfondo e spunto narrativo il colera che colpì il capoluogo etneo nel 1887. L’esilarante lettura che qui si propone è tratta dalla Scena seconda del primo atto, dove Don Procopio Ballaccheri enuncia il suo concetto di igiene, a proposito di morbo e di mutande.


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Dodicesima settimana

Geraldine Brooks

Annus mirabilis

Neri Pozza


Geraldine Brooks, australiana di nascita e statunitense per adozione, prima di intraprendere la carriera di scrittrice ha svolto il ruolo di inviata speciale, per il Wall Street Journal, in Africa e in Medioriente, attività che le permise di acquisire le conoscenze destinate a diventare parte viva del suo primo libro, Padrone del desiderio: L'universo nascosto delle donne musulmane, che ottenne un grandissimo successo. In Annus Mirabilis racconta l’arrivo della peste a Eyam, un minuscolo villaggio del Derbyshire, in Inghilterra. Il titolo del romanzo non inganni: perché per quanto positivo possa essere l’esito di questa storia, laddove la volontà di resilienza conduce a vie inimmaginabili nel momento del dolore, le vicende dell’epidemia narrate appartengono per intero all’aggettivo horribilis. Il brano che qui si propone racconta il cieco furore della folla in cerca di un capro espiatorio, che verrà individuato, come quasi sempre accadeva, in una donna, accusata di essere una strega.
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Tredicesima settimana


Abū l-Ṭayyib Aḥmad ibn al-Ḥusayn

La peste

Poeta iracheno dell’era abbaside nato a Kufa nel 915, Abū l-Ṭayyib Aḥmad ibn al-Ḥusayn deve il soprannome con cui è più conosciuto, al-Mutanabbī, il sedicente profeta, all’accusa di aver partecipato e forse diretto una rivolta a Homs. I versi sulla peste che qui si propongono, di grande impatto metaforico, furono scritti in Egitto, poco prima che il poeta venisse assassinato.

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Quattordicesima settimana


Mao Zedong

Agli dei della peste

Il grande leader della Rivoluzione cinese scrisse questo componimento, come lui stesso ebbe a spiegare, quando venne a sapere, il 30 giugno del 1958, che nella regione di Yukiang l’epidemia di schistosomiasi, malattia provocata da un parassita acquatico, era stata debellata. Così che i pensieri gli si affollarono in mente impedendogli di dormire. “Nella calda brezza mattutina del giorno successivo, mentre la luce del sole penetrava dalle finestre, guardai verso il cielo meridionale e al colmo della felicità scrissi le seguenti righe”.

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Quindicesima settimana


Matilde Serao

Il ventre di Napoli

Matilde Serao nata per caso in Grecia, ma da subito napoletana dopo il ritorno in città di suo padre Francesco Saverio, che era stato costretto all’esilio, fu la prima donna italiana a fondare e a dirigere un quotidiano, Il corriere di Roma. Ancora direttrice di quotidiani, Il mattino e Il giorno, e quindi grandissima scrittrice, venne candidata per ben sei volte al Premio Nobel per la Letteratura, pur senza mai riceverlo. Nel 1884, quando una epidemia di colera colpisce la città partenopea e si apre un’aspra polemica tra il suo sindaco e il Primo Ministro Depretis, accusato di restare ancora indifferente non solo alle sofferenze del capoluogo ma a quelle di tutto il Meridione d’Italia, la Serao interviene nella querelle pubblicando il saggio Il ventre di Napoli, che descrive minuziosamente la vita di una comunità per cui la sopravvivenza è quasi una forma d’arte. Il brano qui proposto è tratto dal Capitolo IV, Gli altarini.

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Sedicesima settimana


Daniel Defoe

Diario dell’anno della peste

Mondadori

Utilizzando lo stratagemma già usato col Robinson Crusoe, Daniel Defoe compose la storia del Diario accreditandola a un tale H.F., sellaio, che avrebbe vissuto a Londra durante l’epidemia di peste del 1665, quando lo scrittore aveva dunque 5 anni: lo pubblicò nel 1722, si dice per impellente bisogno di denaro, in questa forma anonima. Costruita con ogni probabilità sulle cronache e sui racconti di ancora freschissima memoria, l’opera di Defoe, pur non avendo il grande respiro de I promessi Sposi di Manzoni, restituisce una delle grandi tragedie che colpì la città inglese nel XVII secolo. Il brano che qui si presenta è quello in cui l’io narrante racconta delle superstizioni e delle paure ancestrali che imperversarono nella capitale inglese mentre l’epidemia muoveva i suoi primi passi.

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Diciassettesima settimana


Samuel Pepys

Diario di un peccatore

Castelvecchi

 Samuel Pepys, funzionario politico di alto rango nella Londra del XVII secolo, fu un uomo straordinariamente curioso della vita, interessato ai libri - coltissimo bibliofilo - alla musica, al teatro e alle scienze. Ciò che colpisce del suo diario, che compose sino a quando la vista lo sostenne, è lo stile sobrio ma insieme assolutamente veritiero, non temendo Pepys di mettere sulla carta anche le sue continue debolezze, come il trasporto per il buon vino, e quelle che debolezze proprio non riusciva a considerare, come le continue relazioni extraconiugali consumate con il massimo entusiasmo e la massima naturalezza. Singolare e fuori dal comune appare anche il suo atteggiamento verso la peste bubbonica, considerata come uno dei tanti accidenti in cui si poteva incorrere, ma non abbastanza spaventosa da indurlo a soccombere alla paura e a cambiare radicalmente il proprio stile di vita. Il brano che qui si propone racconta delle giornate dal 5 luglio al 14 settembre  1666.

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Diciottesima settimana


Mary Berg

Il diario di Mary Berg

S.L. Shneiderman ed.

Mary Berg, pseudonimo di Miriam Wattemberg, nacque a Lodz nel 1924 da madre americana e padre ebreo polacco. Nel 1939, all’età di quindici anni, dopo che con la sua famiglia è stata imprigionata nel Ghetto di Varsavia, inizia a scrivere un diario destinato a ricoprire un ruolo particolarissimo nella letteratura della Shoah. Venne infatti tradotto in America, dove la famiglia riuscì ad arrivare nel 1944 in virtù del passaporto statunitense della madre e di uno scambio di prigionieri di guerra tedeschi, a guerra non ancora conclusa. I brani che si propongono raccontano della terribile epidemia di tifo che imperversò nel ghetto, di cui la ragazzina colse gli aspetti più evidenti e terribili, senza probabilmente avere piena coscienza della straordinaria azione dei medici, degli infermieri e dei volontari del ghetto che riuscirono, attraverso un serrato coinvolgimento della popolazione nelle azioni di prevenzione e cura, a sconfiggere l’epidemia. Dopo la fine della guerra e quando il clamore per il suo Diario si assopì, Miriam Wattemberg si rifugiò in una vita riservatissima e volutamente anonima, senza mai riuscire a superare il senso di colpa per essersi salvata mentre centinaia di migliaia di sue coetanee ebbero come destino la morte.

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Diciannovesima settimana


Luigi Capuana

Il medico dei poveri

L’ecclettico intellettuale e scrittore siciliano scrisse questa novella nel 1892 e la pubblicò due anni dopo nella raccolta Le paesane, dando vita a uno di quei quadretti veristi nei quali alla feroce furbizia dei borghesi acculturati e benestanti, nello specifico quella dott. Ficicchia, corrisponde sempre l’ignorante e un po’ bovina dabbenaggine del popolo. Così che il medico dei poveri, pur avendo disertato di fronte alla minaccia di un’epidemia di colera, viene santificato a priori dagli stessi poveri come loro salvatore. Nella novella, qui pubblicata integralmente, ridonda una delle credenze più diffuse nel Meridione d’Italia a proposito delle epidemie: quella che la malattia fosse intenzionalmente propagata dal Governo, per sanare un’altra piaga storica: quella della sovrappopolazione dei poveri e degli affamati.


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Ventesima settimana

Israel Joshua Singer

I fratelli Ashkenazi

Longanesi

Nato in Polonia nel 1893, Israel Joshua Singer, fratello maggiore di Isaac Bashevis, premio Nobel per la letteratura nel 1978,  e minore della primogenita Esther, anch’essa scrittrice in lingua yiddish, cantò con grandissima maestria la vita delle comunità ebraiche nell’Europa orientale. Scomparso a New York nel 1944, non ebbe mai piena contezza della totale e atroce dissoluzione dell’universo dei suoi padri causata dalla Shoah. Nel romanzo I fratelli Ashkenazi descrisse i rapidi e devastanti mutamenti avvenuti nella città di Lodz, dall’epoca in cui la cittadina, poco più di uno shtetl, era ancora dominata dall’Impero degli zar, lungo la strada di una controversa industrializzazione che non risparmiò i più deboli, sui quali maggiormente si accanirono anche le epidemie di scarlattina, difterite e tifo.

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Ventunesima settimana


Jack London

Guerra alla Cina – L’inaudita invasione

O barra O Edizioni

Quando Jack London, il celeberrimo autore de Il richiamo della foresta e di Zanna Bianca, nel 1910, diede alle stampe questo racconto, il cui titolo originale era L’impareggiabile invasione, l’Occidente intero e in particolare gli Stati Uniti d’America guardavano con sospetto alla Cina, in preda a un rituale apertamente razzista i cui tratti non ci sono sconosciuti neppure oggi. Accusati di invadere gli States con troppi immigrati, di essere troppo numerosi in patria, cosa che appariva terribilmente minacciosa di fronte alla decrescita delle nascite nei paesi ritenuti, loro sì, civilizzati, ma soprattutto ritenuti inconoscibili e insondabili nella loro società votata al caos di un impero in totale disfacimento, i cinesi sono di irresistibile stimolo anche per gli scrittori. Stimolo al quale London risponderà con questo racconto di fantascienza, ambientato nel 1976, in cui l’intero Occidente troverà una soluzione finale, secondo una ispirazione eugnetica, antelitteram, perfettamente nazista, con uno sterminio di massa attuato con la diffusione delle peggiori malattie epidemiche. Un colpo al cuore per tutti coloro che di Jack London hanno invece e profondamente amato il senso della giustizia e della libertà.

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Ventiduesima settimana

Joan London

L’età dell’oro

Edizioni e/o

Il romanzo di Joan London, libraia e scrittrice australiana per la prima volta tradotta in Italia, ruota intorno agli esiti della poliomielite, malattia che prima della scoperta del vaccino risparmiava il 90 per cento di chi veniva infettato dal virus, ma si accaniva sul restante dieci per cento con gravissime menomazioni destinate a mutare per sempre i destini delle persone. La vicenda narrata ruota intorno al rapporto sentimentale tra i due giovanissimi protagonisti che si incontrano alla Golden Age, ex-locanda convertita in sanatorio nell’assolata Perth: Frank, adolescente trasferitosi in Australia con la sua famiglia dopo essere scampato alla Shoah in Ungheria, ed Elsa, bambina proveniente da una famiglia piccolo borghese. Il brano che qui si propone è quello che descrive l’esordio della malattia di Frank e quello del suo amico Sullivan, che gli insegnò la volontà e l’arte della poesia.


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Ventitreesima settimana



Dino Buzzati

Una cosa che comincia per L

Il grande scrittore veneto scrisse questo breve e terribile racconto per la rivista La Lettura, includendolo poi nella raccolta I sette messaggeri del 1942 e successivamente in quella Sessanta racconti del 1958. Essenziale nell’antefatto, un uomo sta improvvisamente male dopo essersi imbattuto per caso in una strana persona che gira per le strade con un campanellino attaccato agli abiti, fulmineo nel suo sviluppo, come ogni buon racconto breve, implacabile nel suo epilogo: uno straordinario esercizio stilistico per raccontare che la malattia è spesso sinonimo di inappellabile condanna e d’esilio, soprattutto quando è un terribile morbo il cui nome inizia per L, come la Lebbra.


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Ventiquattresima settimana


Thomas Mann

La morte a Venezia

Feltrinelli

Nella tormentata storia di Gustav von Aschenbach, giunto ai primi passi dell’anzianità per scoprire un altro sé stesso, l’amore per il giovane Tadzio non poteva non coniugarsi con la morte. Che lo coglierà quasi a rendere giustizia del sordo egoismo che l’aveva spinto a tacere quella verità che ancora in pochi a Venezia conoscevano: il diffondersi di un terribile morbo venuto da lontano sulle navi dei mercanti siriaci.

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Venticinquesima settimana


Giovanni Verga

Quelli del colera

Verga diede a questa novella cruda e terribile due diversi titoli, pubblicandola una prima volta nel 1884, sulla rivista Auxilium (Giornale Illustrato Artistico Musicale. Pubblicato a cura del Comitato Milanese di Beneficenza per gli Italiani danneggiati dal colèra), col titolo Untori, e più avanti, col titolo Quelli del colera, nella raccolta Vagabondaggio. Ai due titoli corrisposero poi due diversi finali, il secondo dei quali molto più truce, inserendo delle vere e proprie vittime sacrificali della follia del popolo a caccia dei propagatori del morbo, individuati in poveretti di passaggio, guarda caso “zingari”.

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Ventiseiesima settimana


Mary Shelley

L’ultimo uomo

L’autrice di Frankenstein nel 1826 pubblicò un ponderoso romanzo distopico in tre volumi. Accolto da feroci critiche e destinato ad avere così meno successo della celeberrima opera primogenita, da restare poi per tantissimo tempo nell’ombra. Sino alla sua riscoperta avvenuta da parte della critica mondiale, insieme ad altri testi ugualmente meno fortunati, a partire dagli anni settanta del secolo scorso. Il romanzo, di sapore squisitamente ottocentesco ma ambientato in un lontano futuro (la storia di concluderà nel 2100) narra della progressiva scomparsa delle società umane sul pianeta Terra a causa delle ricorrenti epidemie di peste. Il brano che qui si propone racconta del momento in cui i protagonisti, tutti appartenenti alle classi più agiate inglesi, hanno la conferma che il morbo è entrato nelle loro vite.

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Ventisettesima settimana


Jorge Amado

Teresa Batista stanca di guerra

Einaudi

In questo romanzo dato alle stampe nel 1972, quindi nella piena maturità della sua seconda vita da scrittore, avendo già abbandonato da tempo la prima di romanziere politico “militante”, Amado ci presenta una donna fanciulla di immenso e irresistibile fascino, da molti voluta puttana, da altrettanti ammirata Madonna, ma soprattutto eroina capace di calpestare un sentiero che più di un uomo non ha avuto il coraggio di imboccare. Quando a Buquim scoppia una epidemia di vaiolo nero, il peggiore, quello che non dà scampo, e chi avrebbe il dovere di affrontarlo muore o si dà alla fuga, sarà lei, Teresa, insieme a un manipolo di prostitute, a ingaggiare una battaglia con la morte. Vincendola.

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Ventottesima settimana


Philip Roth

Nemesi

Einaudi

Anche nel suo ultimo romanzo, Nemesi, il grande scrittore ebreo statunitense utilizzò il suo personale vissuto per dare forza a una storia animata dalla fantasia ma con le radici ben piantate nella realtà. Una realtà durissima, quella della sua città natale, Newark, che nel 1944 venne attraversata da una epidemia di poliomielite, morbo che prima della scoperta del vaccino, che avvenne negli anni ’50, falcidiava nel mondo centinaia di migliaia di persone, soprattutto bambini. Il romanzo di Roth è incentrato sulla figura di Bucky Cantor, animatore di un gruppo di ragazzini che tenta in ogni modo di proteggere dalla malattia, andando purtroppo incontro a un destino inaspettato. Il breve brano che qui si propone restituisce l’angoscia per le sirene delle ambulanze che risuonano in continuazione, mentre negli ospedali già mancano i respiratori.

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Ventinovesima settimana


Fred Vargas

Parti in fretta e non tornare

Il titolo del romanzo di Fred Vargas, il terzo della fortunata serie del commissario Adamsberg del XIII arrondissement di Parigi, è una rivisitazione dell’antico detto latino “Cito, longe fues et tarde redeas”, ovvero “Presto, fuggi lontano e torna tardi”, che nel Medioevo veniva utilizzato per definire l’unica possibilità di salvezza dalla peste nera. La peste nera quindi nella Parigi moderna, evocata non per architettare trame distopiche, ma piuttosto per dare corpo a un sottile e pauroso piano criminale la cui matassa verrà dipanata con successo dal placido commissario Adamsberg. La Vargas, il cui vero nome è  Frédérique Audouin-Rouzeau, oltre ad essere una scrittrice ormai affermata è una eminente archeozoologa, specializzata nello studio degli animali in epoca medioevale, con numerose pubblicazioni sui meccanismi di trasmissione uomo-animale della peste del trecento e sul ruolo di maiali e pulci nello scatenarsi delle epidemie di peste nera. Una competenza che traspare per intero nella serrata e appassionante trama del romanzo.

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Trentesima settimana


Amitav Ghosh

L'isola dei fucili

Neri Pozza

Amitav Ghosh, senza dubbio il più grande scrittore indiano di lingua inglese, da tempo è tradotto e apprezzato in Italia, soprattutto per la sua grande capacità di coniugare la razionalità di stampo antropologico nella costruzione dei grandi affreschi di società a noi molto distanti, con l’assoluto rigore nell’architettare complesse trame di grande spessore letterario, come avviene in questo romanzo privo di confini geografici che si dipana da un oceano all’altro sino a giungere al Mediterraneo e a Venezia, nelle cui pagine l’ecologismo si fonde con la condanna del razzismo eurocentrico e suprematista che anche in Italia ha i suoi tristi seguaci. Nel brano qui proposto si disquisisce dell’epidemia di peste che colpì Venezia nel XVII secolo.


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Trentunesima settimana


La Bibbia

Ai primordi  della pandemia di Corona virus diversi esponenti di diverse fedi religiose accreditarono l’origine del male a una volontà di castigo divino. Ora per l’appartenenza a una religione diversa dalla propria e perciò eretica e blasfema (come è stato il caso di alcuni esponenti dell’Isis), ora a causa di peccati di varia natura. Il caso poi ha voluto che qualcuno di questi esponenti religiosi che si erano così tanto sbilanciati nell’accreditare a D- l’origine del male (perché quando gli uomini parlano  D- se la ride, come recita un antico proverbio ebraico), venissero a loro volta colpiti dal Covid 19, come quel patriarca che tanto tuonò contro l’omossessualità e poi restò lui stesso folgorato dal contagio. Come a dire che le cattive interpretazioni dei passi più antichi dell’antico Libro, quelle operate con piglio letterale e con volontà discriminatorie, sempre inducono al falso passo. Il brano che qui si propone è quello in cui Miriam, colpita dalla lebbra bianca, viene messa in quarantena per sette giorni prima di essere riammessa nella comunità.

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Trentaduesima settimana


Jane Eyre

Charlotte Bronte

Nella storia narrata da Charlotte Bronte in Jane Eyre: An Autobiography, pubblicato nel 1847 sotto lo pseudonimo di Currer Bell, lo stesso anno in cui la sorella minore Emily dava alle stampe Cime Tempestose, tifo e tubercolosi irrompono nel grigio collegio di Lowood, conducendo la giovane protagonista a superare d’impeto la sottile linea d’ombra che durante le epidemie separa la vita dalla morte, in virtù di un irrinunciabile sentimento di amicizia.


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Trentatreesima settimana


Il sogno del Villaggio dei Ding

Yan Lianke

Nottetempo ed.

 

Il romanzo dello scrittore cinese vincitore nel 2014 del Premio Franz Kafka, censurato in patria, racconta di una storia vera e di una vera epidemia procurata che si abbatté su tanti villaggi rurali quando, nei primi anni ’90, nel grande Paese asiatico venne liberalizzato il commercio di plasma e i contadini più poveri trovarono estremamente conveniente vendere il proprio sangue. Salvo poi restare vittime di un terribile morbo che non dava scampo, l’Aids procurato dall’uso degli stessi aghi e delle stesse flebo, che portò numerosi villaggi a scomparire dalla faccia della terra. Il libro si chiude con una postfazione dell’autore, intitolata Lo sfinimento della scrittura, a significare quanto doloroso ed estenuante sia stato mettere sulla carta l’esito infausto di troppi destini umani. Una sofferenza per la quale Yan Lianke, in virtù dell’empatia che sempre lega l’autore e chi ne segue i passi sulla carta, chiede scusa ai lettori.

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Trentaquattresima settimana

Curzio Malaparte

La pelle

Adelphi

Curzio Malaparte, al secolo Curt Erich Suckert, la “più bella penna del fascismo”, come provocatoriamente ebbe a definirlo Gobbetti, spesso sul banco degli imputati a causa dell’accusa non meno infamante di essere un voltagabbana politico di professione, nel 1949 diede alle stampe il suo più controverso romanzo. Una storia di straordinaria bellezza narrativa ma anche una storia inquietante sopra ogni limite e maledetta, a causa del suo nutrirsi nei bassifondi di ogni debolezza e miseria umana, nella quale Malaparte utilizzò la metafora della peste per descrivere la peggiore corruzione dell’anima: non il piegarsi alla violenza degli invasori tedeschi, ai quali anzi la città di Napoli si oppose con una grandiosa azione corale, ma bensì l’arrendersi alla supremazia dei vincitori, in un confronto perdente con la potenza, la ricchezza e la pulizia morale dei forti.   


malapèarte



Trentacinquesima settimana


L’esercito italiano durante il colera del 1867

Edmondo De Amicis

 

In questo racconto – saggio sull’intervento dell’Esercito italiano in Sicilia, pubblicato nel 1869 nella raccolta La vita militare: bozzetti per i tipi di Le Monnier, il grande scrittore ligure, convinto socialista ma anche propenso a scivolare negli inganni ideologici del positivismo, descrive la forsennatezza dei siciliani di fronte al colera. Una visione già viziata dal pregiudizio sulla “ignoranza quasi selvaggia del volgo”, incapace di comprendere un fenomeno descritto in modo altrettanto realistico  dal Verga e dal Capuana, che però furono capaci, come De Roberto, di far trasparire tra le righe le cause storiche e sociali di una paura e di un sospetto senza limiti.


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Trentaseiesima settimana



I Malavoglia

Giovanni Verga

Nel grande affresco siciliano appartenente al Ciclo dei Vinti, Verga architetta una ulteriore scherzo del destino per i Malavoglia, questa volta nella persona della Longa, che per tirar fuori un po’ di guadagno va a vendere le ova e il pane fresco ai forestieri in fuga da Catania, andando così incontro al destino del colera.


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Trentasettesima settimana


Guarire

Kitty O’Meara / Irene Vella

 

Nel mese di marzo 2020 apparve sui social una bellissima poesia, straordinariamente evocativa, accreditata alla scrittrice franco – irlandese Kathleen O’Meara, nata nel 1839 e deceduta nel 1888, pubblicata nel volume Iza’s Story e  ispirata alla lotta dei patrioti polacchi contro l’occupazione russa. Solo col passare del tempo, grazie all’intervento dei promotori di siti specializzati nello smascherare le “bufale”, che andarono a spulciare ogni libro della scrittrice alla British Library, venne fuori la verità. Uno scrittore indiano, Deepak Chopra, ai primi di marzo aveva condiviso una poesia trovata sulla pagina facebook di una certa Kitty O’Meara, il cui nome, rimbalzando di ulteriore condivisione in condivisione si era deformato in Kathleen O’Meara, suggerendo così l’erronea paternità della scrittrice franco irlandese e trasformando un testo ispirato dalla pandemia in uno ispirato invece da una causa nazionalista. Ma non bastando questa rivelazione ecco che anche la nuova paternità viene oggi contestata da una giovane scrittrice italiana, Irene Vella, che sostiene di aver pubblicato sulla sua pagina facebook, cinque giorni prima di Kitty O’Meara, il testo originale della poesia, perciò di sua proprietà letteraria. Attualmente la querelle è nelle mani della magistratura italiana, ma proprietà intellettuale a parte questi bellissimi versi meritano di essere presenti anche in questo Lunario.

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Trentottesima settimana

L’ombra dello scorpione

Stephen King

Bompiani

 
La prima edizione di questo romanzo distopico venne asciugata dallo stesso King di circa 400 pagine, non per motivi editoriali ma bensì squisitamente commerciali: la casa editrice fece il calcolo di quante copie avevano venduto i precedenti titoli dell’autore e calcolò sia il prezzo massimo di copertina che i lettori sarebbero stati disposti a spendere, sia le pagine che con quel presso si sarebbero potute pubblicare. Un restroscena che lo stesso King raccontò 10 anni più tardi nella nuova edizione completa dell’opera, quando il successo ormai raggiunto gli permise di recuperare gran parte delle pagine perdute, avvertendo in prefazione che la storia non era cambiata ma che si era semplicemente espansa. Il romanzo, pur facendo leva sulla consueta perfezione della trama, risulta avere tutto sommato uno sviluppo elementare: a causa di un virus influenzale mortale sfuggito a un laboratorio l’umanità viene quasi del tutto sterminata, e tra i pochi superstiti ricomincia l’eterna lotta tra il bene e il male. Il brano che qui di presenta è quello in cui da un emittente televisiva si mette finalmente in onda la verità sull’epidemia.

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Trentanovesima settimana


Abisso

Dean Koontz

Fanucci

 
Dean Kontz, autore specializzato in storie a metà via tra il thriller e l’horror, con venature fantascientifiche, diede alle stampe questo libro nel 1981, ma solo nel 2020, dopo lo scoppio della pandemia, esso è stato pubblicato in Italia, complice la trama apparentemente profetica. Nella storia narrata infatti succede che un bimbo dato per morto forse non lo è, e il mistero della sua scomparsa sta in ciò che avviene dopo la diffusione di un virus chiamato Wuhan-400, creato in un laboratorio nella omonima città cinese. Va subito precisato però che l’aura profetica del romanzo è assolutamente casuale, poiché nella prima stesura il virus pare si chiamasse Gorki-400, nome poi cambiato dopo il crollo del muro di Berlino e il dissolvimento dell’Unione Sovietica, non più spauracchio per il lettore medio americano.

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Quarantesima settimana


Wuhan – Diari da una città chiusa

Fang Fang

Rizzoli

Quando nella città di Wuhan scoppiò l’epidemia di Covid 19, la scrittrice Fang Fang, già nota in Italia per il romanzo Il sole del crepuscolo, iniziò a scrivere un diario in cui ciascuno di noi non farà fatica a riconoscersi, essendo in buona parte, pur con le dovute differenze, nient’altro che una anticipazione di ciò che poi successe in tutto il mondo, compreso il nostro Paese. Pubblicate quotidianamente sul web, le pagine del diario di Fang Fang sono state rimosse dalla censura cinese, ma non abbastanza tempestivamente da impedire la loro pubblicazione in Occidente. Sessanta giorni, dal 25 gennaio al 26 marzo 2020, ricchi di stupore, sgomento, paura e infine speranza che la vita, nonostante tutto, possa ricominciare.

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Quarantunesima settimana


La morte dell’erba

John Christopher

Neri Pozza ed.

John Christopher, pseudonimo di Sam Youd, prolifico e colto scrittore inglese di fantascienza noto per la fortuna trilogia dei Tripodi, pubblicò La morte dell’erba nel 1956, tradotto poi appena due anni dopo in Italia col titolo La peste verde. Romanzo distopico, illuminato dal dono della preveggenza riguardo a molti mali che affliggono oggi il rapporto dell’uomo con la natura, immagina la diffusione, a partire dalla Cina, di un terribile virus che non attacca l’uomo bensì le piante, in particolare le graminacee, distruggendole senza scampo e provocando a livello mondiale una crisi di sistema irreversibile. Da questo antefatto in poi tutto ciò che poi succede è di forte sapore apocalittico, accompagnandosi i mali della natura a quelli dell’animo umano, indagato così in profondità e così brutalmente da far evocare dalla critica, a ragion veduta, Il signore delle mosche di Golding. John, il protagonista della storia, quando abbandona Londra in cerca di scampo, così come recita l’introduzione al romanzo, è un colto e pacifico umanista liberale: quando arriverà a destinazione sarà un proto-darwinista con la coscienza e le mani sporche di sangue.

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Quarantaduesima settimana


La peste scarlatta

Jack London

Adelphi

Romanzo breve post apocalittico che venne pubblicato nel 1912 sulla rivista The London magazine, La peste scarlatta fu una delle opere di meno successo dello scrittore statunitense. Nell’anno 2073 quello che forse è l’ultimo superstite della ormai scomparsa civiltà umana, racconta ai suoi nipoti, cresciuti come esseri primitivi dell’età della pietra, come fu che all’improvviso nel 2013, prima nella città di New York e poi in quella di Chicago comparvero i primi casi di peste scarlatta, un nuovo e incurabile morbo destinato ad annientare quasi del tutto l’umanità.

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Quarantatreesima settimana


The Fireman. L'uomo del fuoco
Joe Hill
 Sperling & Kupfer

 

Joe Hill, secondo il Washington Post «uno degli autori di spicco nella letteratura fantastica del Ventunesimo secolo», è certamente cresciuto a pane e suspense, essendo il figlio secondogenito di Stephen King, di cui ha ripudiato artisticamente il cognome per percorrere con maggiore libertà e autonomia il suo percorso letterario. The Fireman. L’uomo del fuoco (seguito dalla seconda parte The Fireman. L’isola della salvezza), è un romanzo distopico in cui si immagina una umanità che lentamente abdica alla sua civiltà poiché colpita da una epidemia quantomeno singolare, provocata da una spora chiamata Trichophyton draco incendiarius, o scaglia di drago, che provoca l’autocombustione delle persone infettate. Trovato il male che genera morte e distruzione, Hill poi troverà ovviamente anche un rimedio, che non mancherà di stupire anche i lettori più avvezzi agli artifici della fantascienza. Nel brano che qui si presenta, Harper Grayson, la protagonista del romanzo, vede per la prima volta gli effetti della contaminazione da Trichophyton draco incendiarius.

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Quarantaquattresima settimana


Io sono leggenda

Richard Matheson

Dal romanzo I Am legend di Matheson, pubblicato nel 1954 negli Stati Uniti e tradotto in Italia nel 1957 da Longanesi con il titolo I vampiri, sono state tratte numerose trasposizioni cinematografiche, tra le quali la più nota, anche se in realtà assai slegata dalla trama originale, è certamente Io sono leggenda di Francis Lawrence, interpretato da Will Smith. L’originalità di questa storia post apocalittica sta nel capovolgimento dei ruoli, laddove le creature mostruose che popolano il pianeta, quelle infettate da un bacillo che li ha trasformati in vampiri, costituiscono di fatto la nuova specie dominante, alla cui normalità ormai universale si oppone da alieno l’ultimo uomo sopravvissuto allo sterminio della sua razza. Il brano che qui si propone è quello in cui il protagonista, spera di aver trovato un’altra sopravvissuta non infetta.

 
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Quarantacinquesima settimana

Il banchetto in tempo di peste

Aleksandr Sergeevič Puškin

Kindle ed.

Si tratta di una delle quattro «Piccole tragedie» di Puškin, messa in musica da César Cui e rappresentata per la prima volta l'11 novembre 1901 al teatro «Novyj» di Mosca. Un gruppo di amici si ritrova a un banchetto e brinda al ricordo di un amico, il primo di loro a “lasciare la compagnia”. Si brinda, si declamano versi, si cantano canzoni, e neanche l’intervento di un prete, che chiede che il blasfemo banchetto si arresti, riesce a convincere gli amici a desistere dal loro banchetto.

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Quarantaseiesima settimana


I viceré

Federico De Roberto

Tiemme ed.

Quando De Roberto ideò il suo più celebre romanzo pensò di intitolarlo Vecchia razza, e così sintetizzò “l'intenzione ultima, che dovrebbe essere il decadimento fisico e morale d'una stirpe esausta». Intorno alla stirpe esausta,  la corrotta famiglia degli Uzeda di Francalanza imparentata con gli antichi Viceré spagnoli della Sicilia di Carlo V, De Roberto ricamò i destini di una umanità non solo varia e dolente, ma anche incredula e furente, per gli incomprensibili provvedimenti di legge arrivati in Sicilia con l’Italia Una, e per il mortale diffondersi della piaga del colera: piaga diffusa dagli untori del nuovo governo nazionale, così voce di popolo susurra e dice, esattamente come prima del loro arrivo facevano i Borboni, con l’intento di “sfollare” la popolazione troppo numerosa, e di piegare i superstiti.


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Quarantasettesima settimana


La gente moriva accatastrofi.

Tommaso Bordonaro

Archivio di Pieve di Santo Stefano

L’unica epidemia praticamente ignorata dalla narrativa mondiale, salvo forse con l'eccezione della letteratura di qualche paese africano, e in Italia della Cronaca familiare di Vasco Pratolini, è la cosiddetta Spagnola che infierì nel mondo nel 1918 e 1919, in due ondate, la prima feroce e la seconda ferocissima, che complessivamente fecero non meno di 50 milioni di morti. Sulla singolarità di questa rimozione non esistono al momento, salvo smentite, ricerche critiche degne di nota, mentre invece sono state effettuati numerosi studi sul perché questa terribile malattia è stata per lunghissimo tempo sottaciuta anche nei testi di carattere storico, libri scolastici compresi. L’unico genere narrativo che ha affrontato in sufficiente misura questo tema è forse quello diaristico, a cui appartiene anche questo breve passo di un emigrato italiano negli Stati Uniti d’America, Tommaso Bordonaro, attualmente conservato nell’ Archivio di Pieve di Santo Stefano.

pitzornog




Quarantottesima settimana


Cronaca familiare

Vasco Pratolini

Bur ed.

Il grande scrittore fiorentino fa esordire questa soffertissima storia familiare, scritta con evidente e lacerante partecipazione, con questo singolare incipit: “Questo libro non è un’opera di fantasia. È un colloquio dell’autore con suo fratello morto. L’autore, scrivendo, cercava consolazione”. In questo lungo confronto con sé stesso e con i propri fantasmi, Pratolini cita la terribile epidemia di Spagnola, che imperversò dal 1918.

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Quarantanovesima settimana

Edgar Allan Poe

La maschera della morte rossa

 

La maschera della morte rossa, pubblicato nel 1842 sul  Graham’s Magazine e conosciuto in Italia anche con i titolo La pantomima della morte rossa, è uno dei tanti racconti del mistero e del terrore del grande scrittore americano, costruito sulla ineludibilità del destino, al quale l’uomo tenta con tutte le sue forze di sfuggire. Così fa anche il principe Prospero, che pur non temendo la Peste, ma accorgendosi di quanto essa stia devastando il Paese, decide di ritirarsi in una grande abbazia, portandosi dietro mille amici e una immensa provvista di cibo e di ottimo vino. Quindi decide di dare una grande festa.

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Cinquantesima settimana


Somerset W. Maugham

Il velo dipinto

Adelphi

Il velo dipinto, pubblicato inizialmente a puntate sulla rivista Cosmopolitan tra il 1924 e il 1925, nacque da una fortissima suggestione che lo scrittore ebbe leggendo la Divina Commedia, suggestione quindi elaborata e ricomposta solo dopo un lungo viaggio in Cina, dove poi si dipanerà la trama del romanzo. I protagonisti della storia, un fitto intessersi di sofferte relazioni sentimentali intraviste alla penombra del consueto pessimismo, pane quotidiano del grande scrittore inglese, avrà come sfondo una città  devastata dal colera.

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Cinquantunesima settimana


Michael Crichton

Andromeda

Garzanti

Michael Crichton, scrittore statunitense di grandissimo successo (suo è il Jurassic Park dal quale Spielberg trasse soggetto e trama per la sua trasposizione cinematografica), pubblicò nel 1969, lo stesso anno in cui Amstrong mosse i primi passi sulla luna, il romanzo fantascientifico Andromeda, che immagina l’arrivo sul pianeta Terra di un microorganismo – né batterio né virus – letale per la razza umana. Anche da questo fortunato titolo venne tratto un film e una serie televisiva.


pitzornog




Cinquantaduesima settimana


L'amore ai tempi del colera

Gabriel García Márquez

Mondadori

In questa straordinaria storia, una delle più grandi e delle più amate di Gabo, premio Nobel per la Letteratura nel 1982, il colera è sempre punto di riferimento e di passaggio: il prima, il durante e il dopo sono gli snodi temporali degli avvenimenti piccoli e grandi, compreso l’incontenibile amore di Florentino. Il breve brano che qui si propone racconta di come amore e colera indossino a volte lo stesso sudario del martirio.


marquez





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